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Guerra in Ucraina

Perché la Russia sta ancora con Putin: l’analisi della politologa Maria Snegovaya

Il putinismo è forte e anche flessibile: sosterrà a lungo il regime. Per questo, Putin potrebbe trattare la pace in Ucraina “anche se non saranno raggiunti tutti gli obiettivi”. L’intervista di Fanpage.it alla politologa russa Maria Snegovaya.
Intervista a Maria Snegovaya
Ricercatrice senior del Center for Strategic International Studies (Csis) e della Welsh School of Foreign Service presso la Gergetown University, è una delle maggiori esperte dell’ideologia putinista.
A cura di Riccardo Amati
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Maria Snegovaya, Csis
Maria Snegovaya, Csis
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“Se anche Putin dovesse rinunciare a qualcosa in Ucraina, potrebbe decidere lo stesso di trattare”:  l’ideologia del regime “non è così rigida da impedire al leader del Cremlino di fermarsi, se potrà rivendicare almeno qualche risultato tattico”. Per questo “l’Occidente deve continuare a sostenere la resistenza di Kyiv”. Maria Snegovaya, ricercatrice senior del Center for Strategic International Studies (Csis) e della Welsh School of Foreign Service presso la Georgetown University, è una delle maggiori esperte dell’ideologia putinista.

Ideologia in grande spolvero nella conferenza di fine anno del presidente russo. E abbastanza forte da perpetuarne il potere, dice a Fanpage.it Snegovaya. Perché “propone temi familiari ai russi”. E perché il regime ha distrutto l’opposizione, “chiudendo i politici dissidenti in carcere o costringendoli a emigrare”. Quindi, “nessuno può portare avanti idee alternative”.

La guerra in Ucraina potrebbe finire anche senza la vittoria di Putin. Ma il putinismo è qui per restare.

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Dottoressa Snegovaya, che caratteristiche ha l’ideologia del regime russo?

È una specie di bricolage, Non è codificata in testi filosofici come ai tempi del marxismo-leninismo. Non c’è un “Capitale”. E nemmeno un “Mein Kampf”. È un’ideologia malleabile, eclettica. Rispecchia la frammentazione tipica dell’era digitale. Ma anche se è flessibile e assume diverse forme, nel corso degli anni ha avuto una sua coerenza per quanto riguarda gli elementi chiave che la compongono.

Qual è il primo pilastro del putinismo?

Il primo imperativo è quello di uno stato forte, unito e stabile. In questo senso la storia russa viene presentata come un continuum durante i secoli. Al contrario del rigetto del passato sovietico in favore di uno sviluppo liberale e democratico che ci fu al tempo della Presidenza Yeltsin, con l’arrivo di Putin al potere fin dai primi giorni si sottolineò la continuità. E si sottolineò l’importanza della forza dello Stato. “La Storia insegna che se lo Stato è debole sono guai per i russi”, si disse subito. La sopravvivenza dello Stato diventa quindi la cosa più importante di tutte. Lo Stato assume un valore quasi sacro. Tutto ciò che fa e dice è giusto. E naturalmente lo Stato si identifica nel presidente, con il Cremlino e con la classe politica.

Secondo imperativo?

La rappresentazione della Russia come Paese sottoposto a minacce esistenziali. Per spingere i cittadini a stringersi intorno alla bandiera. E da dove arriva la minaccia del caos, dell’indebolimento o addirittura della dissoluzione?

Dall’Occidente, supponiamo…

E questo è il terzo “pilastro”, dell’ideologia putinista. È preso pari pari dai tempi sovietici. Quando il capitalismo occidentale veniva percepito come il più grande pericolo. Come allora, l’Occidente è al contempo oggetto di desiderio e di disprezzo. E recita la parte dell’”altro” rispetto a questa versione dell’identità russa. È minaccioso e molto pericoloso. Ma anche decadente. Un paradosso che non disturba la narrativa. Secondo cui sono in particolare gli Stati Uniti a voler distruggere la Russia. L’Europa è vista come un’instabile schiava di Washington. Dove risiedono i folli — sostiene il Cremlino — che hanno bombardato Belgrado e pilotato le “rivoluzioni colorate”. Fino a quella di Euromaidan nel 2014, quando finalmente la Russia rispose ad anni di interferenza occidentale nei suoi interessi.

