Opinioni

Gaza è una prigione a cielo aperto da oltre 70 anni: perché non è iniziato tutto il 7 ottobre

L’attacco di Hamas contro Israele ha sconvolto il mondo e riportato la Striscia di Gaza al centro delle cronache, ma non è stato l’inizio di nulla. Il 7 ottobre è stato l’esplosione di decenni di esilio, occupazioni e assedi. Due anni dopo, Gaza è ancora lì: un lembo di terra che il mondo vede come un campo di battaglia, ma che migliaia di palestinesi continuano a chiamare casa.
A cura di Valerio Nicolosi
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Questa storia non è cominciata il 7 ottobre di due anni fa, quando Hamas attaccò Israele e i telegiornali iniziarono a parlare della Striscia di Gaza. In realtà, quello a cui stavamo assistendo era la conseguenza di decenni di assedio e violenze. Proprio per questo, per vedere il quadro completo, bisogna tornare indietro: a quando la “Striscia di Gaza” non era ancora una prigione a cielo aperto per oltre 2 milioni di persone.

Cosa era la Palestina il secolo scorso

Alla fine dell’Ottocento, il movimento sionista aveva iniziato a rivendicare il ritorno degli ebrei in Palestina, allora parte dell’Impero Ottomano, come risposta alle persecuzioni e all’antisemitismo in Europa. Durante la Prima guerra mondiale, la Dichiarazione Balfour del 1917 promise agli ebrei la creazione di un “focolare nazionale” in Palestina, mentre la popolazione araba locale si sentì tradita.

Dopo la Shoah, lo sterminio di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti, la pressione internazionale a favore di uno Stato ebraico divenne fortissima. Nel 1947 l’ONU approvò un piano di partizione: due Stati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme sotto controllo internazionale. Gli ebrei accettarono il piano, i leader arabi lo respinsero, considerandolo ingiusto.

La nascita di Israele

Il 14 maggio 1948 David Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato di Israele. Ben Gurion era il leader del movimento sionista, il fondatore e primo capo del governo israeliano. È ricordato come il “padre di Israele”, colui che trasformò in realtà politica e militare il progetto di uno Stato ebraico indipendente. Il giorno dopo scoppiò la guerra con i Paesi arabi vicini. Ed è in quel conflitto che avvenne la Nakba, la Catastrofe palestinese: oltre 700.000 persone furono espulse o costrette a fuggire dalle loro case.

Molti scapparono per paura, dopo che villaggi come Deir Yassin furono attaccati e distrutti. Altri vennero espulsi direttamente, nell’ambito di operazioni militari mirate. Alcuni lasciarono le case convinti che sarebbe stato solo un esilio temporaneo. Ma non tornarono più. In totale, più di 400 villaggi palestinesi furono abbandonati o distrutti.

Decine di migliaia di profughi si riversarono proprio a Gaza, che da piccola città portuale di 40.000 abitanti si trasformò in un’enclave sovraffollata. È in quel momento che nasce davvero la Striscia di Gaza come punto sulla mappa e simbolo della crisi israelo-palestinese.

Dal 1949 al 1967 la Striscia rimase sotto amministrazione egiziana. Ma non venne annessa all’Egitto, e i suoi abitanti non ottennero la cittadinanza. Restarono senza Stato, senza diritti politici, sospesi in un limbo. Un campo profughi permanente. Poi, con la Guerra dei Sei Giorni, tutto cambiò: nel 1967 Israele occupò la Striscia di Gaza insieme alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Da quel momento, la vita quotidiana dei palestinesi si trasformò: check-point, coprifuoco, restrizioni alla libertà di movimento. Dentro la Striscia vennero create colonie israeliane, considerate illegali dal diritto internazionale, che alimentarono nuove tensioni.

Gli accordi di Oslo e la nascita dell'Autorità Nazionale Palestinese

Negli anni ’90, con gli Accordi di Oslo, sembrò aprirsi uno spiraglio: nacque l’Autorità Nazionale Palestinese e si parlò per la prima volta di uno Stato palestinese indipendente. Ma le colonie non vennero smantellate, l’occupazione non terminò. La speranza si affievolì di nuovo.

Nel 2005, il governo israeliano di Ariel Sharon annunciò il ritiro unilaterale: i coloni furono evacuati, i soldati lasciarono la Striscia. Sulla carta era la fine dell’occupazione, nella realtà fu l’inizio di un assedio ancora più rigido. Gaza rimase senza porto, senza aeroporto, con confini sigillati e il pieno controllo esterno di cielo e mare.

