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Julian Assange e il caso Wikileaks

Julian Assange, penultimo atto: Londra dice ancora sì all’estradizione in Svezia

Anche il processo d’appello si traduce in un nulla di fatto per Julian Assange che, ancora una volta, perde la battaglia legale contro l’estradizione in Svezia. Gli restano ancora due settimane per presentare un ultimo ricorso, dopodiché non resterà che la Corte Europea dei Diritti Umani.
A cura di Anna Coluccino
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BRITAIN WIKILEAKS JULIAN ASSANGE IN COURT
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Una nuova sconfitta legale si abbatte sull'hacktivist australiano Julian Assange a 564 giorni dall'arresto. Aveva già perso il primo processo contro la richiesta di estradizione in Svezia e ora Assange vede sfumare anche le speranze riposte nell'appello. Al momento, le sue dichiarazioni si riducono a un laconico: "Non era questo l'esito sperato", e non resta che riporre i rimanenti sprazzi di fiducia nell'ultimo appello che la Corte Suprema, guidata da Lord Phillips of Worth Matraves, mette a disposizione del patron di Wikileaks. Assange e il suo avvocato hanno ottenuto – in via eccezionale – due settimane di tempo per presentare l'ennesimo ricorso, ma dopo due sentenze sfavorevoli non sembra realistico immaginare che nel corso di un terzo procedimento i giudici vorranno esprimersi diversamente. Eppure di elementi in base ai quali è possibile contestare l'estradizione ce ne sono diversi. Primo fra tutti la persecuzione politica.

Il reato contestato ad Assange – che si configura come tale solo in Svezia e consiste nel essersi rifiutato di utilizzare protezioni durante rapporti sessuali consenzienti – non appare di una gravità tale da necessitare l'emissione di un mandato di cattura internazionale. Assange, inoltre, si è consegnato immediatamente e di sua sponte a Scotland Yard, confidando nel fatto che la vicenda non mostrasse di possedere le basi legali per protrarsi oltre il dovuto. La strana coincidenza, poi, tra la pubblicazione della prima, pesante tranche di documenti riservati da parte di Wikileaks e l'emissione del mandato dovrebbe, come minimo, portare a una seria riflessione circa il reale obiettivo di tale arresto. Date le circostanze, è lecito quanto meno il sospetto che alla base della richiesta non ci sia il desiderio di restituire dignità e giustizia a due donne – le quali hanno denunciato Assange solo dopo aver saputo l'una dell'altra e sotto "consiglio" di una poliziotta – ma quello di sfruttare le malcapitate facendo leva su un tema sensibile come quello dello stupro (anche se non è di stupro che parliamo, almeno non nell'accezione comune del termine) per acciuffare Assange e spedirlo negli USA.

Il mandato non è soltanto sospetto dal punto di vista delle motivazioni e, messe da parte le valutazioni politiche, resta la presenza di un vizio di forma nella richiesta di estradizione che la Svezia ha mosso contro Assange; vizio che – però – la Corte Suprema inglese non ha ritenuto motivo sufficiente a negare l'estradizione. La linea della difesa puntava sul fatto che la richiesta provenisse da un pubblico ministero svedese e non da un giudice – così come invece sarebbe previsto dai trattati internazionali. Cinque giudici su sette hanno rigettato tale obiezione preferendo un'interpretazione più estensiva del diritto internazionale e confermando la legittimità della richiesta della Svezia. A questo punto, nel caso anche il terzo appello dovesse confermare la sentenza di estradizione, ad Assange non resterà che fare ricorso alla Corte Europea per i Diritti Umani e dimostrare l'esistenza della persecuzione politica di cui si dice oggetto.

Perché il vero problema è che se i sospetti di molti dovessero trovare conferma nei fatti, Assange potrebbe star rischiando la vita e la tappa verso la Svezia non sarebbe che un breve scalo verso la tappa definitiva: gli Stati Uniti.  Negli USA, infatti, potrebbe essere chiamato a testimoniare nel processo contro Bradley Manning e, una volta sul territorio statunitense, Assange – già segnalato come "persona non grata" – potrebbe vedersi recapitare gravissime incriminazioni che, nel peggiore dei casi, avrebbero come conseguenza l'ergastolo o la pena di morte. Ciononostante, sono in molti a credere che Assange rischi di non arrivare mai a nessun processo. Le parole della madre di Julian in seguito alla pronuncia dell'ultima sentenza, suonano infatti molto chiare: "I governi di mezzo mondo vogliono ucciderlo".

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