Il filosofo Micheal Hardt: “Usa di Trump sono dominio senza egemonia, in tutte le guerre c’è interesse capitalistico”

Il filosofo americano delinea la strategia di Trump: forza, minaccia e paura. Nessuno spazio per la diplomazia: “Così non si può neanche parlare di democrazia”
Intervista a Micheal Hardt
Filosofo
A cura di Antonio Musella
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Micheal Hardt è uno dei più importanti filosofi statunitensi al mondo. Da sempre ispiratore dei movimenti sociali globali, insieme a Toni Negri, ha pubblicato pietre miliari come "Impero", "Comune" e "Moltitudine" tradotti in decine e decine di lingue. In Italia per una serie di convegni è stato intervistato da Fanpage.it per descrivere uno spaccato degli Usa di Donald Trump e dell'irruenza con cui il tycoon americano sta imponendo una logica di guerra sullo scenario mondiale. Dalla "guerra globale permanente" definita nel volume "Impero" sono passati più di 20 anni, ma quegli scenari di cui Hardt e Negri vedevano già la tendenza sembrano essersi materializzati di colpo, in un mondo in cui la diplomazia e la pace sono pratiche ormai desuete ed hanno fatto spazio alla logica della guerra e della sopraffazione. Con Hardt abbiamo analizzato anche gli scenari dei conflitti in corso, dal genocidio in Palestina con il futuro della Striscia di Gaza che sembrerebbe delinearsi nelle mani del presidente degli Stati Uniti fino alla guerra tra Russia e Ucraina.

Con Trump stiamo vedendo uno scenario diverso negli Stati Uniti, restringimento della democrazia, più violenza politica, meno diritti, che America è quella di oggi?

E' ancora difficile saperlo, però è chiaro che siamo entrati in un regime di guerra, all'interno ed all'esterno. Quando parlo di un regime di guerra non voglio semplicemente dire le guerre belliche che stiamo vedendo, in Ucraina e in Palestina, ma anche all'interno c'è una trasformazione dei rapporti sociali, dei rapporti politici, c'è, per dirlo in termini teorici, un dominio senza egemonia. Non si può neanche parlare di democrazia, c'è qualche dinamica sociale, però non è che stanno cercando come politica interna una egemonia, è piuttosto la forza, la paura. Ma anche i militari nelle grandi metropoli, non avrei mai immaginato di avere i militari nelle grandi città come controllo sociale, questo per noi, ma anche qui in Europa, era una cosa fuori dall'immaginazione. C'è un grande sentimento di centro sinistra davanti a tutto questo, ma che dice che dobbiamo tornare alla normalità, però sappiamo tutti che la normalità era già un problema. E' un voler tornare allo status quo, ma questo a parte che non si realizzerà, ma non sarebbe un grande risultato.

Con Trump come è cambiato il ruolo della diplomazia americana, che ruolo si sono dati gli Stati Uniti nel mondo?

Io vedo una continuità, quando parlo di dominio senza egemonia, mi riferisco alla politica interna ma anche alla politica estera. Non c'è una vera diplomazia, o almeno non è mai prioritaria, prima viene la forza, la forza militare ma anche la forza dei dazi, della minaccia, della paura che genera. Questo è, non la chiamerei veramente diplomazia.

Pochi mesi fa Trump pubblicò un video fatto con l'intelligenza artificiale in cui si vedeva Gaza con i casinò, le piscine ed i dollari che piovevano dal cielo, il futuro di Gaza può essere davvero molto simile a quella speculazione, a quella visione assurda di quel video?

C'è sempre un interesse capitalistico, anche in questa guerra. Ad esempio la creazione di un nuovo corridoio della logistica, una operazione che coinvolge anche il mondo arabo per favorire il capitale americano. Anche il capitale personale dello stesso Trump, siamo in questa epoca, sembra starno dirlo. Non è un caso che si cerca la fantasia di una Gaza riviera, piena di soldi, ma senza palestinesi ovviamente. Non può funzionare nel lungo termine, ma quello adesso non conta, dobbiamo vedere all'immediato a questa finta pace che vogliono fare adesso che è semplicemente orribile.

Ti chiedo un punto di vista anche sull'altro conflitto, ad est dell'Europa, tra Russia e Ucraina, come racconta al mondo il modo in cui si sta sviluppando quel conflitto?

Ci dice che l'annessione, l'espansione territoriale è diventata una cosa normale in politica estera. Con la prima espansione in Crimea pensavamo che fosse una eccezione e che Putin fosse matto. Poi c'è stata l'invasione dell'Ucraina, ed abbiamo pensato ancora ad una eccezione, poi Israele che si espande in Palestina, ed ancora abbiamo pensato all'eccezione, e poi ancora in Libano in Siria. Ma quando Trump inizia a sognare sul Canada, su Panama, sulla Groenlandia, vediamo che questa è una novità proprio dell'immaginazione politica, l'espansione territoriale pensavamo che fosse una cosa della prima guerra mondiale. Questo nega non solo il diritto internazionale, ma quello è certo, ma anche quell'idea di diplomazia di cui mi chiedevi, questa immagine egemonica degli Stati Uniti o di altri grandi poteri, non è più necessaria. C'è la forza, le forze armate, l'espansione territoriale.

Negli Stati Uniti il movimento MAGA ha trascinato alla vittoria Trump, ma c'è anche l'operazione MEGA, Make Europe Great Again, oggi questi movimenti si pongono come modello per la destra globale?

In generale vedo questa operazione MEGA come parte dell'ideologia di un regime di guerra, quando dico questo non voglio dire che ci saranno guerre dappertutto, ma c'è una logica di guerra nella società e c'è un collegamento con le guerre reali un po' ovunque. Negli Stati Uniti il tema della guerra civile è entrato nell'immaginario collettivo proprio a partire dal movimento MAGA, loro parlano di guerra civile, parlano spesso di guerra civile in maniera metaforica però altre volte in maniera non tanto metaforica.

Sparano

Eh sì si sparano. Stanno evocando continuamente un nemico, ma non si tratta di un nemico come in altre epoche, in cui si parlava di un nemico elettorale, qui parlano di un nemico da uccidere.

Come ci si contrappone a tutto questo?

Io devo spiegare innanzitutto a me stesso perché gli americani non sono nelle piazze tutte le settimane. Io credo che una delle ragioni sia stata la velocità dell'applicazione dell'agenda Trump, ma un'altra ragione è che non vogliamo entrare anche noi in una logica di guerra civile e di uso della forza

Sarebbe un diventare come loro?

Sarebbe diventare come loro e credo che sia una scelta suicidaria e darebbe anche a loro il pretesto per usare la forza che loro hanno. Siamo in una fase in cui veramente è difficile che le proteste possano cambiare le politiche di Trump, e quindi dobbiamo inventare un nuovo modo di fare politica, che sia capace di contrapporsi a tutto questo. Solo che non ne siamo ancora all'altezza. Invece vedo in Italia in queste settimane una situazione diversa, le proteste hanno costretto i sindacati a seguire le manifestazioni, è stata fatta una pressione notevole sul governo. Ecco credo che in questo momento se gli americani fossero capaci di seguire l'esempio degli italiani sarebbe una bella cosa.

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