Le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla a Siracusa: “Pronti a partire, gli attacchi non ci spaventano”

Ad Augusta, in Sicilia, la tensione si percepisce ancor prima di chiederlo, dopo due notti consecutive di attacchi alle navi della Global Sumud Flotilla che sono ancorate in Tunisia. Qui ci si prepara a salpare con le altre imbarcazioni dirette a Gaza con la consapevolezza concreta che tutto potrebbe succedere.
Gli ultimi pacchi di aiuti umanitari vengono caricati sulle barche che domani salperanno prima verso Siracusa e poi verso il Mediterraneo centrale, dove dovrebbero ricongiungersi al resto della flotta salpata da Barcellona e adesso al porto di Sidi Bou Said.
“Stiamo caricando le merci sulle barche, gli aiuti umanitari, la cambusa e i medicinali. Ci aspettavamo attacchi di droni, non ci hanno stupito più di tanto, certo non ce ne aspettavamo due, così ravvicinati e così lontani ancora dalla meta finale. Però non è un atto che ci ha affranto nell'animo, anzi siamo sempre più desiderosi di partire e non ci ha fatto cambiare idea”, spiega Linda Ansaldi, interna all’organizzazione della sezione italiana del Global Movement to Gaza e che prenderà parte alla Global Sumud Flotilla.
Alcune persone che erano già indecise, probabilmente demoralizzate dal lungo ritardo, ci raccontano di aver deciso di non partire più, ma la maggior parte degli equipaggi sono rimasti invariati, saldi alla loro scelta.
“Sono stanca”, continua la donna, “come tutti d’altronde, perché stiamo lavorando tanto. Sono due mesi e mezzo che lavoriamo senza sosta 7 giorni su 7, quasi 24 ore su 24, ma siamo qua tutti per lo stesso motivo. Nonostante la situazione sia critica, non c'è stato quasi nessuno che si è allontanato se non per motivi magari lavorativi o perché la partenza è stata ritardata”.
Intanto Stefano Regola, con una maglietta di Vittorio Arrigoni che porta orgoglioso sotto la pettorina di Music For Peace, carica i pacchi di aiuti: “Sono Stefano, Presidente e portavoce di Music for Peace. Questa è una piccola parte del materiale raccolto: 500 tonnellate, di cui 45 le abbiamo inviate qua ad Augusta. Il resto verrà mandata in Sudan, dove siamo attivi già da prima del conflitto. Per un’altra parte, il grosso del materiale, stiamo cercando una via alternativa, ovviamente via terra, per riuscire a mandarla a Gaza”, spiega indicando i pacchi posti l’uno sull’altro al porto di Augusta.
“Queste 500 tonnellate raccolte – continua l’uomo – rappresentano centinaia di migliaia di persone che hanno pensato, hanno preparato il loro sacchetto della spesa, ci hanno raggiunti e ce l'hanno consegnato. Dentro questi pacchi, su quelle barche, non ci saranno solo alimenti, ma ci saranno migliaia di persone che stanno dicendo che vogliono una Palestina libera”

Genovese di origine, Stefano è anche un padre, e si trova qui con il figlio di 11 anni e la compagna Valentina. Ha speso tutta la sua vita in zone di conflitto, compresi tanti anni a Gaza, e oggi è pronto a salpare.
Silvia, invece, i figli li ha lasciati ad Ancona insieme al compagno. “Supporteranno la missione da terra”, racconta a Fanpage.it. Nella vita è impiegata dell'Inps e quest’anno passerà le sue ferie in navigazione.

“Non sono mai stata attivista, né per la Palestina né per altro, ma sono qui perché a un certo punto non ne potevo più”, continua, “è partito tutto dal nulla, a un certo punto quando vedi un massacro in mondo visione, un genocidio a tutti gli effetti e che nessuno fa niente, devi fare qualcosa”.
Come lei tanta gente si trova qui oggi è spinta solo dal desiderio di fare qualcosa, di fare quello che i governi europei non hanno fatto per la popolazione di Gaza stremata da 22 mesi di bombardamenti incessanti e dalla carestia imposta da Israele.
“Se è vero che io da solo sono una piccola goccia, tutti insieme siamo tante gocce e formiamo il mare. Quello che chiedo alle persone che staranno a terra è di starci vicino e quando sarà il momento del contatto, di dimostrare il loro dissenso, rigorosamente, in modo pacifico ed educato, ma risoluto”, continua Stefano. “Risoluto vuol dire incessante finché non avremmo raggiunto l'obiettivo. Ovvero fino a che questo materiale non arrivi a Gaza, alla popolazione. Molti non lo sanno ma Gaza è grande esattamente come Genova solo che ci vivono 2 milioni e 300 mila persone. L'80% delle abitazioni sono distrutte. Non esiste più rete fognaria, non esiste rete idrica, non esiste rete elettrica. Il cibo non si trova più. La gente mi racconta che mangia la sabbia, perché la sabbia non è così nociva ma riempie lo stomaco, dà il senso di pienezza. Un chilo di farina, se lo trovi al mercato nero, costa dai 35-40 dollari in su. Pensate a 2 milioni e 300 mila persone che devono espletare le funzioni vitali, basti pensare anche solo alla necessità di andare al bagno”, aggiunge.

Ma se a Gaza la situazione peggiora di ora in ora, qui si tenta con fatica di far salpare la missione umanitaria via mare più grande di sempre. Trovare le imbarcazioni, metterle insieme, assicurarsi che siano pronte a salpare, preparare l’equipaggio, tenerlo unito, essere sicuri delle persone con cui si salperà, le condizioni meteo, i ritardi e adesso gli attacchi alle barche che dovrebbero dirigere la flotta, non sono sfide semplici da affrontare. Non lo sono per esperti di mare, figuriamoci per gente che in mare non è mai stata. Nonostante tutto la delegazione italiana sembrerebbe pronta a partire domani da Siracusa.
“La preoccupazione c'è, molte persone hanno lasciato proprio in seguito agli attacchi, in realtà però la gran parte non vede l'ora di partire, cioè abbiamo voglia proprio di metterci in moto, di unirci agli altri, io non vedo l'ora di unirci al resto della flotta che si trova a Tunisi per vederci, contarci tutti quanti, salutarci da una barca all'altra. Qua stiamo scalpitando. Ogni volta che esce una barca per provarla si applaude, perché dietro c'è stato un lavoro immane, abbiamo squadre di meccanici, di elettricisti, professionisti veramente impagabili che fanno tutto volontariamente e hanno sistemato delle barche che pensavamo fossero a posto, invece a posto non erano”, continua Silvia.
Vito, invece, in questi giorni si è dato un gran da fare, dopo aver lasciato il suo lavoro da infermiere in pronto soccorso ha organizzato tutti i protocolli di urgenza-emergenza e ha procurato il materiale idoneo per le imbarcazioni.
“Da parte mia e di tutto l’equipaggio non c’è stato nessun passo indietro”, ci spiega di fronte alla barca su cui salperà, “non ci sarà nessun fuoco che possa spegnere il nostro, quello dell’umanità. Quello che facciamo non è una semplice missione di supporto, noi stiamo portando speranza agli ultimi della terra che ci stanno insegnando tutti i giorni cosa vuol dire esistere resistendo”.