“Il vertice con Trump è una vittoria di Putin, ma non porta la pace in Ucraina”: parla l’esperto di negoziati

Il summit di Ferragosto è già una vittoria di Vladimir Putin: gli consente di legittimare la sua Russia come grande potenza alla pari degli Usa. È anche una lusinga nei confronti di Donald Trump che può quanto meno mostrare al mondo di essersi impegnato fino in fondo per la pace. Gli ostacoli prevalgono sulle opportunità.
L’avventura diplomatica in Alaska potrebbe rilevarsi una mossa di facciata: Mosca e Washington potranno dire di aver fatto il possibile per far tacere le armi e poi continuare a perseguire i propri interessi. Che comprendono una collaborazione pragmatica in vari ambiti. Sulla pelle degli ucraini?
Dito medio a Europa e Cpi
“Speriamo di no”, risponde a Fanpage.it Sergey Radchenko, storico, docente della Johns Hopkins e massimo esperto delle trattative Mosca-Kyiv. “Se Trump convincesse Putin a trovare un accordo per porre fine alla guerra garantendo la sopravvivenza di un’Ucraina indipendente, dovremmo rivedere ogni valutazione e applaudirlo”, continua Radchenko.
“Al momento, credo però che Putin si stia approfittando in pieno del presidente americano, che ritiene piuttosto stupido”. Il vertice con Trump è un riconoscimento importante per il capo del Cremlino.
“Dopo l’umiliazione internazionale, l’accusa di crimini di guerra e il mandato di arresto della Corte penale internazionale fa il dito medio all’Europa, a quei giudici e chi gli vuole male”. Se poi nel vertice Trump sottoscrivesse l’impegno a impedire l’entrata di Kyiv nella Nato, potrebbe vender la cosa ai russi come un vero trionfo.
Anche se l’esclusione dell’Ucraina dall’Alleanza è un punto acquisito di fatto da anni. “Putin probabilmente si sente in cima al mondo in questo momento. Pensa che la sua strategia abbia dato i migliori frutti. E, con qualche ragione, di aver dimostrato l’inconsistenza diplomatica dell’Europa”, nota l’accademico.
Lo stato d’animo del leader russo, insieme alla convinzione reiterata dagli uomini del Cremlino che la Russia stia vincendo la guerra e l’Ucraina sia vicina al crollo, non lascia ben sperare sulla sua volontà di fare concessioni in grado di portare a una soluzione politica sostenibile.
Umori e percezioni contano nelle relazioni internazionali. Al di là del determinismo di certi campioni della geopolitica.
Ostacoli costituzionali
“Non vedo perché proprio ora Putin dovrebbe rinunciare ai suoi obiettivi di guerra che sono soprattutto la demilitarizzazione dell’Ucraina e la sua trasformazione in una specie di stato vassallo, con la Russia a poter decidere anche di una parte della sua legislazione”, spiega Sergey Radchenko.
La cosa vale anche per i territori occupati, aggiunge. Anche se le questioni territoriali non sono le principali per la Russia, perché mai dovrebbe ritirare l’esercito da aree che controlla e da dove esercita la strategia di attrito e logoramento che, secondo i generali e consiglieri dello zar, assicurerà presto la disfatta del nemico?
Il piano esposto all’inviato statunitense Steve Witkoff durante la sua visita a Mosca, secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, prevede il congelamento del fonte sulle linee raggiunte dai russi nelle oblast di Zaporizhzhia e Kherson o addirittura un loro ritiro, non si capisce bene, e la consegna alla Russia di Donetsk e Lugansk, ovvero dell’intero Donbass.
Comprese le parti tuttora controllate da Kyiv. Il problema non è solo l’opposizione di Zelensky e dell’Ue. È che è proibito dalle costituzioni di entrambi i Paesi. L’annessione di Zaporizhzhia e Kherson, oltre a quella delle due regioni che compongono il Donbass, è stata formalizzata nella legge fondamentale della Federazione Russa.
Rinunciare a pezzi di Kherson e Zaporizhzhia è quindi illegale. Mentre la Costituzione ucraina vieta esplicitamente la cessione di qualsiasi territorio nazionale.
Il legalismo dello zar
“Il problema è più per Kyiv che per Mosca”, sostiene Radchenko. “La sicurezza politica di Zelensky non è solida come quella di Putin. Zelensky deve confrontarsi con l’opinione pubblica e con vari gruppi di interesse che possono ostacolarlo seriamente. C’è una forte componente anti-russa che rifiuta qualsiasi negoziato”.
