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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Cosa succederà dopo l’avvio dell’offensiva di terra a Gaza City: sempre più lontana la soluzione dei due stati

Dopo l’avviso dell’offensiva di terra da parte dell’Idf a Gaza City, l’inazione internazionale, aggravata dal fallimento dei colloqui per il cessate il fuoco dopo i raid israeliani a Doha, sta completamente archiviando la possibilità che nasca uno stato palestinese nonostante la crescente mobilitazione internazionale che denuncia i crimini di guerra commessi da Israele nella Striscia.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Dopo tante minacce, Israele ha lanciato l’offensiva di terra nel centro di Gaza City. Secondo l’esercito israeliano (Idf) si tratta di “un’operazione graduale” con una combinazione di intelligence, forze aeree e di terra, con cui i militari di Tel Aviv vogliono completare il piano di pulizia etnica e deportazione dei palestinesi di Gaza e smantellare quel poco che rimane di Hamas, il movimento che governa la Striscia, decimato da due anni di conflitto, anche dopo i recenti attacchi ai suoi leader all’estero a Doha in Qatar che hanno messo una pietra sopra a qualsiasi tentativo di negoziato per il cessate il fuoco. I raid nella notte di lunedì e martedì hanno preso di mira 850 obiettivi nei quartieri di al-Daraj, nel campo profughi costiero a Ovest di Gaza e a Sheikh Radwan nel Nord provocando decine di vittime, per un totale di 65mila morti nel genocidio in corso dopo il 7 ottobre 2023.

La distruzione di Gaza City

L’occupazione di Gaza da parte di Idf ha lo scopo di distruggere completamente quello che rimane delle infrastrutture della storica città palestinese e di sostituire i gazawi trasformando la Striscia in un’opportunità immobiliare per i coloni israeliani e gli investitori stranieri interessati.

E così due divisioni dell’esercito israeliano sono state coinvolte negli attacchi insieme a una terza. In questo modo Idf è arrivata a controllare il 40% della Striscia. Oltre alle deportazioni forzate dei palestinesi che non vogliono lasciare volontariamente la loro terra perché sanno che, come avvenne nel 1948, non potranno farvi ritorno, Idf punterebbe a colpire i rimanenti tra i sostenitori di Hamas e di altri gruppi del fronte della Resistenza: circa 3mila militanti.

Non si fermano neppure le demolizioni che sistematicamente stanno colpendo tutte le infrastrutture ancora in piedi nella Striscia. L’ultima ad essere stata fatta saltare in aria è la torre Al-Ghefari, venti piani, la più alta di Gaza City. 

La via della fuga

E così per chi vuole avere salva la vita non rimane che fuggire. Il premier Netanyahu ha confermato che è iniziata una fase “cruciale” del conflitto. Le dichiarazioni sono state rilasciate durante le udienze per il processo per corruzione contro di lui in corso alla Corte di Tel Aviv. Le opposizioni hanno accusato ripetutamente il premier israeliano di aver prolungato la guerra a Gaza per rimanere al potere, evitare elezioni anticipate e godere dell’immunità nei processi in corso a suo carico. Anche il ministro israeliano della Difesa, Israel Katz, ha pubblicato dichiarazioni durissime su X: “Gaza sta bruciando. Idf sta colpendo le infrastrutture terroristiche con un pugno di ferro”, ha aggiunto.

D’altra parte, la Commissione di inchiesta (Coi) delle Nazioni Unite di esperti di diritti umani ha confermato in un report di 72 pagine, il più consistente pubblicato fino a questo momento, che Israele sta commettendo un genocidio nella Striscia.

“È chiaro che c’è un intento di distruggere i palestinesi a Gaza con atti che rispondono ai criteri stabiliti dalla convezione sul genocidio”, ha denunciato il capo della Commissione Onu, Navi Pillay, ex giudice del tribunale per il Rwanda. Come se non bastasse, per le Nazioni Unite, entro fine mese la carestia a Gaza riguarderà oltre 640mila persone rispetto alle 500mila già colpite fin qui.

Scappando dalla propria terra

In questo contesto di distruzione e pulizia etnica, migliaia di famiglie stanno cercando di lasciare Gaza City. Idf ha stabilito che la strada costiera di al-Rashid è la sola transitabile per i civili che decidono di voler lasciare le loro case.