Il presidente russo Vladimir Putin
Il presidente russo Vladimir Putin

E questa è la versione putinista. Anche se ci risulta che Euromaidan iniziò per il timido post di un giovane giornalista di Kyiv e non per un’ordine di Langley.

È una narrativa che consente di enfatizzare una condizione da stato d’assedio della Russia. Così  si giustifica ogni politica come dettata da un’emergenza esistenziale. Kennan descrisse questo “senso di accerchiamento” dei russi già nel 1946 nel suo “Long telegram” (il diplomatico statunitense George Kennan viene considerato l’inventore del “Containment” nei confronti dell’Urss: una sua missiva da Mosca al Dipartimento di Stato, il “Long telegram”, nel 1946 ne anticipò i cardini. Ndr).

E come si inserisce in tutto questo la contrapposizione dei “valori”, di cui parla sempre Putin?

La proposta di valori liberali considerati profondamente ostili ai “valori tradizionali” russi viene considerata un’arma che l’Occidente, in questo caso con l’Europa a far da apripista, utilizza per indebolire Mosca. Ci sono anche aspetti religiosi.

C’entra il messianismo che ha origini nel mito cinquecentesco della Terza Roma? Mosca come erede di Roma e Bisanzio ha il destino di salvare il mondo in nome della vera fede?

Forse conta anche questa eredità. Si tratta soprattutto di un conservatorismo culturale che si fonda sull’assunto secondo cui l’Europa — al contrario della Russia — ha perso le sue radici culturali e abbracciato l’omosessualità, il femminismo, il multiculturalismo e un “secolarismo militante”. Da qui l’enfasi sull’eccezionalismo russo. E l’idea di una sorta di “scontro fra civilizzazioni”. Si riprendono argomenti del pensiero fascista e razzista di Ivan Ilyn e dell’Eurasianismo, tornato di moda negli anni ’90. È stato creato un gruppo con l’esplicito nome di “Dna della Russia”. Tutto questo viene legato al mito della Grande guerra patriottica (così i russi chiamano la Seconda guerra mondiale, ndr). La Germania nazista che invase l’Unione Sovietica rappresentava l’Occidente. Che fu quindi sconfitto. Corollario: la stessa cosa si sta ripetendo in Ucraina. Dove l’Occidente, nell’ideologia putinista, sta di nuovo usando il nazismo per colpire la Russia.

Lei parlava dell’ “eccezionalismo” della Russia come di un componente dell’ideologia del regime. Ma il Cremlino non condannava un tempo l’eccezionalismo americano?

Vero (ride). In fondo si tratta di una caratteristica delle superpotenze. Mica è un esclusiva russa o statunitense. Di certo, il Cremlino oggi utilizza il concetto per giustificare davanti alla popolazione la violazione del diritto internazionale e le peggiori atrocità commesse in Ucraina. Tutto ha una ragione, perché la Russia è speciale. E in parte è vero. Perché la Russia al contrario dell’Europa occidentale non ha avuto il Rinascimento.

Noi avevamo Giotto e poi l’Umanesimo e voi Andrey Rublev e i canoni permanenti, altamente spirituali e quasi intoccabili delle icone…

E poi non abbiamo avuto l’illuminismo. La Russia è davvero diversa. La vita umana, per esempio, in Russia non ha lo stesso valore che altrove. E lo si vede in Ucraina. Ogni sacrificio è lecito in nome di un’alta missione. Anche se la missione non è ben specificata e nessuno capisce bene quale sia, come nel caso di questa guerra. Ecco l’eccezionalismo della Russia. Ed è molto pericoloso, all’interno di un’ideologia a sostegno di una guerra e di un regime.

