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Covid 19

Perché il vaccino AstraZeneca/Oxford è stato approvato in Regno Unito e non in Europa

Nessun dubbio sul fatto che il siero anti Covid di AstraZeneca/Oxford sia sicuro. È sull’efficacia che resta qualche incertezza. A chiarire le cose ci ha pensato Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell’ente regolatorio europeo, docente di Microbiologia all’università di Roma Tor Vergata.
A cura di Biagio Chiariello
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Al momento sono solo due i Paesi nel mondo che hanno dato il via libera al vaccino AstraZeneca: il Regno Unito e l’Argentina. Il motivo è presto detto. Per essere approvato, un vaccino deve essere "sicuro" ed "efficace". Sul primo requisito non ci sono remore, il vaccino di Oxford non è pericoloso, mentre sulla seconda caratteristica, l’EMA, agenzia europea del farmaco, ha ancora qualche dubbio. Per il Medicine and Healthcare Regulatory Agency di Londra la percentuale di copertura (stimata al 62%) è sufficiente per renderlo utile contro l’infezione da Coronavirus, per l'Agenzia europea per il farmaco invece le cose sono più complicate. A partire dall'errore durante la sperimentazione, quando i ricercatori hanno somministrato per errore solo mezza dose a 2.000 volontari: dimezzando il dosaggio, la copertura dal virus è salita.

Perché è stato approvato in Regno Unito e non in Europa

A tal proposito Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell'ente regolatorio europeo, docente di Microbiologia all'università di Roma Tor Vergata, è stato più chiaro: "sarebbe bene emergesse di nuovo la differenza tra Uk e Ue" a livello regolatorio. La principale è che, "mentre il Regno Unito deve approvare la produzione di una serie di lotti per un singolo Stato, l'Ema deve farlo per tutti gli Stati, anche per quelli che delegano completamente alle agenzie centrali. E' un altro lavoro", tiene a precisare. L'accelerazione degli inglesi, osserva inoltre l'ex numero uno dell'Agenzia europea del farmaco, si è probabilmente basata anche "sullo stato ‘acuto' dell'epidemia di Covid in Gran Bretagna, dove per un paio di giorni si sono registrati 50mila casi quotidiani". Un quadro in cui, anche prendendo per buona la percentuale più bassa di efficacia dimostrata dal vaccino AstraZeneca negli studi clinici (intorno al 60% invece che intorno al 90%), il Paese ha probabilmente ‘fretta' di mettere in sicurezza almeno determinate categorie di popolazione. Presumibilmente la fascia ‘attiva', considerando che il prodotto in questione "funziona molto bene in una popolazione relativamente giovane".

Okay a vaccino Oxford forse a fine gennaio

"Non è assolutamente escluso che il via libera Ue al vaccino anti-Covid di AstraZeneca possa arrivare entro la fine di gennaio. L'azienda ha presentato ieri all'Ema i dati" a supporto dalla richiesta di autorizzazione condizionata all'immissione in commercio, quindi "se i dati presentati si riveleranno robusti, omogenei e di facile interpretazione, l'Agenzia potrà esprimersi entro una ventina di giorni: dai 15 ai 30 giorni lavorativi, se come immagino non ha cambiato il suo modus operandi", ha spiegato Guido Rasi. In merito al freno ‘tirato' nei giorni scorsi dal vicedirettore esecutivo dell'Ema Noel Wathion, che al quotidiano belga ‘Het Nieuwsblad' ha dichiarato che molto probabilmente l'Agenzia non sarà in grado di approvare a gennaio il vaccino sviluppato da università di Oxford e Irbm di Pomezia, e prodotto da AstraZeneca, Rasi ritiene "non un caso" che il 29 dicembre il funzionario abbia fatto un'affermazione tanto perentoria chiedendo nuovi dati, e il giorno successivo l'azienda li abbia presentati. Ora le informazioni ci sono e "mi aspetto che, dopo averle esaminate, l'Ema in settimana ci fornisca un cronoprogramma – prevede l'ex numero uno dell'Agenzia – che ci dica cioè quanto tempo le ci vorrà per esprimersi".

Il problema del vaccino AstraZeneca

Il problema nato attorno al vaccino AstraZeneca, ricorda Rasi sulla base di quanto "pubblicamente noto", è stata la "disomogeneità" di alcuni dati relativi in particolare al dosaggio da utilizzare per ottenere un'efficacia ottimale (una dose e mezza oppure due), all'intervallo di tempo "molto variabile (4-12 settimane)" fra la prima e la seconda dose, e alle situazioni epidemiche "eterogenee" in cui il prodotto è stato testato. Ma se le informazioni presentate ieri supereranno queste criticità, "non è assolutamente escluso" che la tempistica di valutazione sia analoga a quella dei vaccini Pfizer/BioNTech e Moderna: "Una ventina di giorni", ribadisce l'ex direttore.

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