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Guerra in Ucraina

Perché è da escludere un intervento della NATO in Ucraina: l’analisi dell’esperto di guerra di Putin

L’intervista di Fanpage.it all’esperto delle guerre di Putin, Mark Galeotti: “La Russia ha poche opzioni e potrebbe utilizzare l’arma nucleare. Gli elettorati dei maggiori Paesi membri dell’alleanza non vogliono correre il rischio”. E sulle parole di Macron sull’invio di truppe occidentali in Ucraina: “Il suo è solo un bluff”.
A cura di Riccardo Amati
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Nel caso di un intervento diretto di truppe Nato nella guerra in Ucraina, la Russia “non avrebbe a disposizione molte scelte per reagire”. Almeno in modo convenzionale. Però potrebbe farlo, “con armi nucleari tattiche”. Ipotesi terrificante. Che proprio per questo diventa improbabile, secondo Mark Galeotti: “I leader dei maggiori Paesi Nato sanno bene che i loro elettorati non gli perdonerebbero uno scenario del genere”, dice lo storico britannico, tra i maggiori esperti della dottrina militare russa e delle guerre di Putin, delle quali ha scritto in Putin’s War. From Chechnya to Ukraine (Oxford 2022).

Dopo le dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron sull’eventualità di mettere “gli stivali sul terreno”, il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha tenuto a dire che gli stivali occidentali in Ucraina ci sono già. La Russia ha risposto di sapere da tempo che personale di Paesi Nato è presente, se non altro con compiti di addestramento e assistenza tecnica, aggiungendo che sta “monitorando la situazione” e che ogni ulteriore sviluppo porterebbe a una non meglio precisata “escalation”. Secondo indiscrezioni fatte filtrare dall’intelligence tedesca, in particolare militari britannici e francesi aiutano gli ucraini nelle operazioni di lancio dei missili cruise Storm Shadow/Scalp.

L’ultimo a parlare di intervento diretto è stato il presidente della Repubblica Ceca Petr Pavel. L’ex generale ed ex presidente de Comitato militare della Nato, in linea con i Paesi baltici e ben pochi altri membri dell’alleanza, ha detto alla televisione di Stato di non esser per niente contrario a un dispiegamento ufficiale di truppe: “Non direi certo di no a un dibattito sulla questione”.

Mark Galeotti analizza per Fanpage.it le possibili conseguenze di un intervento occidentale esplicito in Ucraina.

Professor Galeotti, il Presidente ceco Pavel non la manda a dire. Ben venga l’intervento, secondo lui. Ma esiste qualche limite giuridico alla possibilità di utilizzare truppe Nato in Ucraina?

È del tutto appropriato che qualsiasi membro della Nato persegua effettivamente l’obiettivo di far parte di operazioni di addestramento e assistenza. Perché non è una questione prevista dall’Articolo 5 (l’articolo che presuppone l’intervento armato e la difesa collettiva in caso di attacco a uno Stato membro, ndr). Pavel, allo stato attuale delle cose, ha ragione. Ma sembra voler andare ben oltre. Non è certamente dalla parte delle colombe, in questo dibattito. In realtà, quello che stiamo sentendo dai maggiori Paesi Nato sono dichiarazioni in senso opposto alla sua. Mi pare che prevalga nettamente la tendenza a raffreddare gli animi. E ad allontanare l'idea che vedremo truppe da combattimento schierate in Ucraina.

Ma tutti, russi compresi, sanno bene che c’è già personale Nato, anche se almeno in teoria non coinvolto direttamente nei combattimenti. Perché la Russia non reagisce?

In realtà la Russia non ha buone opzioni, che non siano potenzialmente autolesioniste, per controbattere alla presenza di addestratori e assistenti Nato in Ucraina. Far finta di niente è in realtà nell'interesse di tutti. Del Cremlino come della Nato.

Il Cremlino però minaccia una drammatica escalation, se la presenza Nato diventasse ufficiale e più operativa. Quale potrebbe essere questa escalation, alla luce della dottrina militare russa?

Dipende. Si tratta di vedere se i russi considerino l’intervento Nato equivalente a una dichiarazione di guerra o meno. Come sempre, la decisione sarebbe politica. Dal punto di vista strettamente militare, come dicevo, non hanno molte opzioni di contrapposizione o rappresaglia. Non sono certo in grado di poter invadere territori della Nato, tanto per cominciare. Il 97% delle loro truppe di terra sono attualmente schierate contro le forze ucraine. Quindi, in teoria, potremmo vedere tutt’al più attacchi aerei o missilistici oltre confine, diretti contro i Paesi dell’Alleanza. Ma qualsiasi azione — anche di questo tipo — distrarrebbe risorse dalle operazioni sull’attuale teatro di guerra. Con conseguenze potenzialmente pericolose per le sorti russe.

