“Non piangere per me, tieni la testa alta”: la lettera di Mariam, giornalista uccisa a Gaza, al figlio 13enne

Una lettera consegnata alla storia come testamento d’amore e disperata eredità di speranza. Così Mariam Abu Dagga, giornalista freelance di 33 anni, ha affidato le sue ultime parole al figlio tredicenne Ghaith, prima di essere uccisa nel raid israeliano che ha colpito l’ospedale Nasser di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.
"Ghaith, cuore e anima di tua madre, sei tu. Ti chiedo di non piangere per me, ma di pregare per me, così che io possa restare serena. Voglio che tu tenga la testa alta, che tu studi, che tu sia brillante e distinto, e che tu diventi un uomo che vale, capace di affrontare la vita, amore mio".
Parole che colpiscono come una ferita e al tempo stesso si innalzano come un inno alla resilienza. La giornalista scelto di restare accanto al suo popolo e di raccontare la sofferenza dei civili intrappolati nella guerra. Aveva scritto delle corsie affollate di bambini malnutriti all’ospedale Nasser, dei medici esausti che cercavano di salvarli nonostante la mancanza di mezzi.
Nella sua lettera, Mariam chiede al figlio di custodire il ricordo della sua dedizione:
Non dimenticare che io facevo di tutto per renderti felice, a tuo agio e in pace, e che tutto ciò che ho fatto era per te. Quando crescerai, ti sposerai e avrai una figlia, chiamala Mariam come me".
Tra i quattro giornalisti rimasti uccisi nell’attacco che ha devastato l’ospedale ci sono anche Mohammed Salama, corrispondente di Al Jazeera, e Hussam al-Masri, cameraman che collaborava con Reuters. Un altro fotografo, Hatem Khaled, è rimasto ferito. Secondo il Committee to Protect Journalists, dall’inizio della guerra a Gaza sono stati uccisi almeno 192 operatori dei media, una cifra senza precedenti se confrontata con altri conflitti recenti.

Associated Press, con cui Mariam collaborava dall’inizio della guerra, si è detta “scioccata e rattristata” per la sua morte. La reporter aveva lavorato anche per Independent Arabia e altre testate internazionali, documentando senza sosta la crisi umanitaria. Suo figlio Ghaith era stato evacuato all’inizio del conflitto, ma lei aveva deciso di restare.
Il suo ultimo messaggio, rivolto al ragazzo, risuona come un testamento universale di coraggio e dignità:
Tu sei il mio amore, il mio cuore, il mio sostegno, la mia anima e mio figlio: colui che mi fa alzare la testa con orgoglio. Sii sempre felice e conserva una buona reputazione. Ti prego, Ghaith: la tua preghiera, poi ancora la tua preghiera, e poi ancora la tua preghiera".
Ventidue mesi di guerra hanno trasformato Gaza in un cimitero per giornalisti, medici e civili. La morte di Mariam Abu Dagga non è soltanto la perdita di una voce indipendente, ma anche di una madre che ha saputo trasformare il dolore in un atto d’amore assoluto. Il suo testamento spirituale resta come monito e come richiesta al mondo di non dimenticare.