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Conflitto Israelo-Palestinese

“Fermiamo tutto, altrimenti sarà guerra civile genocida tra Israele e Palestina”: le parole di Dimi Reider

Dimi Reider, giornalista, attivista e fondatore della testata progressista israeliana +972 magazine parla con Fanpage.it del conflitto in corso. “L’unica soluzione? Un solo stato per entrambi i popoli, ma sarà impossibile se oggi esplode una guerra civile genocida nei territori occupati”
A cura di Bruno Montesano
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Abbiamo raggiunto al telefono da Londra Dimi Reider, giornalista, attivista e tra i fondatori della testata israeliana progressista +972 mag, che da anni è diventata un punto di riferimento per tutti i media internazionali per il racconto della vita nei territori occupati e della società israeliana. Suoi articoli sono apparsi sul Guardian, New York Times, New Statesman e Foreign Policy, tra gli altri.

Dopo la richiesta di evacuazione del Nord di Gaza, l'isolamento dalle forniture di acqua e luce e i bombardaamenti a tappeto, questa notte, con il bombardamento dell'Al-Ahli Arabi Baptist Hospital di Gaza, la guerra ha toccato l'apice dell'orrore. Come si può interrompere il ciclo della violenza?

Dobbiamo amplificare gli appelli a prevenire un genocidio a Gaza e, allo stesso tempo, dire che ciò che Hamas ha fatto è inaccettabile, un crimine di guerra. È perfettamente possibile fare entrambe le cose. È essenziale fare entrambe le cose.
Ho ancora qualche speranza che tra l’intenzione israeliana di invadere da terra, e la pressione degli Stati circostanti e quella dell'Iran e l'ovvia mancanza di fiducia degli israeliani nei confronti della loro leadership, possa ancora esserci una finestra per evitare questa catastrofe.

Tuttavia, realisticamente, credo che sia troppo tardi. L'orrore si sta già consumando. I leader occidentali dovrebbero almeno costringere Netanyahu a dare un ultimatum ad Hamas prima di iniziare un'invasione di terra – ad esempio, evacuate i vostri leader e le vostre truppe da Gaza, risparmiate al vostro popolo la distruzione. Sulla falsa riga dell'evacuazione di Arafat da Beirut a Tunisi nella prima guerra del Libano. Ma letteralmente nessuno – leader occidentali, Netanyahu, Hamas – vorrà seguire questa strada. Almeno non ancora. Non prima che un'enorme porzione di Gaza vada in rovina e che il numero di morti israeliani sia superato molte volte da quelli palestinesi.

Quale prospettiva vedi per questo conflitto asimmetrico

Vedo tre opzioni per l'immediato futuro. Una è Grozny a Gaza: distruzione totale, evacuazione, eliminazione dell'élite politica e poi, forse, ricostruzione. La seconda è Grozny a Gaza e la Jugoslavia/Rwanda dappertutto, forse con un'ulteriore guerra con Hezbollah. Non esiste uno scenario di vittoria palestinese: anche se Israele perdesse contro forze esterne – il che è dubbio, soprattutto se gli Stati Uniti si impegnano a entrare in guerra -, i palestinesi perderebbero per primi, in modo orribile. E il terzo scenario, altrettanto tragico ma migliore in termini di vite umane perse, è una capitolazione/compromesso di Hamas prima che Gaza sia completamente distrutta e il resto di Israele-Palestina esploda. Questo è possibile se Hamas cede prima del previsto, se i danni alle città israeliane sono più gravi del previsto o se l’uso degli ostaggi è più efficace del previsto. Al momento questo sembra lo scenario meno probabile.

Quali obiettivi vedi dietro l'attacco del 7 ottobre? Motivi interni, far saltare gli accordi di Abramo, una forma spontanea di resistenza, come sostengono alcuni?

Che sia stata una forma di resistenza "spontanea" mi sembra l'ipotesi meno plausibile. Sappiamo da fonti di Hamas che l’attacco è stato pianificato per un anno, forse due. Si è trattato di un'operazione militare – che si è rapidamente trasformata in un massacro – estremamente ben pianificata e ben eseguita. Per quanto riguarda gli obiettivi posso solo fare ipotesi. Sembrerebbe che Hamas volesse ripristinare la propria credibilità come movimento di resistenza, piuttosto che come un'OLP meglio organizzata. L’OLP è infatti corrotta, inefficiente e collabora strettamente con Israele. Hamas voleva reinserirsi come attore nell'intera arena politica palestinese, non solo a Gaza. E, piuttosto che far saltare gli Accordi di Abramo voleva un posto al tavolo, per essere preso in considerazione nel processo.

Come inquadrare l'attacco di Hamas? Haggai Matar ha scrittoche il terrore e la violenza subiti dagli israeliani sono ciò che di solito subiscono i palestinesi.

