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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Perché l’attacco degli Stati Uniti contro l’Iran potrebbe avere effetti devastanti per tutto il Medio Oriente

Il bombardamento degli Stati Uniti in Iran rischia di scatenare nuovi conflitti nella regione, attivando Houthi, Hezbollah e non solo. Dopo quarant’anni di tensioni tra i due Paesi, ora che è arrivato un attacco diretto potrebbe scattare una guerra di logoramento simile all’Iraq. Gli Usa forse cercheranno di forzare un cambio di regime, mentre le autorità iraniane potrebbero anche valutare di realizzare davvero un’arma nucleare.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Gli Stati Uniti hanno attaccato le centrali nucleari di Fordow, Isfahan e Natanz nella notte tra sabato e domenica. Donald Trump ha parlato di un “successo militare spettacolare”. “Le centrali per l’arricchimento dell’uranio sono state completamente cancellate”, ha assicurato Trump. “Ora devono firmare la pace o ci saranno attacchi ancora più estesi”, ha promesso il presidente Usa. Le autorità israeliane hanno fatto sapere che i raid Usa sono avvenuti “in pieno coordinamento” con Tel Aviv.

Dal canto suo, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha condannato gli “oltraggiosi” attacchi Usa, parlando di “conseguenze durature” per la regione. Araghchi ha sostenuto che “tutte le opzioni sono sul tavolo” per difendere la sovranità territoriale iraniana. Le autorità di Teheran hanno fatto sapere che le riserve di uranio arricchito, presenti a Fordow, erano state trasferite altrove prima dei raid. Mentre l’Agenza internazionale per l’Energia atomica (Aiea) ha assicurato che non sono state registrate fughe radioattive dai siti colpiti. Nella notte del 22 giugno, l’Iran ha lanciato vari raid contro Tel Aviv e Gerusalemme, colpendo anche l’aeroporto di Ben Gurion. Dall’inizio degli attacchi israeliani contro Teheran, lo scorso 13 giugno, centinaia sono le vittime iraniane, inclusi vertici militari, di Intelligence e gli ingegneri coinvolti nel programma nucleare, e decine i morti israeliani.

Le conseguenze degli attacchi Usa contro l’Iran

A questo punto l’Iran potrebbe attivare la sua rete in Medio Oriente, indebolita dopo le guerre israeliane a Gaza, in Libano, e la fine del regime di Bashar al-Assad in Siria. L’intero Asse della Resistenza, da Hamas a Hezbollah, dagli Houthi alle milizie sciite in Iraq, potrebbe reagire agli attacchi Usa nelle prossime ore.

I primi che hanno assicurato che risponderanno agli attacchi degli Stati Uniti in Iran sono gli Houthi in Yemen. La risposta ai raid Usa è “solo questione di tempo”, ha fatto sapere Mohammed al-Bukhaiti dell’ufficio politico del gruppo sciita. Gli Houthi, dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, avevano già lanciato numerosi raid contro Israele e il commercio marittimo nel Mar Rosso, causando non pochi danni economici per i Paesi della regione. Lo scorso maggio Trump aveva raggiunto un accordo di cessate il fuoco con gli Houthi in cambio della fine dei raid reciproci.

Anche le altre milizie sciite potrebbero entrare direttamente nel conflitto, a partire dai Kataib Hezbollah in Iraq. Già le autorità di Baghdad avevano avvisato Israele nei giorni scorsi di non usare lo spazio aereo iracheno per i raid contro l’Iran.

Gli attacchi Usa potrebbero riattivare poi anche il movimento sciita libanese Hezbollah, gravemente colpito dai raid israeliani dello scorso autunno, durante i quali è stato ucciso il leader storico del gruppo, Hassan Nasrallah. La nuova guida di Hezbollah, Naim Qassem, aveva espresso il suo sostegno per l’Iran dopo i raid israeliani dei giorni scorsi.

L’isolamento dell’Iran

Nonostante queste dichiarazioni roboanti, l’Iran appare più isolato del solito. A partire dal sostegno militare che potrebbe arrivare da Mosca e Pechino a Teheran. L’appoggio russo all’Iran fino a questo momento è stato meno solido del previsto. Putin, che ha firmato imponenti trattati di cooperazione militare con Teheran, si è limitato ad assicurare, insieme alla Cina, che non ci sono prove che il programma nucleare iraniano abbia l’obiettivo di realizzare un’arma atomica dicendosi contrario a qualsiasi progetto che miri all’eliminazione della guida suprema, Ali Khamenei, e a un cambiamento di regime in Iran.

