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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Gaza senza aiuti: Israele revoca le licenze a 37 organizzazioni umanitarie

Dal 1° gennaio decine di ong internazionali dovranno fermare le attività nei Territori palestinesi. Regole di registrazione più rigide, accuse senza prove e criteri politici rischiano di svuotare l’assistenza proprio mentre i bisogni restano enormi.
A cura di Francesca Moriero
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Con lo scoccare della mezzanotte, per Gaza l'anno nuovo si apre con un'ulteriore chiusura. Israele ha deciso infatti di revocare le licenze a 37 organizzazioni umanitarie internazionali attive nella Striscia e in Cisgiordania, imponendo loro di sospendere i programmi e prepararsi a lasciare il campo nel giro di poche settimane. È una scelta che, al di là delle rassicurazioni ufficiali, rischia ovviamente di ridurre drasticamente, ancor di più, la capacità di risposta umanitaria in un territorio già stremato da anni di invasione militare, distruzioni e sfollamenti. Tra le organizzazioni colpite figurano nomi centrali del sistema umanitario globale: Medici senza frontiere, ActionAid, International Rescue Committee, Norwegian Refugee Council, CARE, Medical Aid for Palestinians. Realtà che, insieme alle agenzie Onu e alle ong locali, tengono in piedi ospedali da campo, ambulatori, programmi nutrizionali per bambini, reti idriche e servizi igienico-sanitari, oltre agli interventi di emergenza per chi ha perso tutto.

Le nuove regole e il nodo dei dati personali

Alla base della decisione c'è un nuovo sistema di registrazione introdotto da Israele nei mesi scorsi. Secondo il ministero della Diaspora, molte ong non avrebbero rispettato gli obblighi previsti, in particolare la consegna di informazioni "complete e verificabili" sul personale impiegato. Per le organizzazioni, però, si tratta di una richiesta incompatibile con le leggi sulla protezione dei dati e, soprattutto, pericolosa per la sicurezza dei lavoratori palestinesi e delle loro famiglie. In un contesto in cui centinaia di operatori umanitari sono stati uccisi dall'inizio dell'invasione militare israeliana, rendere pubbliche identità, ruoli e legami familiari significa esporre le persone a pressioni, intimidazioni e possibili ritorsioni; non a caso, diverse ong spiegano di essersi rifiutate proprio per tutelare chi lavora sul campo.

Criteri politici e accuse arbitrarie

Il problema, però, non si esaurisce solo nella questione dei dati. Il nuovo quadro normativo israeliano prevede infatti una serie di motivi di esclusione estremamente ampi e politici: dalla presunta "delegittimazione" di Israele agli appelli al boicottaggio, fino al sostegno ad azioni legali contro l'esercito israeliano in sedi internazionali; definizioni vaghe, denunciano le ong, che permettono di colpire chiunque in qualsiasi momento, anche dopo aver rispettato formalmente tutte le richieste.

In questo clima si inseriscono anche accuse gravi, come quelle rivolte a Medici senza frontiere, accusata di avere personale legato a gruppi armati palestinesi senza che siano state fornite alcune prove pubbliche. MSF ha respinto con forza ogni addebito, ricordando che simili affermazioni, se non documentate, mettono a rischio la vita degli operatori e dei pazienti, oltre a compromettere la neutralità dell’azione medica.

L'impatto concreto su Gaza

Israele sostiene che la sospensione di queste ong non avrà effetti sull'ingresso degli aiuti, che continuerebbero a transitare attraverso canali "approvati e controllati", e minimizza il contributo delle organizzazioni colpite. Ma questa lettura è contestata da Nazioni unite, Unione europea e da gran parte della comunità umanitaria internazionale. Secondo l'Humanitarian Country Team, senza le ong internazionali sarà impossibile garantire servizi essenziali su larga scala: una parte consistente dei posti letto ospedalieri, delle nascite assistite, dei programmi contro la malnutrizione e degli interventi di emergenza dipende direttamente da queste strutture. Tagliarle fuori significherebbe lasciare scoperti bisogni vitali per centinaia di migliaia di persone.

Le reazioni internazionali

Dieci Paesi, tra cui Regno Unito, Francia, Canada, Giappone e diversi Stati nordici, hanno già apertamente condannato la decisione israeliana, definendo "inaccettabile" qualsiasi tentativo di ostacolare il lavoro delle ong a Gaza. Anche la Commissione europea e l'Alto commissariato Onu per i diritti umani hanno parlato di una misura che peggiora ulteriormente una situazione già intollerabile e ormai al limite del collasso. Gli appelli, però, sembrano destinati a infrangersi contro un muro. Tel Aviv ribadisce infatti che l'obiettivo è impedire infiltrazioni terroristiche nel sistema umanitario e rivendica la piena legittimità delle nuove regole. Nel frattempo, sul terreno, il cessate il fuoco resta fragile e le violazioni continuano, mentre la popolazione civile prova a sopravvivere tra macerie, scarsità di cibo e servizi al limite del collasso.

Se le revoche diventeranno operative, l'uscita delle ong non sarà solo un atto amministrativo. Segnerà un ulteriore isolamento di Gaza e un colpo profondo all'idea stessa di neutralità umanitaria. In un luogo dove l'assistenza non è un'opzione ma una necessità vitale, ridurre lo spazio per chi cura, nutre e protegge significa trasformare la burocrazia in un'arma silenziosa. E lasciare, ancora una volta, i civili da soli.

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