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Giornaliste brasiliane a Fanpage.it: “Siamo sotto attacchi sessisti e viviamo in un clima d’odio”

In Brasile, dove il 30 ottobre i cittadini sceglieranno la prossima guida del Paese tra Luiz Ignacio Lula e Jair Bolsonaro, sono in aumento gli attacchi contro le giornaliste. La denuncia a Fanpage.it di Katia Brembatti dell’Associazione brasiliana di giornalismo investigativo: “Non c’è libertà di criticare”.
Intervista a Katia Brembatti
Presidentessa dell'Associazione brasiliana di giornalismo investigativo (Abraji)
A cura di Lorenzo Bonuomo
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Luiz Lula e Jair Bolsonaro, i candidati al ballottaggio nelle elezioni 2022 in Brasile (Twitter / Archivio)
Luiz Lula e Jair Bolsonaro, i candidati al ballottaggio nelle elezioni 2022 in Brasile (Twitter / Archivio)

Nel mese di settembre quasi una giornalista al giorno, in media, ha ricevuto attacchi mentre svolgeva il proprio lavoro in Brasile: tentativi di screditamento professionale, insulti alla propria persona, offese sessiste e perfino minacce di stupro. Allo stesso tempo, un recente monitoraggio di "Datafolha" stima che almeno sette brasiliani su dieci hanno paura di esprimere pubblicamente le proprie inclinazioni politiche.

Sono due dati chiave, inequivocabili, che danno un'idea precisa del clima generale in cui si stanno svolgendo le elezioni presidenziali in Brasile. Il prossimo 30 ottobre, oltre 156 milioni di aventi diritto al voto sceglieranno la prossima guida del Paese tra Luiz Ignacio Lula e Jair Bolsonaro, i due candidati usciti vincitori dalla prima tornata elettorale che andranno al ballottaggio a fine mese.

L'allarme è stato lanciato dall'Associazione brasiliana di giornalismo investigativo (Abraji) la scorsa settimana: "Tra agosto e settembre, la violenza contro le professioniste della stampa è cresciuta del 250%. Non c'è da stupirsi: il 64,3% dei casi era direttamente collegato alla copertura delle campagne elettorali e il 50% degli attacchi ha visto la diretta partecipazione di agenti politici e statali", si legge in un articolo sul sito.

Secondo Reporters senza frontiere, in particolare, l'attuale governo Bolsonaro sarebbe responsabile di decine e decine di attacchi contro i giornalisti professionisti, facendo di questo metodo "uno dei tratti distintivi del suo mandato". Della difficile situazione in cui versa la libertà di stampa in Brasile ha parlato a Fanpage.it la giornalista brasiliana Katia Brembatti, presidentessa di Abraji.

Katia Brembatti, presidentessa dell'Associazione brasiliana di giornalismo investigativo (Abraji) (Foto di Jonathan Campos)
Katia Brembatti, presidentessa dell'Associazione brasiliana di giornalismo investigativo (Abraji) (Foto di Jonathan Campos)

Secondo l’ultima stima di Reporters senza frontiere il Brasile è sceso di otto posizioni, dalla 102 alla 110, del ranking mondiale per la libertà di stampa. Che ruolo ha giocato il governo Bolsonaro in tutto questo?

C'è una relazione diretta tra questa discesa e il governo Bolsonaro. Dall'inizio del suo mandato (2019 n.d.r.) ad oggi, abbiamo assistito a una sequenza di azioni volte a delegittimare la stampa e a ostacolare il lavoro dei giornalisti. In particolare, è diminuita la trasparenza dell'operato del governo e la lotta alla corruzione. È chiaro che quanto meno un governo è trasparente quanto più manca il dibattito e il contraddittorio. La nostra categoria vorrebbe più libertà nel criticare, che è diversa da quella libertà di espressione intesa come "libertà di offendere", che invece il presidente Bolsonaro rivendica. Negli ultimi tre anni il problema si è certamente acuito, ma era presente anche prima del suo mandato: noi siamo usciti da una dittatura militare soltanto nel 1985, quindi la nostra è una democrazia "giovane", ancora in via di sviluppo.