Tuttavia, non sembra plausibile che Mosca voglia entrare in guerra al fianco dell’Iran considerando l’impegno militare russo nella guerra in Ucraina. Il Cremlino si è limitato a tuonare nei giorni scorsi contro un cambio di regime a Teheran, definito “inaccettabile e inimmaginabile”. Per Mosca questa eventualità “scoperchierebbe il vaso di Pandora” facendo piombare l’intero Medioriente in una stagione di gravissima instabilità politica. “La situazione è estremamente tesa e pericolosa non solo per la regione, ma a livello globale”, aveva affermato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. “Ampliare il numero dei partecipanti al conflitto è potenzialmente ancora più pericoloso”, aveva assicurato.

Usa-Iran: oltre quarant’anni di tensioni culminate con la guerra

I raid statunitensi contro l’Iran sono la conseguenza di oltre quarant’anni di diffidenza reciproca tra Washington e Teheran, a partire dalla rivoluzione dell’ayatollah Ruhollah Khomeini del 1979 e dalla crisi degli ostaggi che ha portato al congelamento delle relazioni reciproche tra i due Paesi.

Gli Usa da quel momento hanno preferito adottare una politica di “doppio contenimento” tra Iran e Arabia Saudita che ha aperto la stagione della guerra Iran-Iraq prima (1980-1988) e ha causato gli attacchi di Washington contro Saddam Hussein poi (1991 e 2003).

Poche sono state le fasi di distensione tra Usa e Iran dalla fine degli anni Settanta. La prima risale alla presidenza di Barack Obama che ha fortemente voluto l’accordo (Jcpoa) con Teheran sul programma nucleare nel 2015.

Donald Trump si è ritirato dall’intesa con l’Iran nel 2018 ma aveva sorprendentemente promosso un tentativo negoziale con Teheran all’avvio del suo secondo mandato quest’anno. Eppure, nessuno ha mai davvero creduto nella possibilità di una distensione tra i due Paesi. Il tavolo negoziale in Oman e a Roma è apparso subito più come uno strumento di distrazione per preparare agli attacchi israeliani del 13 giugno contro l’Iran che un vero tentativo di trovare un accordo sul nucleare con l’Iran.

Il rischio di un altro Iraq

Ora che Israele è riuscito a trascinare gli Usa in guerra contro l’Iran le incognite sono ancora molte. Di sicuro i raid Usa non sono stati ben accolti dai politici democratici, la parlamentare di opposizione Alexandria Ocasio-Cortez ha parlato di una “grave violazione” della Costituzione, per non aver coinvolto il Congresso prima di dare il via libera agli attacchi, e di possibilità di “impeachment” per il presidente. “Abbiamo visto dove ci hanno portato decenni di guerre infinte in Medio Oriente basate sulla menzogna delle armi di distruzione di massa”, ha continuato Cortez in riferimento alle ragioni, poi rivelatesi false, che hanno motivato la guerra in Iraq del 2003.

E così, se il conflitto dovesse protrarsi, gli Usa rischiano una guerra di logoramento in Iran, un altro Iraq o un altro Vietnam. Proprio lo scenario iracheno, la disastrosa guerra di George Bush che ha portato venti anni di grave instabilità politica a Baghdad, ha demotivato per anni un intervento diretto di Washington contro Teheran. Non solo, spesso la rete sciita vicina all’Iran è servita non poco a bilanciare il graduale disimpegno degli Stati Uniti in Medioriente. Questo è stato vero fino ai raid mirati Usa a Baghdad del gennaio 2020 contro Qassem Soleimani, la guida delle milizie iraniane al-Quds.

Non solo, anche il rischio di uno scenario afghano, dove dopo venti anni di guerra, i Taliban sono tornati a governare il Paese in seguito al ritiro Usa del 2021, ha spinto nei giorni scorsi il presidente, Donald Trump, a prendere tempo prima di decidere i raid contro le centrali nucleari iraniane, che hanno avuto luogo il 22 giugno.

