Mosca tra esplosioni e ombre: quando il caos serve al Cremlino

L’esplosione è avvenuta all’1:30 di notte nel sud della capitale. Chi abita dove la Yelatskaya ulitsa incrocia la Yasenevaya l’ha sentita bene. Ormai ci si stanno abituando, alle esplosioni. Un giorno prima, a pochi passi di distanza, era stato fatto saltare in aria il generale Fanil Sarvarov. “Stavolta il botto è stato meno forte, ma mi ha svegliato”, dice un residente in un video girato da Reuters Television. “Sono andato alla finestra e ho visto che anche in questo caso era stata coinvolta un’automobile, ma non era saltata in aria come quella di ieri”. Mosca si sente più vicina alla guerra e meno sicura, dopo gli eventi degli ultimi giorni. La bomba stavolta ha ucciso due poliziotti e una terza persona. Presumibilmente la stessa che ha fatto esplodere l’ordigno. Alcuni siti di notizie russi sostengono si trattasse di un dispositivo improvvisato, in gergo militare IED. Fatto sta che i palazzi intorno hanno tremato, ha riferito una seconda testimone a Reuters.
Gli attentati nella capitale
Il Comitato investigativo di Stato ha dichiarato che i due agenti morti si avvicinavano a un uomo dal comportamento sospetto. Si indaga per omicidio e traffico illecito di esplosivi. Non si è subito puntato il dito sui servizi segreti di Kiyv, come nel caso del generale Savarov. Ma in giornata è arrivata una rivendicazione indiretta: un funzionario dell’HRU, il servizio di sicurezza militare ucraino, ha riferito al Kyiv Post che l’agenzia è coinvolta nell’attacco. Secondo quanto riporta il giornale, il funzionario ha affermato che i due uccisi avevano preso parte all’invasione con le forze armate russe e avevano torturato prigionieri di guerra ucraini. La fonte ha affermato che l’attacco è stato compiuto da un dissidente locale. Questo il suo racconto: ”Avvicinatosi a una volante parcheggiata vicino alla stazione di polizia, il dissidente ha lanciato un pacco esplosivo attraverso il finestrino dell’auto, provocando un’esplosione”. Oltre alle due vittime, “altre due persone sono state ricoverate in ospedale con gravi ferite”.
Servizi ucraini o dissidenti russi?
Se davvero fosse andata così, l’attentato ricorderebbe quello che nell’aprile di due anni fa uccise con una statuetta esplosiva in un bistrot di San Pietroburgo il blogger ultra-nazionalista russo Maxim Fomin, meglio noto come Vladlen Tatarsky. Rimasero ferite una quarantina di persone. In quel caso, l’ex deputato della Duma russa Ilya Ponomarev, da molti anni in esilio a Kyiv, disse a Fanpage.it che l’operazione era stata portata a termine dalla “resistenza armata russa”, responsabile di decine di atti di sabotaggio e consistente in gruppi non strettamente integrati in una catena di comando e comprendenti un migliaio di effettivi. Ponomarev sosteneva di aver fornito aiuto materiale e tecnico ai gruppi che combattono contro il regime in Russia. Non ha risposto oggi alla nostra richiesta di un commento.
Attentati precedenti
Dall’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, Kyiv — o persone che hanno agito in Russia in modo indipendente perseguendo obiettivi di Kiyv — ha condotto attacchi mirati contro militari russi e persone legate al Cremlino sia in Russia sia nei territori ucraini occupati. Nel dicembre 2024, Igor Kirillov, capo delle forze russe di difesa radiologica, chimica e biologica, è stato ucciso a Mosca da un monopattino elettrico imbottito di esplosivo, in un attacco rivendicato dal Servizio di sicurezza interna dell’Ucraina (SBU). Nel dicembre 2023 dello stesso anno, l’ex deputato ucraino Ilya Kiva – fuggito in Russia e condannato in contumacia per tradimento – è stato trovato morto per ferite d’arma da fuoco in un parco vicino a Mosca, in un assassinio successivamente attribuito all’SBU, che ha informalmente ammesso il suo coinvolgimento. Nell’agosto 2022, un attentato con autobomba che ha ucciso Daria Dugina, figlia dell’ideologo ultranazionalista Alexander Dugin — vero obbiettivo dell’attentato. La responsabilità dell’SBU, indicata come certa dalle autorità russe, non è mai stata dimostrata né confermata da Kyiv.