Come dimostrato da diverse inchieste, esiste un “gabinetto dell’odio” in seno al governo, che perseguita gli oppositori politici (deputati e giornalisti) dell’attuale presidente su internet e i social. Da chi è composto e come agisce?

Il discorso dell'odio, "anti-sistemico", ha sempre caratterizzato l'elettorato di Bolsonaro e la sua comunicazione politica. Fin dalla sua candidatura a capo del governo, si è cementato su internet e nei gruppi WhatsApp e Facebook. Il "gabinetto dell'odio", come lo ha chiamato la stampa locale, è stato creato per mantenere questa retorica anti-politica nei confronti degli avversari. Nonostante in realtà Bolsonaro abbia sempre fatto parte dell'establishment lui stesso, visto che ha cambiato molti partiti nel corso della sua carriera politica. Il "gabinetto dell'odio" è una struttura parallela al governo, non ufficiale, composto da persone di fiducia ed esperti di comunicazione per diffondere fake news (durante la pandemia soprattutto n.d.r.) e screditare oppositori e giornalisti su internet e i social, sempre tramite un linguaggio molto aggressivo. A capo c'è il terzo figlio del presidente, Carlos Bolsonaro, mentre gli altri nomi sono quasi tutti sconosciuti.

Abraji ha stimato un aumento vertiginoso degli attacchi alla credibilità professionale delle giornaliste del paese: perché loro sono prese di mira più dei colleghi maschi?

Gli attacchi sono più frequenti contro le donne perché il governo Bolsonaro ha un'attitudine maschilista, in linea con quella del presidente. Bolsonaro spesso tende a screditare la persona di per sé, non le argomentazioni che questa esprime. Questo è il suo atteggiamento nei confronti delle critiche. Ed ecco spiegato il perché degli attacchi sessisti. Così facendo si tiene stretti i conservatori. È il caso per esempio di Patricia Campos Mello (giornalista di Folha de S. Paulo e membro di Abraji n.d.r.). Lei in passato ha realizzato varie inchieste in grado di mettere a repentaglio la reputazione politica di Bolsonaro. Un tribunale ha condannato il presidente a risarcirla, perché lui aveva insinuato che lei offrisse favori sessuali in cambio di notizie. Erano anche apparsi in rete dei "collage" di foto realizzati dai sostenitori del presidente che la ritraevano in atteggiamenti osceni. Lo scopo di tutto questo era distruggerla psicologicamente.

Secondo un monitoraggio di Datafolha, ben 7 brasiliani su 10 affermano di avere paura nell’esprimere le proprie idee politiche in pubblico. Cosa ci dice questo dato sul clima in cui si sono svolte le elezioni?

Che viviamo in un clima di odio e di tensione. Molti brasiliani hanno paura anche solo di parlare di politica nei gruppi WhatsApp con familiari perché temono di creare divergenze tali addirittura da impedire di passare il Natale insieme. Ci sono stati di recente casi di aggressioni fisiche e di omicidi. Quest'anno è accaduto che una persona aveva organizzato una festa di appoggio a Lula, con altre persone, in un locale che però era gestito da un "bolsonarista". Il proprietario, che deteneva una pistola legalmente, gli ha sparato dopo aver litigato con lui. E lo ha ucciso. Nonostante la gestione disastrosa della pandemia, i crimini contro gli indigeni e le accuse di corruzione molti sono rimasti dalla parte di Bolsonaro per rifiuto ideologico della sinistra. Comunque anche Lula, ricordiamolo, è stato travolto da alcuni scandali.

Se Lula vince il ballottaggio a fine mese, la situazione sulla libertà di stampa migliorerà?

Difficile dirlo. Anche Lula, durante il suo doppio mandato, ha avuto qualche screzio con la libertà di stampa. Una volta ha minacciato di espellere un corrispondente locale del New York Times, Larry Rother, che nel 2004 aveva scritto un articolo parlando della sua presunta abitudine a bere troppo. In ogni caso, nell'ambiente del giornalismo brasiliano la sensazione prevalente è che con Lula la nostra situazione potrebbe migliorare almeno in parte. Se invece dovesse vincere di nuovo Bolsonaro, quest'ultimo potrebbe trarre un'ulteriore legittimazione dalla doppia vittoria e quindi esacerbare comportamenti già in atto.

Fonte: Flourish
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