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Guerra in Ucraina

Droni, jet e minacce di guerra: cosa sta accadendo sui cieli europei e qual è la vera posta in gioco

Droni e jet russi violano i cieli NATO: testano tempi di reazione, raccolgono dati e alimentano la paura. Per Marco Di Liddo (CESI) non sono episodi isolati, ma parte di una strategia per alzare la pressione e ridisegnare gli equilibri globali oltre l’Ucraina.
Intervista a Marco Di Liddo
Direttore del CESI (Centro Studi Internazionali)
A cura di Davide Falcioni
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Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE, 24 settembre 2025: "L'opzione di abbattere caccia che si intromettono nello spazio aereo della NATO è sul tavolo".

Alexey Meshkov, ambasciatore russo in Francia, 25 settembre 2025: "Se la NATO abbattesse i jet russi che violano il suo spazio aereo, sarebbe guerra".

Nei cieli dell'Europa orientale si sta consumando una partita a scacchi sempre più pericolosa. Droni non identificati sorvolano aeroporti strategici, altri precipitano in territori di Paesi della NATO, jet violano spazi aerei sovrani per lunghi minuti. Quello che fino a pochi mesi fa poteva essere considerato un episodio isolato, un incidente diplomatico da risolvere attraverso i canali tradizionali, si sta trasformando in un pattern sistematico di provocazioni che mette in discussione le "regole del gioco" consolidate dalla Guerra Fredda.

Polonia, Romania, Estonia, Danimarca, Norvegia: i confini orientali e settentrionali della NATO sono diventati il teatro di una nuova forma di confronto, dove la linea tra provocazione e atto ostile si assottiglia progressivamente. Una cosa comunque appare ormai certa: non si tratta più di violazioni accidentali o di errori di navigazione, ma di azioni coordinate che sembrano seguire una strategia precisa: alzare l'asticella delle tensioni, testare i tempi di reazione, raccogliere intelligence sulle vulnerabilità degli avversari e, soprattutto, seminare incertezza e paura tra opinione pubblica e leadership politiche occidentali. Il fenomeno assume contorni ancora più preoccupanti se inserito nel contesto più ampio della guerra in Ucraina e della ridefinizione degli equilibri geopolitici globali.

Per comprendere la portata di quello che sta accadendo sui cieli europei e decifrare le implicazioni strategiche di lungo periodo di queste provocazioni aeree, Fanpage.it ha intervistato Marco Di Liddo, direttore del Centro Studi Internazionali (CESI), uno dei principali esperti italiani di questioni di sicurezza e geopolitica. Di Liddo analizza la natura tecnica e gli obiettivi politici di queste incursioni, spiega come funzionano le regole d'ingaggio della NATO e soprattutto ci aiuta a comprendere quale sia la vera posta in gioco di questa escalation: non solo il futuro dell'Ucraina, ma la governance globale del XXI secolo.

Dottor Di Liddo, nelle ultime settimane abbiamo assistito a numerose incursioni di droni e velivoli militari nei cieli di alcuni Paesi NATO. Che cosa sappiamo esattamente di questi episodi?

Nel caso degli sconfinamenti in Polonia e Romania abbiamo avuto droni russi di tipo Geran, che sono stati fotografati e i cui detriti sono stati raccolti al suolo. Questo ci dà una paternità inequivocabile: sono droni di Mosca che hanno utilizzato la Bielorussia come base di lancio, giustificando poi lo sconfinamento con la scusa di aver perso il controllo della rotta. Nel caso polacco e rumeno, però, non si trattava di droni armati o kamikaze.

La seconda modalità la vediamo negli episodi di Oslo e degli aeroporti danesi. Qui la situazione è diversa: il modello di drone non è stato chiaramente individuato e il governo danese ha dichiarato di non avere la certezza totale su chi li manovrasse. Tuttavia, le autorità danesi hanno fatto capire che non si trattava di amatori con droni commerciali, ma di operatori professionisti, molto probabilmente legati a un'attività statale.

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Quali sono gli obiettivi strategici dietro queste azioni?

Queste attività servono a molteplici scopi. Primo, testare i tempi di risposta: quanto tempo impiega l'Alleanza Atlantica a individuare la minaccia e neutralizzarla. È una raccolta di dati preziosi sulla reazione e sui meccanismi di difesa.

Secondo, raccogliere informazioni visuali su infrastrutture critiche e potenziali obiettivi, creando una banca dati che fa parte del corpus informativo utilizzato per identificare i punti di vulnerabilità di un avversario.

Terzo, esercitare una forma di pressione politico-sociale sull'avversario: creare la paura della guerra, aumentare il senso di insicurezza dei cittadini, creare attriti tra cittadini e istituzioni. È la classica manipolazione della paura del conflitto per minare l'alleanza e le certezze dei paesi che sostengono lo sforzo ucraino.

Nel caso della Danimarca alcuni elementi fanno ipotizzare una motivazione specifica.

Quale?

La Danimarca ha firmato di recente un accordo con Kiev per la costruzione di siti produttivi per materiale militare sul proprio territorio. Aziende ucraine produrranno sostanzialmente in Danimarca. Se uniamo i puntini, è difficile considerare casuale che questi droni non siano russi – c'è una corrispondenza troppo forte per essere ignorata anche se il governo danese sta tenendo un profilo più prudente e non ha ancora attribuito alcuna responsabilità a Mosca.