Putin è meno vincolato: con la “sua” Costituzione ha sempre fatto quel che gli pare, riscrivendola più volte a suo piacimento. Come quando ha allungato quasi all’infinito la durata del suo mandato. O quando vi ha inserito la sovranità sulle quattro regioni ucraine, appunto.
“Lo ha fatto proprio per assicurarsi che non si possa tornare indietro, perché dovrebbe farlo?”, si chiede Radchenko. In teoria, basta che dica alla Duma di approvare un emendamento. Ha la maggioranza assoluta. Nessuno gli vota mai contro.
Ma il presidente russo, al contrario di Trump, mica cambia idea facilmente. È vero che la Russia non applica parte della Costituzione e delle sue leggi, cadute in desuetudine insieme all’idea di Stato di diritto. Eppure Putin ha il pallino della legalità. E non gli piace disfare le norme che ha fatto varare perché ritiene giuste. Anche se servono solo a sostenere il regime.
La voglia di disimpegno del tycoon
Altro ostacolo sul raggiungimento di un’intesa che fermi la carneficina attuando il piano presentato a Witkoff, la certezza del non riconoscimento da parte di Zelensky, o di qualunque suo successore, e dell’Europa dei territori conquistati da Mosca.
Anche se Putin si impegnasse a non attaccare in futuro l’Ucraina o altri Pesi europei, prevarrebbe la mancanza di fiducia nei confronti di uno statista che ha riempito il mondo di bugie, smentendo l’attacco contro Kyiv fino al giorno dell’invasione.
In sostanza, in Alaska potrebbe ripetersi quanto avvenne per il piano di pace Usa discusso a Mosca l’11 aprile scorso e poi respinto da Kiev e alleati.
E ciò potrebbe spingere Trump a incolpare l’Ucraina del sostegno alla guerra e portare gli Stati Uniti a ritirare il sostegno militare e diplomatico. Come scrive un editorialista della Izvestia, “nel summit i due leader più che alla pace in Ucraina penseranno a stabilire relazioni bilaterali per cooperare a livello globale”.
I territori “per la Russia non sono una priorità”
D’altra parte, uno scambio di territori era ritenuto possibile ed era stato discusso anche durante gli ultimi vertici tra Putin e Xi Jinping, con i cinesi a far pressione sui russi per un cessate il fuoco, ha detto a Fanpage.it il consulente del Cremlino per gli affari cinesi Alexey Maslov, nella delegazione di Mosca a quegli incontri.
Il fatto che “non sono i territori la priorità della Russia” e che scambi territoriali siano stati presi in considerazione e ritenuti “possibili” l'ha più volte riferito al nostro giornale il consigliere di Putin per la politica estera Dmitry Suslov. Sempre se fossero stati accolti gli obiettivi massimalisti di Putin su demilitarizzazione, neutralità e posizione politica dell’Ucraina, ovviamente.
Ma è passato tempo, da allora. E la percezione della leadership russa è che oggi la vittoria sul campo sia vicina, come ha detto a Fanpage.it lo stesso Suslov poche ore prima che si sapesse del summit di Ferragosto. Radchenko, seppur convenendo che le pretese territoriali sono subordinate rispetto agli altri obiettivi russi, ritiene che la soluzione di cui parla il Wall Street Journal sia “del tutto improbabile”.
Non è l’economia, baby
Un motivo che potrebbe però aver fatto cambiare le strategie del Cremlino riguardo alla guerra è la situazione economica della Russia. Stamani la prima pagina del quotidiano moscovita Nezavisimaya Gazeta non titolava su Trump e Putin ma sulla probabilità che nel 2026 il Paese vada in recessione.
Il bilancio statale ha già superato il limite previsto per fine anno. La spesa militare è alle stelle. Le entrate sono stagnanti, a causa del prezzo del petrolio inferiore alle previsioni. E non c’è alcuna possibilità di tagliare la spesa, con la guerra in corso.
“Ma questo non indurrà Putin a cercar la pace”, afferma Sergey Radchenko: “Lui non lavora per il benessere economico, ma per il suo posto nella Storia”. La colpa di una crisi economica sarebbe attribuita all’Occidente.
Per Putin “conta solo la sua eredità”, conclude lo storico: “Vuole essere ricordato come lo zar che ha riportato indietro le terre perdute”. Non gli importa se il Pil scende e la popolazione soffre: “La guerra in Ucraina andrà avanti. Putin non punta all’immediato benessere dei russi”.
E può sempre contare sul fatto che i russi sono abituati a tutto. È nella loro memoria storica. Maledetta Storia.