Gli Usa erano già in guerra

Le prove del sostegno indiretto degli Stati Uniti ai raid israeliani contro l’Iran erano già numerose. Alla vigilia degli attacchi del 13 giugno, Washington ufficialmente puntava ancora sull’azzeramento dell’arricchimento dell’uranio in Iran, in vista del sesto round negoziale, che avrebbe dovuto tenersi in Oman. Tuttavia, dopo l’avvio dei bombardamenti israeliani contro l’Iran, Trump aveva più di una volta elogiato i risultati militari di Tel Aviv.

E così sin dal 13 giugno è apparso chiaro che Washington agisse al fianco di Israele. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, aveva confermato le forniture di F-35 modificati, per evitare rifornimenti negli attacchi in Iran, da parte di Washington a Tel Aviv. Non solo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha più volte ringraziato gli Usa per la difesa che hanno garantito ai cieli israeliani durante gli attacchi iraniani.

Molto efficace è apparsa l’opera di infiltrazione del territorio iraniano per mano dell’Intelligence israeliana (Mossad), avvenuta in preparazione dei raid sugli schemi già usati per colpire il movimento sciita libanese Hezbollah. “Tel Aviv è stata tecnicamente brillante nei suoi attacchi contro l’Iran”, ci ha spiegato James Gelvin, docente di Storia del Medio Oriente all’Università della California (Ucla). “Gli israeliani devono però considerare che ciò che hanno fatto a Hezbollah e Hamas è molto diverso da quello che si può fare con un Paese di 90 milioni di persone con le sue infrastrutture, i suoi interessi strategici”, ha proseguito il docente. “Per esempio, è facile colpire i leader di Hamas o Hezbollah. Ma tutti i tecnici e i militari che Israele ha ucciso tra i vertici iraniani e nella comunità scientifica sono stati rimpiazzati. Quindi le tattiche usate efficacemente contro Hezbollah e Hamas, non è certo che possano essere efficaci contro uno Stato”, ha concluso Gelvin.

Gli scenari possibili in Iran

Lo scopo dei raid israeliani e statunitensi contro l’Iran a questo punto potrebbe essere il cambiamento di regime in Iran. Se quindi la guerra di Trump e Netanyahu andrà oltre l’obiettivo della fine del programma nucleare iraniano, vari scenari potrebbero aprirsi in Iran.

A questo punto potrebbe essere presa di mira la stessa guida suprema, Ali Khamenei, che si nasconde in bunker sotterranei per evitare di essere ucciso nei raid. Per la sua condizione di isolamento, il leader iraniano, che in un messaggio trasmesso dalla televisione iraniana aveva definito “inaccettabile” la resa incondizionata richiesta dagli Usa e di “danni irreparabili” in caso di attacco statunitense, non ha potuto dare il via libera a un ultimo tentativo di incontro tra diplomatici iraniani e Usa che avrebbe dovuto aver luogo in Turchia, dopo i colloqui tra il ministro degli Esteri di Teheran con Germania, Francia e Gran Bretagna dei giorni scorsi.

E così, il primo scenario che si aprirebbe con raid mirati contro i leader politici iraniani potrebbe includere un passaggio di poteri tra i leader conservatori e i vertici militari o i politici riformisti, ben rappresentati dal presidente moderato, Massoud Pezeshkian. In questo caso, sarebbero gli stessi ayatollah a rimanere al potere a Teheran, ma solo a condizione che il Paese sia guidato da politici più compiacenti con gli interessi statunitensi rispetto alla guida suprema, Ali Khamenei.

Le operazioni israeliane e statunitensi potrebbero puntare invece alla fine del regime degli ayatollah con l’insediamento di un governo filoamericano in Iran sul modello della monarchia dello shah, che lasciò il Paese senza sparare sui manifestanti, in seguito alla rivoluzione del 1979.

Dopo l’ingresso diretto in guerra contro l’Iran da parte degli Stati Uniti, sarà molto importante verificare la reazione iraniana. Sicuramente le autorità di Teheran in questo contesto non torneranno al tavolo negoziale con Washington per il contesto di totale assenza di fiducia reciproca. Non solo, il rischio dietro l’angolo è un’escalation regionale con l’attivazione di tutta la rete di milizie e gruppi sciiti, seppur indeboliti, che sostengono l’Iran. Infine, sebbene anche l’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea) abbia confermato che l’Iran non sta costruendo un’arma nucleare, i continui raid di Tel Aviv e Washington potrebbero motivare gli ayatollah a realizzare davvero un’arma atomica per esercitare una funzione di deterrenza che in questo momento non hanno, aggravando ulteriormente le possibili conseguenze della guerra.

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