E per quanto riguarda i velivoli militari, come il caso dei MiG-31 in Estonia?

Qui siamo in un'altra categoria. Parliamo di jet militari la cui identificazione è inequivocabile: due MiG-31 armati che per 12 minuti hanno violato lo spazio aereo estone e quindi NATO. Consideri quanto è piccola l'Estonia: 12 minuti nel suo spazio aereo significa aver "fatto il giro" del Paese. Anche questo è un test per verificare i tempi di reazione delle forze NATO, come reagiscono e soprattutto come si comporta la politica europea e atlantica di fronte a questa crescente assertività russa.

La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha dichiarato che l'opzione dell'abbattimento degli aerei russi "è sul tavolo". Ma quali sono le regole d'ingaggio per situazioni del genere?

Le regole d'ingaggio sono segrete, approvate dal Consiglio Atlantico e poi recepite dai singoli Paesi con eventuali lievi adattamenti nazionali. Sulla carta, gli stati hanno il pieno diritto di abbattere un aereo militare che entri nel proprio spazio aereo, ma dopo aver seguito una prassi precisa: invio di segnali preventivi di uscita, avvicinamento di caccia per fare "shadowing" – impedire all'aereo ostile di muoversi liberamente – e accompagnarlo all'uscita.

Il problema reale, però, è che non stiamo più parlando di casi isolati. Non è più un aereo russo che sconfina una volta l'anno. Nelle ultime settimane questi episodi sono diventati sempre più frequenti: i russi alzano l'asticella progressivamente. Oggi sono droni, domani attacchi cyber, poi di nuovo droni, poi un aereo, poi due, poi tre aerei armati. Il messaggio è chiaro: stiamo alzando l'asticella.

La reazione dell'ambasciatore russo in Francia è emblematica: ha dichiarato testualmente che se la NATO abbattesse jet russi, sarebbe guerra.

Questo rientra esattamente nella strategia di aumentare la pressione e la paura della guerra. È un'inversione totale della logica: tu sconfini, i tuoi droni vanno in territorio polacco, i tuoi aerei violano lo spazio aereo NATO per dodici minuti, e poi ti permetti di minacciare guerra se abbattiamo l'aereo russo? È come se una persona entrasse in casa per rubare e minacciasse il proprietario dicendo "se mi tocchi, è guerra totale".

Al di là dei botta e risposta e delle minacce, esiste un livello negoziale dietro queste azioni provocatorie?

Esistono prassi consolidate dai tempi della Guerra Fredda, procedure che si sono evolute nei rapporti tra NATO e Unione Sovietica prima, NATO e Russia oggi. Non è che se un aereo sconfina automaticamente viene abbattuto – abbiamo imparato a gestire queste situazioni. Esistono procedure precise nell'ambito dell'air policing: ci si avvicina al velivolo, lo si invita fermamente ad andarsene, lo si accompagna all'uscita.

Il problema è che oggi siamo in uno stato di forte tensione legato all'Ucraina, con una retorica bellicista e attività di provocazione sempre più intense da parte della Russia. Il rischio è che, nonostante esistano queste prassi consolidate per contenere l'escalation, non bastino più perché dall'altra parte si è deciso di superare le linee rosse.

Qual è la vera posta in gioco di questa escalation? La Russia sta pressando affinché la NATO non sostenga più l'Ucraina?

Non dobbiamo confondere il dito con la luna. L'Ucraina ha un'importanza relativa per i russi. Tutto quel sangue, tutto quell'impegno economico per tenere l'Ucraina o una parte di essa sotto la propria sfera di influenza serve un fine strategico più ampio: ridefinire gli equilibri di potere e l'architettura di sicurezza politica in Europa e nel mondo, dimostrando che l'Occidente è debole.

L'obiettivo è mostrare che i Paesi opposti al blocco euro-atlantico possono decidere quella che sarà la nuova governance globale, con tutti gli effetti politici ed economici che ne seguono. Ci focalizziamo giustamente sul livello tattico-operativo della guerra in Ucraina, ma dimentichiamo che l'Ucraina non è il fine ultimo, è solo il mezzo per raggiungerlo.

Quindi la dimensione è molto più ampia del conflitto ucraino…

Esattamente. A livello micro è il futuro politico di un popolo e di un Paese, a livello macro è la governance globale. L'Ucraina si intreccia al discorso del Global South, dei BRICS, dell'ascesa delle nuove potenze e di tutti quelli che vogliono cambiare l'attuale equilibrio di potere. E gli equilibri di potere si cambiano attraverso confronti anche duri – militari, politici ed economici.

Come dovrebbe reagire l'Europa, a questo punto?

La riflessione che bisogna fare in Europa è cruciale: come reagiamo per non cedere? Perché se accettiamo due provocazioni, ne accettiamo tre, poi quattro, poi domani diventano cinque. E cosa succede se un giorno non è più una provocazione ma un altro tipo di attività più cincreta? Questo è il vero nodo da sciogliere: mantenere la fermezza senza cadere nella trappola dell'escalation, ma senza nemmeno mostrare debolezza che inviti a ulteriori provocazioni.

La strategia russa punta proprio su questo: testare fino a che punto l'Occidente è disposto a tollerare prima di reagire, sfruttando la nostra naturale prudenza per alzare progressivamente il livello del confronto. La sfida è rispondere con determinazione ma senza offrire pretesti per un'escalation che la Russia potrebbe strumentalizzare per i propri fini strategici più ampi.

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