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Questa ideologia putinista sembra fondata su una particolare ricostruzione del passato. Non vediamo proposte per il futuro. O invece ci sono?

Ci sono. Certo, la visione di una Russia che risorge e ha di nuovo tutta la sua grandezza prevale. Ma c’è il concetto di un “nuovo mondo” multipolare: ora che l’Occidente è considerato debole, la Russia può recuperare il posto che merita nel sistema internazionale, alla guida del Sud globale anti-americano, in compartecipazione con la Cina. Non è una visione del tutto legata al passato. La visione del futuro proposta dal putinismo non deve essere sottovalutata — come alcuni osservatori fanno.

Ma anche il multipolarismo ci pare una contraddizione. Non vale per l’Ucraina. Che non può decidere sul suo destino. Come invece dovrebbe essere in un sistema multipolare…

Infatti c’è un fondo di immoralità. Il multipolarismo putinista ricorda il concetto orwelliano secondo cui “tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri”. Non è vero multipolarismo.

Quanto ha contribuito l’invasione dell’Ucraina a stabilizzare l’ideologia del regime di Putin?

È stata cruciale. Gli elementi dell’ideologia c’erano già tutti, ma non erano emersi in superficie. Il Cremlino ora necessita come non mai di legittimare il suo potere. La dimensione ideologica sta divenendo sempre più importante. Sempre più risorse vengono destinate a corsi di ideologia obbligatori nelle università e nelle scuole. Vengono letteralmente riscritti i libri di Storia. Che ormai raccontano quasi esclusivamente falsità utili all’ideologia. In generale, poi, le iniziative patriottiche dopo il 22 febbraio 2022 sono triplicate.

Fino a che punto questa ideologia è penetrata nella testa dei russi?

I pilastri ideologici del putinismo sono stati recepiti dalla popolazione. Che presenta ancora peculiari caratteristiche di adattamento ai regimi autoritari e totalitari, legate al suo passato sovietico. Molte delle narrative proposte vengono accettate. Dopo il crollo dell’Urss, i russi si son trovati senza un’identità né alcun senso di appartenenza. Il caos degli anni Novanta li ha profondamente feriti. Ora gli sono state messe davanti narrative che suonano familiari e riempiono un vuoto. È significativo che una delle più popolari canzoni oggi in Russia sia “Ya Russkiy”, degli Shaman (“Ya Russky” — ovvero “sono russo” — canta con fierezza il biondissimo frontman del gruppo, aggiungendo “a dispetto di tutto”. Ndr)

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Questa ideologia ha forza sufficiente per mantenere al potere Putin?

Sì. Soprattutto perché in Russia non esiste più un’opposizione in grado di contrastarla e di proporre qualcosa di diverso. Chi faceva politica criticando il regime è in prigione o è espatriato. Ma non è solo questo. L’ideologia putinista è effettivamente attraente per la società russa. È qui per rimanere.

E tutto questo quanto influenza la guerra in Ucraina? Crede che un leader intorno al quale è stata confezionata una tale ideologia possa fermarsi, accettare compromessi, fare la pace?

Credo ci sia ancora la possibilità. Al di là del rumore di fondo sullo scontro esistenziale con l’Occidente e la forza della Russia, se Putin vede possibile implementare tatticamente alcune delle sue narrative, può decidere di trattare. Anche perché non ha mai detto esattamente ai russi cosa volesse fare dell’Ucraina. L’ideologia non è così rigida da impedirgli di fermarsi. Se anche dovesse rinunciare a qualcosa, il leader del Cremlino potrà dar la colpa ad altri. Interverrà la propaganda. Per tutte queste ragioni, l’Occidente deve continuare a sostenere la resistenza di Kyiv. La partita non è persa.

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