Cos’è il blocco E1, che Israele vuole occupare per impedire la nascita dello Stato di Palestina

Questa notte l'esercito israeliano ha iniziato le operazioni militari per occupare Gaza City, una delle poche zone della Striscia di Gaza non ancora sotto il suo diretto controllo. Ma poche ore prima del via all'invasione era stata un'altra decisione ad attirare le condanne della comunità internazionale: l'approvazione della costruzione di nuove colonie nel cosiddetto blocco E1, a est di Gerusalemme.
Una mossa che di fatto spaccherebbe in due la Cisgiordania, rendendo quasi impossibile immaginare in futuro la nascita di uno Stato palestinese. Non a caso, il progetto è da decenni una bandiera dell'estrema destra israeliana, che con il governo Netanyahu ha un ruolo determinante nel mantenere il primo ministro al potere. Il blocco E1 è al centro di discussioni e progetti colonialistici già dagli anni Novanta, ma finora le pressioni della comunità internazionale – specialmente degli Stati Uniti – avevano impedito l'occupazione.
Cos'è il Blocco E1 e chi abita oggi nel corridoio che divide la Cisgiordania
Il cosiddetto blocco E1 – sigla che sta per East 1 – è un corridoio di 12 chilometri quadrati a est di Gerusalemme. È una porzione di territorio strategica perché, se controllata e abitata da israeliani, collegherebbe la città a Ma'ale Adummim, il più grande degli insediamenti illegali di Israele in territorio palestinese, con quasi 40mila abitanti. Il progetto di Tel Aviv sarebbe di costruire 3.401 abitazioni, per decine di migliaia di persone.
In questo modo, Gerusalemme diventerebbe un'ampia metropoli. La Cisgiordania sarebbe divisa in due, e la nascita di uno Stato palestinese diventerebbe ancora più difficile da immaginare. Oggi nell'area vivono numerose comunità beduine, per un totale stimato di circa duemila persone, già obbligate a spostarsi negli anni dalle operazioni di colonizzazione israeliane.
Perché Israele vuole occuparlo e cosa è cambiato con Trump e Netanyahu
Come detto, è da tempo che il progetto di occupare il blocco E1 tenta i governi israeliani. Dopo l'inizio del dibattito negli anni Novanta, nel 2005 fu l'allora presidente Ariel Sharon – pur molto attivo nella costruzione di insediamenti illegali – a rinunciare, soprattutto a causa della pressione degli Stati Uniti. Alcuni anni dopo, nel 2012, fu Benjamin Netanyahu a rilanciare il progetto di colonizzazione dell'E1. Anche in quel caso, le pressioni europee e statunitensi frenarono l'iniziativa. Ma con Donald Trump la situazione è cambiata.
Lo stesso Netanyahu, nella sua biografia pubblicata nel 2022, ha raccontato che nel corso del primo mandato di Trump convinse il presidente degli Stati Uniti che uno Stato palestinese era sostanzialmente irrealizzabile. Facendo esempi sul golf e sulla geografia di New York – ha detto – spiegò che creare un'entità statale per la Palestina e garantire la sicurezza di Israele allo stesso tempo era impossibile.
Fatto sta che alle elezioni del 2020 il primo ministro israeliano è tornato a promettere di costruire nell'area E1. Nel 2023 i progetti per la costruzione di colonie sono stati tolti al controllo del ministero della Difesa, velocizzando le procedure. La scorsa settimana il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha approvato il progetto che ieri ha ricevuto il via libera definitivo dall'Alta commissione di pianificazione dell'amministrazione civile.
Ora, a livello formale, non manca nulla. È possibile fare ricorso contro la decisione. E soprattutto mancano, concretamente, le gare d'appalto per assegnare i permessi per costruire. Resta da vedere se la pressione internazionale spingerà Netanyahu a rallentare su questi ultimi passaggi tecnici – finora l'amministrazione Trump è stata più che compiacente nei suoi confronti, e gli appelli dell'Europa e dell'Onu su Gaza si sono dimostrati sostanzialmente inutili.
Perché il Blocco E1 può bloccare la nascita dello Stato palestinese
Come detto l'area E1, in caso di costruzione di nuove colonie, di fatto taglierebbe in due la Cisgiordania, uno dei due territori palestinesi insieme alla Striscia di Gaza. La Cisgiordania, anche detta West Bank, è già divisa in un'area controllata dai palestinesi e una controllata dagli israeliani.
Tutte le colonie costruite qui da Israele sono considerate illegali dal diritto internazionale. Occupare la zona di territorio a est di Gerusalemme, fino alla colonia di Ma'ale Adummim, creerebbe una netta separazione tra il Nord della Cisgiordania (con città come Ramallah) e Sud (con centri come Betlemme e, più in là, Hebron).
Non solo: i territori della Cisgiordania sarebbero di fatto separati dalla parte araba di Gerusalemme, o Gerusalemme Est. Questa è la città che, nei vari progetti portati avanti nei decenni di ‘due popoli e due Stati', è considerata la principale candidata a diventare la capitale dello Stato palestinese.
Così, in un colpo solo la Cisgiordania verrebbe divisa in due e perderebbe il contatto con la sua possibile capitale. Una situazione che renderebbe difficilissimo immaginare la nascita dello Stato di Palestina in futuro.
Non è un caso che il ministro Smotrich, quando ha approvato il piano, abbia dichiarato: "Lo Stato palestinese viene cancellato, non con gli slogan ma con le azioni. Ogni nuova casa che costruiremo rappresenta un chiodo sulla bara di questa idea pericolosa". L'Autorità nazionale palestinese, invece, ha detto che così la Cisgiordania diventerebbe simile a una "vera e propria prigione", con parti di territorio scollegate, in cui per muoversi da una all'altra bisogna passare dai posti di blocco israeliani, "nel terrore delle milizie armate dei coloni sparse per tutta la Cisgiordania".