Furto al Louvre, spunta un presunto intermediario israeliano sul Darknet per la vendita dei gioielli

A più di un mese dal clamoroso furto al Louvre, tre dei quattro presunti autori materiali sono già stati arrestati. Dei gioielli trafugati, tuttavia, non c’è ancora traccia. Un’assenza che, con il passare dei giorni, rende sempre più remota la possibilità di un recupero e al tempo stesso alimenta speculazioni, ricostruzioni fantasiose e campagne di disinformazione.
A riaccendere l’attenzione è stato il media israeliano i24News, secondo cui un’azienda di sicurezza informatica israeliana sostiene di avere avuto contatti con un individuo che si presenta come emissario della banda del Louvre. Stando a questa versione, "gli scambi avrebbero avuto luogo sul Darknet, una rete internet parallela accessibile solo tramite software specifici", e, secondo l’emittente pubblica Kan, l’intermediario avrebbe perfino inviato una prima immagine della refurtiva.
La società citata è il Cgi Group, specializzata in cyber-security, il cui direttore generale Zvika Nave afferma di ritenere autentica la foto ricevuta, nonostante i dubbi diffusi sull’eventualità che si tratti di un’immagine generata dall’intelligenza artificiale. L’uomo che rivendicherebbe il possesso di almeno parte dei gioielli avrebbe chiesto 8 milioni di euro in criptovaluta Monero, indicato la Slovacchia come luogo per un eventuale scambio e minacciato di rivolgersi a contatti in Asia e a Dubai qualora la trattativa non andasse a buon fine.
Il Cgi Group sostiene inoltre di aver trasmesso le informazioni alle autorità francesi, ma, sempre secondo Nave e come riportato da i24News, "i giochi di ego in Francia ci hanno impedito di progredire e il contatto è stato interrotto".
La narrazione rilanciata dai media israeliani, tuttavia, appare fragile. Già poche ore dopo il furto, il 19 ottobre, la stessa società aveva dichiarato di essere stata ingaggiata dalla direzione del Louvre per collaborare alle indagini: affermazione immediatamente smentita dal museo. Oggi la storia si ripropone con un nuovo presunto intermediario, ma la refurtiva citata include "la corona dell’imperatrice Eugenia", che in realtà fu recuperata subito, poiché abbandonata durante la fuga.
A consolidare il clima di confusione hanno contribuito, negli ultimi giorni, anche contenuti manipolati: alcuni utenti hanno diffuso in rete false immagini generate dall’intelligenza artificiale per illustrare la presunta – e anch’essa falsa – scoperta dei gioielli tra i beni sequestrati all’uomo d’affari Timur Mindich, vicino al presidente ucraino Zelensky. Un ulteriore tassello in una vicenda che, mentre la verità resta opaca, si presta sempre di più a narrazioni distorte e interferenze informative.