Mica è vero che hanno poche opzioni. Hanno sempre le armi atomiche. Potrebbero usarle?

In un caso davvero estremo, potrebbero. Questo è proprio il tipo di scenario che li porterebbe a pensare all'uso di armi nucleari non strategiche. Armi nucleari tattiche.

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E da lì ad Armageddon la distanza è breve. Secondo lei i Paesi occidentali sono pronti a un rischio del genere?

Proviamo ad essere onesti: penso che una delle questioni chiave non sia tanto il fattore deterrente rispetto a ciò che farebbero i russi, ma il fattore deterrente rispetto a ciò che farebbero le popolazioni dei Paesi membri della Nato. Francamente, non esiste alcun elettorato disposto a permettere un coinvolgimento a questo livello. E, per tornare a chi ha innescato questo dibattito, Macron lo sa perfettamente.

Allora perché ha prospettato l’ipotesi di un intervento diretto?

Ammetto il mio cinismo, ma quel che penso è che Macron non sopporti di non essere sotto i riflettori. Le sue dichiarazioni sono state finalizzate a mettere in imbarazzo sia la Germania che l’opposizione di estrema destra in Francia. Sapeva che nessuno sarebbe venuto a vedere il suo bluff. Ed era proprio un bluff, perché se davvero si sentisse così impegnato nella causa ucraina, potrebbe inviare truppe francesi. Non c’è mica bisogno che sia un'impresa multinazionale. Sono sicuro che gli ucraini sarebbero ben contenti se Macron gli mandasse la Legione straniera. Ma ovviamente non lo farà. E il bluff rimane più o meno coperto, nella mano che sta giocando.

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E che posta c’è sul tavolo, in questa mano di poker?

Macron prova a mettere in imbarazzo i tedeschi perché cerca di diventare la figura dominante nella politica europea. Ma anche, cosa probabilmente più importante, il clamore delle sue affermazioni gli permette di puntare un faro sulla Le Pen e sul resto dell’opposizione di estrema destra, in un momento in cui si trova ad affrontare notevoli sfide. In pratica, ha detto alla Le Pen: “Io sono disposto ad affrontare il tema dell’intervento diretto contro la Russia, tu cosa sei disposta a fare? O semplicemente non vuoi parlarne perché resti sempre un amica di Putin”?

In questa situazione, con la Russia all’offensiva, l’Ucraina a corto di munizioni e la prospettiva di una presidenza Trump in America, l’Europa si deve armare?

Assolutamente sì. Per molto tempo abbiamo sfruttato il cosiddetto “dividendo della pace”. Ci sono Paesi che non spendono per la difesa nemmeno quel 2% del PIL che dovrebbe essere il minimo per un membro della Nato. Oppure, se lo spendono, è più per espedienti contabili che per altro. Abbiamo fatto affidamento su due cose. La prima è l’assenza di ogni tipo di minaccia proveniente dall'Est. L’altra è che potevamo sempre contare sullo Zio Sam, perché si prendesse cura di noi. Ora, entrambi i fattori vengono messi in discussione. E quindi, penso che sia assolutamente logico che i Paesi europei siano molto più seri riguardo alla loro difesa. E per difesa non intendo solo il settore strettamente militare. Ma anche il controspionaggio e tutto ciò che oggi si può utilizzare per difendersi dai diversi tipi di attacco.

Si è tornati a parlare di difesa comune europea. Oltre settant’anni dopo il fallimento del progetto della Ced. Per l’appunto proposto e infine bocciato dalla Francia, anche oggi al centro del dibattito. È realistico, oggi, il tema di un esercito comune dell’Europa?

No. C’è il problema di fondo dell’enorme trasferimento di potere a Bruxelles che la formazione di un esercito europeo comporterebbe. Ma anche se i Paesi Ue accettassero in linea di massima l’idea, metterla in pratica richiederebbe molto tempo. Se ne parlerebbe tra dieci anni, come minimo. In questo momento, sarebbe solo una distrazione dai problemi contingenti. Che richiedono decisioni parecchio più rapide

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