In Portogallo un piano per dare case ai cittadini più poveri

In un Portogallo sempre di più flagellato dalle politiche di austerity Helena Roseta, architetta e urbanista, consigliere comunale di Lisbona eletta da indipendente nelle liste del Partito Socialista, sta diventando un simbolo nella lotta alla crisi economica: "Non credo – ha detto – che le risposte alle domande che questa crisi ci pone siano nei mega-progetti da campagna elettorale. Sostengo i processi lenti, magari poco visibili, ma che responsabilizzino le comunità e le rendano partecipi dei processi decisionali”. La donna da anni si batte per contrastare il degrado urbano nelle grandi città del paese. Colpa, secondo lei dell’elevato numero di appartamenti disabitati, del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione. Secondo un censimento del 2008, solo a Lisbona, ci sono 4mila appartamenti abbandonati su un totale di 55mila unità abitative nella capitale portoghese. Coloro che possono emigrano, quelli che restano vivono fuori città per spendere meno, mentre un quarto della popolazione di Lisbona (crollata a 500mila persone dagli 800mila di prima della crisi) vive al di sotto della soglia di povertà.
Per Helena Roseta questo processo va fermato, con una politica dell’alloggio dignitoso. Nasce così il programma Reabilita Primeiro, Paga Depois (Ristruttura prima, paga dopo). “Abbiamo iniziato da una mappatura della città, un lavoro di investigazione sociologica enorme”, spiega l’architetto Roseta. “La dittatura di Salazar aveva creato una situazione paradossale del mercato immobiliare portoghese, bloccando gli affitti a un prezzo fisso che è durato per un quarantennio. Quando è arrivata la Troika (Fmi, Ue e Bce, ndr) con le sue imposizioni per la liberalizzazione del mercato, i proprietari di case hanno dato vita ad aumenti assurdi dei canoni di locazione, inaccettabbili per una società dove lo stipendio medio è di 600 euro e una pensione si aggira sui 500 euro. L’Associazione degli inquiline, in pochi mesi, sono stati sommersi di almeno 6mila richieste di aiuto. Bisognava intervenire con un opera di redistribuzione di unità abitative”.
La donna, tuttavia, è convinta che non si possano distribuire “dall’alto” case, magari espropriate. Per questo lancia il suo programma. “La mappatura ci ha permesso di individuare il disagio delle famiglie e le situazioni che lo generavano. Abbiamo contattato, zona per zona, le associazioni e le realtà locali, coinvolgendole in un consiglio consultivo che si riunisce periodicamente con l’amministrazione comunale. Questo monitoraggio permette, attraverso il confronto costante con la popolazione locale, di creare delle categorie di cittadini in base al bisogno e alla necessità, rendendo pubblico e spiegando tutti i passaggi. Di fronte a situazioni paritetiche, si sorteggia. Le famiglie vengono introdotte in un’unità abitativa che si impegnano a ristrutturare, con i mezzi che hanno a disposizione e a farle proprie nel tempo”. Insomma, un esperimento di democrazia partecipativa che sta dando ottimi frutti. Chissà se qualcuno nella sconquassata sinistra italiana se ne accorgerà…