Il caos controllato del sistema Putin
Dato che i servizi ucraini hanno rivendicato le azioni in alcuni casi e non in altri, è verosimile che in alcuni casi abbiano effettivamente agito gruppi che si trovano stabilmente in Russia e che hanno legami fluidi e non strettamente gerarchici — ma certamente esistenti — con l’intelligence di Kyiv. Di sicuro, i recenti fatti di Mosca dimostrano che la morsa della sicurezza in Russia è più apparente che effettiva. Chi pensa che sistema autoritario — o totalitario ibrido, come alcuni politologi definiscono quello russo — regime repressivo e sorveglianza poliziesca onnipresente garantiscano sempre controllo, protezione e ordine non conosce la Russia. Dove l’eredità sovietica produce tuttora negligenze e sciatteria, mentre alla realtà putiniana si accompagna la presenza di imprenditori politici e conformisti aggressivi, che a tutti i livelli cercano di far salire le loro quotazioni all’interno del regime, e la competitività tra le diverse agenzie statali, soprattutto tra i quattro servizi segreti: FSB, GRU, SVR e FSO — rispettivamente interno, militare, estero e per la protezione del presidente. Per non parlare dei quasi duecentomila “pretoriani” della Rosgvardia che risponde direttamente al presidente.
La “verticale del potere”, di cui spesso si parla quando si parla della Russia, in realtà somiglia a una curva a banana. Il livello di efficienza e la capacità di controllo non sono lineari. E allora deve farsi sentire la voce del padrone. Dopo l’assassinio del generale Savarov, Putin ha espresso irritazione e insoddisfazione per il fatto che un alto ufficiale russo sia stato colpito in piena Mosca. Ha detto senza mezzi termini che i servizi di sicurezza non hanno fatto abbastanza per prevenire l’attentato. Se da una parte il capo del Cremlino deve preoccuparsi per trascuratezze e negligenze “sovietiche” difficilmente eliminabili, dall’altra correre in modo drastico altre variabili della natura volutamente caotica del sistema.
“Eroi” finché dura
C’è un altro avvenimento di questi giorni a Mosca che racconta molto della natura “del sistema Putin”. Due giorni fa nella cattedrale del Cristo Salvatore, centro del potere spirituale e politico, è stata tumulata la salma di Stanislav Orlov, detto “Spaniard”, fondatore dell’unità militare di estrema destra Española, composta da hooligan e volontari neonazisti che combattevano in Ucraina per la Russia. Al funerale hanno partecipato centinaia di uomini dalla facce poco raccomandabili. Una tomba dentro il Cristo Salvatore è un onore grande, a cui solo i grandi del regime possono aspirare. La causa della morte non è stata resa nota, aumentando i sospetti. Ma a ucciderlo potrebbero essere stati i servizi di sicurezza di Mosca.
Il sito indipendente russo in esilio Astra ha diffuso immagini di videosorveglianza che mostrano gli istanti precedenti alla morte di Orlov: un gruppo di uomini armati in uniforme arriva davanti alla sua abitazione, seguito dal suono di colpi d’arma da fuoco. Lo stesso media riferisce che i soccorsi sono giunti solo molte ore dopo, per il recupero del corpo.
Un assassinio probabilmente collegato alla repressione del Cremlino contro gruppi ultranazionalisti autonomi, dopo la ribellione del gruppo Wagner nell’estate del 2023.
Bombe nemiche e omicidi di stato
“La morte di Orlov è un’altra eliminazione dimostrativa dei radicali sfuggiti al controllo, secondo la stessa logica di Prigozhin”, dice a Fanpage.it da Mosca l’analista politico Andrei Kolesnikov, “Un avvertimento per scoraggiare chiunque voglia seguire una via indipendente, soprattutto se molti uomini armati dovessero tornare dal fronte.” La sepoltura nella Cattedrale evidenzia un paradosso della Russia di oggi: “Gli zeloti radicali sono celebrati e santificati negli spazi più sacri, ma se superano i limiti imposti dallo Stato, possono essere eliminati”, spiega Kolesnikov.
Le bombe di Mosca non segnano solo la guerra che entra in città. Riflettono un sistema poco efficiente nel difendersi dal nemico e che tollera il disordine finché gli è utile, reprimendolo solo quando diventa pericoloso per il potere. Putin rimprovera i suoi servizi per le falle nella sicurezza, ma li usa per regolare conti interni, colpendo uomini celebrati come eroi. Autonomia al di fuori di ogni regola finché serve al regime, eliminazione quando lo si inizia a sfidare. In questo caos calcolato, le esplosioni nella capitale e le raffiche di Kalashnikov contro Orlov sono parte di un sistema che rispetto alla protezione dei suoi generali e poliziotti privilegia tutto ciò che è utile per la conservazione del potere.