Dobbiamo parlare di crimini di guerra, avvenuti nel contesto di sette decenni di conflitto e compiuti in nome della comunità indubbiamente più debole e oppressa. Sono stati sia un attacco diretto alla strategia di assedio e contenimento di Israele, sia alla sua politica di divisione e conquista.

L’operazione doveva mettere in mostra la formidabile potenza militare di Hamas e mettere al sicuro gli ostaggi, così da negoziare il rilascio del massimo numero possibile di prigionieri palestinesi. Sarebbe così diventato un rappresentante degli interessi nazionali palestinesi, con più successo dell'OLP. L’attacco doveva inoltre mettere a dura prova l'invincibilità israeliana, conseguendo un risultato con implicazioni regionali. Un altro obiettivo era quello di creare video indimenticabili di palestinesi in gabbia che evadono da Gaza, tornano sul loro territorio storico e conquistano una o due città con la forza – qualcosa che nessun gruppo palestinese ha mai realizzato, nemmeno nel 1948.
Il collasso militare israeliano, tuttavia, è stato così rilevante che Hamas ha effettivamente raggiunto tutti questi obiettivi in un paio d’ore – ma poi ha continuato ad agire senza freni annullando i propri risultati. Questa brutalità – dal massacro al festival musicale, a quello di famiglie nei kibbutzim – ha posto Hamas fuori di qualsiasi tipo di negoziazione, sia per il cessate il fuoco che per gli ostaggi. Ha dato così carta bianca a Israele in occidente.

La sinistra ebraica contro l'occupazione, in Israele e nella diaspora, è stretta tra il mainstream che ripropone la retorica dello scontro di civiltà e ignora le vittime palestinesi e parte della sinistra radicale – poco rilevante pubblicamente ma ingigantita nella percezione dalla stigmatizzazione sui media – che ignora le vittime israeliane. Le forze contro l’occupazione in Israele sono deboli e lo saranno sempre più? C’è una sensazione di isolamento rispetto alla solidarietà internazionale?

Le prime 72 ore dopo l'attacco di Hamas hanno messo in luce alcune divisioni molto importanti nel movimento di solidarietà internazionale, sia all'interno della sinistra palestinese che tra altri attivisti internazionali e israeliani. Personalmente, penso che l'atteggiamento che legittima uccisione dei bambini israeliani faccia perdere credibilità alla giusta opposizione all’uccisione di bambini palestinesi. Abbiamo bisogno di coerenza morale. E credo che la reazione agli attentati metta in luce il fatto che la nostra coerenza morale è traballante.

Dovremmo usare quest'ultima settimana per fermarci prima dell’abisso in cui si sta per precipitare. Ovviamente ciò che sta accadendo a Gaza è orribile e non è affatto giustificato da ciò che ha fatto Hamas. Inoltre, non ha alcun valore militare. Ma, se anche l'avesse, prendere di mira i civili è profondamente sbagliato.

Il giornale progressista Haaretz ha incolpato Netanyahu per il fallimento della sicurezza. Pensi che il governo diventerà più forte – magari assorbendo l'opposizione e sfruttando la fine delle proteste contro la riforma giudiziaria – o più debole? 

Entrambe le cose. Probabilmente sopravviverà alla guerra stessa. Ma Netanyahu è completamente finito politicamente. Anche prima dell'attacco non era ben messo. Ora è diventato il primo ministro che peggio di tutti ha fallito nel proteggere Israele e il suo popolo. È qualcosa che gli israeliani non perdoneranno mai. Prima di lui, la prima ministro più odiato è stato Golda Meir. Il fallimento di Netanyahu supera il suo di un ordine di grandezza.

Hai scritto – e sono d'accordo – che la soluzione dei due Stati è morta. Un unico Stato uguale per ebrei e palestinesi è un'opzione praticabile quando neanche si riesce a fermare l'escalation?

Credo che uno Stato unico sia un’ipotesi percorribile, anche se più tardi di quanto avrei stimato. A meno che una delle due comunità non scompaia completamente come forza politico-demografica dalla Palestina storica (e purtroppo è facile dire quale comunità sarà). Se me lo avessi chiesto una settimana fa, ti avrei detto che uno Stato binazionale e consociativo che riconosca le differenti vicende storiche e garantisca la sicurezza e i diritti fondamentali di entrambe le comunità è qualcosa che potevamo ragionevolmente sperare di vedere all'orizzonte tra vent'anni. Oggi, ti direi che questa tempistica si è allungata a 40 – 50 anni, più di una generazione. Ma questo non è un motivo per smettere di lavorare. Al contrario. Ora però la priorità è evitare una guerra civile genocida.

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