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Gaza, gli aiuti diventano una trappola, l’inchiesta CNN accusa Israele: “Spari sulla folla affamata”

Oltre 100 civili uccisi a Gaza mentre cercavano aiuti: l’emittente CNN conferma le accuse all’esercito israeliano, che secondo testimoni e perizie balistiche ha aperto il fuoco più volte sulla folla. Il 1° giugno a Rafah, 32 persone sono morte in fila per il cibo.
A cura di Biagio Chiariello
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Tra il 27 maggio e il 3 giugno, oltre cento civili palestinesi sono stati uccisi e centinaia feriti mentre cercavano cibo nei centri della Gaza Humanitarian Foundation (GHF), un’organizzazione supportata da Israele e Stati Uniti. Secondo un’inchiesta della CNN, corroborata da testimonianze, video geolocalizzati e analisi forensi, in diversi casi i colpi che hanno falciato le folle sarebbero partiti da postazioni militari israeliane, smentendo le versioni ufficiali che parlavano di “colpi di avvertimento” o di azioni attribuibili ad Hamas.

Uno degli episodi più drammatici si è verificato l’alba del 1° giugno a Rafah: almeno 32 persone sono rimaste uccise in attesa di ricevere razioni di cibo. “Era fuoco diretto su di noi, da ogni direzione”, racconta un sopravvissuto. Le immagini mostrano corpi stesi a terra, confusione, sangue. Nessuna prova conferma la presenza di miliziani o armi nella folla. Stesso scenario il 29 maggio a Deir al-Balah, dove – secondo testimoni – i proiettili sono partiti da una torre israeliana situata a meno di 300 metri dal luogo di distribuzione.

L’indagine della CNN analizza anche l’episodio del 31 maggio nei pressi di uno degli ultimi hub attivi a Gaza City. Alle 3:30 del mattino, un’ora prima del messaggio ufficiale della GHF che indicava come orario sicuro le 5:00, esplode il caos. Un drone quadricottero intima alle persone di tornare indietro. Ma è troppo tardi: i primi spari colpiscono alla testa, al petto. Almeno 31 morti, decine di feriti. Ameen Khalifa, 30 anni, filma tutto. Sopravvive, ma viene ucciso due giorni dopo da un drone mentre torna nello stesso centro di distribuzione.

Le armi usate? Secondo esperti balistici consultati dalla CNN, la frequenza degli spari – 15-16 al secondo – e il tipo di proiettile recuperato nei corpi delle vittime sono compatibili con mitragliatrici FN MAG montate sui carri armati israeliani. L’esercito, dopo aver inizialmente negato tutto, ha ammesso l’uso di colpi “di avvertimento” contro “sospetti”, per tre giorni consecutivi. Ma le analisi forensi parlano di fuoco diretto e letale.

In totale, in meno di una settimana, si sono verificati attacchi a Gaza City, Deir al-Balah e Rafah. Ovunque, lo stesso schema: lunghe file di civili affamati, attese sotto il sole, poi il panico, i proiettili, i corpi. Le vittime sono in gran parte donne, anziani e bambini.

Il contesto è disperato. Con oltre 50.000 morti dall’inizio dell’offensiva israeliana nell’ottobre 2023, Gaza è al limite della carestia. Dopo la paralisi dell’UNRWA e la sospensione delle agenzie ONU, la distribuzione degli aiuti è stata affidata alla GHF, che opera in coordinamento con l’esercito israeliano e contractor armati. Amnesty International e Human Rights Watch parlano apertamente di “militarizzazione dell’assistenza” e denunciano la sistematica violazione del diritto internazionale umanitario.

L’organizzazione gestisce gli accessi tramite app di tracciamento, controlli biometrici e checkpoint militarizzati. I centri di distribuzione sono spesso isolati, privi di protezione per i civili e difficilmente accessibili ai media indipendenti. Anche per questo cresce la mobilitazione dell’informazione internazionale.

In Italia, i giornalisti di Fanpage.it hanno aderito all’appello “Basta sangue sui nostri giubotti”, promosso da oltre 250 operatori dell’informazione e sostenuto dalle assemblee di redazione di molte testate. Un gesto di solidarietà e di denuncia contro la violazione del diritto alla cronaca e l’impunità della violenza sui civili.

L’ONU ha espresso “profonda preoccupazione” per quanto accaduto e ha chiesto un’indagine indipendente. Alcuni Paesi europei, tra cui Spagna e Irlanda, stanno valutando sanzioni o la sospensione di accordi militari con Israele. Ma finora nessuna iniziativa concreta è stata avviata per tutelare chi si mette in fila per un sacco di farina o una bottiglia d’acqua.

Nel frattempo, la popolazione di Gaza continua a scegliere ogni giorno tra la fame e la morte. “Siamo trattati come bersagli – ha detto un sopravvissuto – Non è guerra, è sterminio. E il mondo guarda in silenzio.”

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