video suggerito
video suggerito

Intervista a Basel Adra, regista di No Other Land: “In Cisgiordania pulizia etnica e colonialismo, piano Trump non cambia nulla”

Abbiamo intervistato il regista del film premio Oscar “No other land” e abbiamo parlato delle violazioni dei diritti umani e del futuro della Palestina.
A cura di Valerio Nicolosi
49 CONDIVISIONI
Immagine

Se riconoscete la Palestina come Stato ma non riconoscete dei confini delineati e non proteggete la popolazione dalla pulizia etnica, a cosa serve?

Questa è una delle frasi più brevi e più dense dell’incontro con Basel Adra, regista premio Oscar del film No Other Land, e Mohammed Hureini, attivista palestinese della zona di Masafer Yatta, in questi giorni a Roma per la proiezione del film che racconta la violenza dei coloni israliani nella loro zona. Li abbiamo incontrati a margine di una conferenza stampa alla Camera dei Deputati proprio sulle violenze israeliane in Cisgiordania.

Come Valutate l’accordo di Trump siglato per Gaza e cosa cambia per voi in Cisgiordania? 

“Per noi non cambia nulla, c’è una promessa di non annessione della Cisgiordania ma quello che accade oggi è prosecuzione della Nakba del 1948, è solo l’ultimo capitolo. Ogni giorno affrontiamo l’espansione delle colonie e lo sfollamento forzato dei palestinesi, ogni notte ci sono attacchi dei coloni. Noi siamo già rifugiati della Nakba, io sono della terza generazione di rifugiati, la casa dei miei nonni è in un paese che ora è territorio israeliano e non ho mai potuto nemmeno vederla, così come non ho mai visto Gerusalemme, perché oltre il muro costruito da Israele. Intanto oggi rischiamo di essere ancora una volta sfollati: dove andremo stavolta?” risponde Mohammed Hureini, ha appena 21 anni ma mostra sicurezza ed esperienza, necessaria per chi vive sotto occupazione da quando è nato.

Nel film abbiamo visto le violenze, le minacce, che subite ogni giorno. Alla  fine di luglio di quest’anno è stato ucciso Awdah Hathaleen, attivista di 31 anni di Umm al-Kheir. L'assassino è il colono Yinon Levy, già sanzionato a livello internazionale ma in libertà dopo poche ore dall’omicidio. Come è vivere nella zona 918, quella di addestramento militare israeliano?

Vuol dire avere la pressione costante nella tua vita, vuol dire che l’esercito entra in casa tua di notte e se non ti trova dice a tuo padre: “Tanto troveremo tuo figlio presto”. Di noi sanno tutto: dal nome agli spostamenti ma non per questo non continueremo a denunciare quello che fanno. In questo momento la guest house che ospita gli attivisti internazionali è sotto attacco, c’è un ordine di abbattimento e nonostante abbiamo fatto ricorso nei tribunali israeliani difficilmente si fermeranno. Noi siamo appunto nella zona 918, quella che Sharon ormai quasi 40 anni fa ha dichiarato zona per le esercitazioni militari e per questo vogliono mandarci via e chi si impegna per restare e permettere agli altri di farlo lo arrestano o lo uccidono, proprio come Awdah Hathaleen. Ora però stanno usando anche un’altra strategia: hanno dichiarato zona archeologica metà del villaggio di At-Tuwani, un villaggio della nostra zona, una scusa per mandarci via senza l’uso della forza, per essere legittimati agli occhi del mondo.

Basel, in questi giorni abbiamo assistito alla trattativa per la lista dei prigionieri palestinesi da liberare e come era prevedibile, Marwan Barghouti è rimasto in cella nonostante le pressioni di tutta la leadership palestinese e quelle internazionali. Il vostro è un movimento non violento, quindi diverso dai partiti politici tradizionali dove ha militato Barghouti, la sua prigionia può essere un problema per il percorso democratico palestinese? 

Ovviamente speriamo e chiediamo che lui e tutti gli altri prigionieri palestinesi vengano liberati il prima possibile. In Marwan Barghouti si rispecchiano molte persone e vedono in lui un leader importante e la sua scarcerazione sarebbe stato un messaggio politico di unità, però Israele non vuole questo, ci vuole divisi e lo hanno detto chiaramente: a Gaza come in Cisgiordania impediscono una qualsiasi forma di unità e di reale rappresentanza.

Nello specifico rispetto a Barghouti credo anche che nessuno abbia la bacchetta magica e che dopo 20 anni di carcere non sia facile, per lui come per chiunque altro, risolvere tutti i problemi. In Palestina ci sono molte persone che ogni giorno si impegnano e credo che ci siano anche molti altri leader meno famosi ma altrettanto importanti. Non possiamo aspettare la liberazione di Barghouti per chiedere l’autodeterminazione dei palestinesi, dobbiamo farlo subito.

Con Trump, nonostante il cessate il fuoco, tutto sembra ancora più difficile. Tu sei stato negli USA per gli Oscar, hai avuto modo di capire se il movimento per la Palestina abbia un’influenza o meno? 

Ho girato molto prima degli Oscar e ho incontrato tantissimi giovani che ci sostengono, soprattutto nei campus università, ma credo che sia ancora difficile cambiare la società perché le decisioni non le prendono loro, le prendono i bianchi anziani. Ci sono delle possibilità, qualcosa sta cambiando, ma bisogna ancora lavorare molto.

A livello internazionale però qualcosa sembra cambiato: la Francia ha spinto una serie di riconoscimenti dello Stato palestinese che sono poi sfociati anche in votazioni a larga maggioranza all’ONU. Per voi questi riconoscimenti hanno inciso sulla vita quotidiana? 

Dopo il riconoscimento da parte della Francia, Israele ha chiuso per 3 giorni il confine di Allenby, con la Giordania. Non solo non potevamo muoverci tra le città della Cisgiordania per via dei check point posizionati ovunque, non potevamo nemmeno più uscire. Prima del 7 ottobre 2023 i check point erano asfissianti per la nostra vita, dopo si sono moltiplicati e a ogni riconoscimento di un nuovo Paese della Palestina aumentavano i problemi. Risponde Basel Adra e Mohammed Hureini aggiunge: in quei giorni c’era un meme che facevamo girare sui nostri social e diceva: “smettete di riconoscere la Palestina che non possiamo più muoverci”. Per voi può sembrare assurdo ma Israele si vendica così e soprattutto questi riconoscimenti puramente formali per noi non cambiano nulla. Se riconoscete la Palestina come Stato ma non riconoscete dei confini delineati e non proteggete la popolazione dalla pulizia etnica, a cosa serve?

Quale può essere il nostro ruolo di media occidentali? 

Raccontare quello che avviene, non farvi influenzare dai vostri governi e fare pressione. Servono sanzioni contro Israele e invece Netanyahu con un mandato di cattura internazionale della CPI è ancora in giro. Parlate di pulizia etnica, di sfollamenti forzati, del colonialismo e dell’occupazione. Raccontate la verità.

49 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views