Le elezioni del 2006 e la vittoria di Hamas

Nel 2006 si tennero le elezioni palestinesi. Vinse Hamas, un movimento islamista nato durante la Prima intifada, che univa assistenza sociale e resistenza armata. La sconfitta bruciante toccò a Fatah, il partito laico e socialista fondato da Yasser Arafat, protagonista del percorso diplomatico degli Accordi di Oslo. L’anno successivo, Hamas e Fatah si scontrarono violentemente. Gaza finì sotto il controllo di Hamas, mentre la Cisgiordania rimase a Fatah. Da quel momento i palestinesi si trovarono divisi non solo da muri e confini imposti da Israele ma da due governi rivali: quello di Hamas a Gaza e quello di Fatah in Cisgiordania. Una frattura che indebolì la leadership palestinese e congelò ogni prospettiva di unità.

Il blocco della Striscia di Gaza

Intanto Israele ed Egitto imposero un blocco totale: da quel momento Gaza entrò in una fase di crisi umanitaria permanente. Nulla entrava o usciva senza permesso: carburante, medicine, materiali da costruzione, persino l’acqua potabile. Gaza divenne a tutti gli effetti la prigione a cielo aperto che, purtroppo, abbiamo imparato a conoscere.

Dal 2008 in poi la Striscia visse in un ciclo costante di operazioni belliche israeliane.

  • Piombo Fuso (2008-2009): oltre 1.300 palestinesi uccisi
  • Colonna di Fumo (2012): una campagna aerea devastante.
  • Margine Protettivo (2014), che vi ho citato all’inizio: più di 2.200 morti, interi quartieri cancellati.

Nel 2021 c'è stata l'ultima operazione militare israeliana che ha causato centinaia di morti.

Tra una campagna e l’altra, la vita quotidiana significava blackout di 20 ore al giorno, ospedali senza forniture, acqua che non arrivava ai rubinetti. Secondo l’organizzazione israeliana B’Tselem, tra il 2006 e l’ottobre 2023 più di 4.400 palestinesi furono uccisi nelle sole operazioni militari. Sul piano politico tutto rimase fermo. Le elezioni vennero rinviate più volte. Leader come Marwan Barghouti restarono in carcere. Hamas governava Gaza, Fatah la Cisgiordania. La divisione interna, unita al controllo esterno, rese impossibile qualsiasi cambiamento reale. ​Se eletto, Barghouti avrebbe spazzato via Fatah dal controllo dell'ANP in Cisgiordania e Hamas dal governo di Gaza. Israele, a quel punto, avrebbe dovuto liberare un presidente democraticamente eletto che li avrebbe costretti a una trattativa per un percorso di pace. Invece, per mantenere lo status quo attraverso quello che è stato chiamato un "asset" dai ministri israeliani, ovvero Hamas, hanno preferito non favorire il voto e le elezioni non si sono tenute.

L'attenzione si sposta alla Cisgiordania

​Da quel momento, a Gaza, Hamas ha scelto di abbassare il livello dello scontro: i razzi lanciati in precedenza erano sempre meno e l'attenzione dell'esercito israeliano si è concentrata per un anno e mezzo sul Nord della Cisgiordania, tra Jenin, Nablus e Tulkarem, dove la resistenza armata ha invece tenuto alto il livello dello scontro.

​Israele aveva anche installato un sistema di rilevamento di vibrazioni a ridosso del muro, nel caso in cui Hamas avesse scavato tunnel per passare in Israele. Dopo un anno e mezzo, l'attacco è arrivato dall'alto e l'impegno dell’IDF in Cisgiordania spiega anche perché l'esercito dello Stato ebraico sia intervenuto così in ritardo.

Cosa è successo il 7 ottobre

E così arriviamo al 7 ottobre: all’attacco di Hamas contro Israele che ha sconvolto il mondo e riportato la Striscia di Gaza al centro delle cronache. Riuscite ora a vedere gli eventi di quel giorno con più chiarezza? Quell’attacco – senza dubbio terribile e brutale – non fu l’inizio di nulla. Ma è stata l’esplosione di decenni di esilio, occupazioni e assedi.

Due anni dopo, Gaza è ancora lì: un lembo di terra che il mondo vede come un campo di battaglia, ma che migliaia di palestinesi continuano a chiamare casa.

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Nato a Roma nel 1984, è giornalista e reporter specializzato in esteri, conflitti, migrazioni e tematiche sociali. Ha lavorato come inviato per Rai e Mediaset e collaborato con AP, Reuters e Ansa. La sua voce ha già accompagnato progetti audio per Chora, Storytel e Lifegate. È autore del documentario Ants e di libri pubblicati da Einaudi, Rizzoli e UTET. Ogni mattina conduce il podcast Scanner su Fanpage.it, dove scrive anche reportage e analisi sugli esteri.
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