Immagini di strade congestionate, code di macchine, camion e famiglie che camminano a piedi lungo la Striscia stanno facendo ancora una volta il giro del mondo. Eppure, centinaia di migliaia di palestinesi hanno deciso di non lasciare le loro case mentre i costi per gli sfollati continuano a crescere inesorabilmente con piccoli furgoni che costano oltre 600 dollari per il noleggio, mentre di oltre 900 euro è il prezzo di una tenda per cinque persone.

Gran parte delle famiglie di sfollati non ha uno stipendio stabile dopo due anni di conflitto. Migliaia di gazawi sono costretti a rimanere chiusi nelle loro case o a camminare per chilometri nonostante i rischi legati alla guerra in corso. “Sono stata costretta a vendere tutto per coprire i costi del viaggio. Ho dovuto pagare 800 euro per raggiungere in 10 ore Khan Younis”, ha spiegato Lina al-Maghrebi, 32 anni, madre di tre bambini che si trova ora nel quartiere di Sheikh Radwan.

L’appoggio incondizionato degli Stati Uniti 

L’operazione di terra di Idf è arrivata con il via libera degli Stati Uniti. Dall’inizio del suo mandato il presidente Donald Trump ha permesso alle autorità israeliane di perseguire tutti i loro obiettivi senza porre alcun freno alle operazioni militari di Idf dal Libano all’Iran, dalla Siria allo Yemen.

Solo nella giornata di martedì, l’aeronautica israeliana ha colpito il porto di Hodeida in Yemen. I raid hanno fatto seguito al lancio di un missile da parte dei miliziani sciiti Houthi nella regione desertica nel Sud di Israele al confine con la Giordania, e contro l'aeroporto di Eilat. Secondo Idf, il porto sarebbe usato come hub per il trasferimento di armi e munizioni dall’Iran ai miliziani del fronte della Resistenza, impegnati da mesi nel colpire obiettivi in territorio israeliano e nell’ostacolare il traffico commerciale nel Mar Rosso.

A conferma della completa sovrapposizione tra gli interessi israeliani e quelli statunitensi, l’offensiva di terra è stata lanciata da Idf alla vigilia della visita del Segretario di Stato Usa, Marco Rubio, che ha assicurato il “sostegno incrollabile” di Washington ai piani israeliani nella Striscia.

I rischi per gli ostaggi

Lo stesso Trump, mentre erano in corso le prime operazioni di terra, ha avvertito Hamas di non usare i 48 ostaggi, ancora presenti nella Striscia, dei 250 israeliani, in gran parte rilasciati, nelle mani del gruppo dopo il 7 ottobre 2023, come scudi umani durante l’offensiva israeliana.

Le dichiarazioni del presidente Usa sono arrivate in seguito ai report non confermati secondo cui 20 ostaggi ancora in vita sarebbero stati trasferiti nelle strade di Gaza City durante gli attacchi. In seguito all’annuncio dei raid, i familiari degli ostaggi hanno organizzato una manifestazione e un sit-in permanente alle porte della residenza del premier a Gerusalemme. Da oltre due anni, le piazze delle città israeliane hanno ospitato manifestazioni molto partecipate sia contro il governo Netanyahu sia per chiedere il rilascio degli ostaggi ancora in vita sia per la fine della guerra a Gaza.

Lo scorso gennaio Trump e il premier israeliano avevano annunciato il piano di pulizia etnica a Gaza per la realizzazione della così detta “Riviera del Medio Oriente” nella Striscia. A fine agosto, dopo aver rifiutato qualsiasi intesa per un cessate il fuoco con Hamas, Idf aveva annunciato il piano di occupazione di Gaza con la deportazione dei residenti al Sud della Striscia dopo il ritiro unilaterale deciso nel 2005.

Disumanizzare i palestinesi

Del milione di abitanti di Gaza City, 140mila sarebbero sfollati nel Sud della Striscia, nell’ultimo mese, secondo i dati delle Nazioni Unite. “È disumano aspettarsi che mezzo milione di bambini, traumatizzati da 700 giorni di continuo conflitto, scappino da un inferno per finire in un altro”, ha commentato Tess Ingram delle Nazioni Unite. “I palestinesi non hanno nessuna via d’uscita: vivere in pericolo o andarsene in un posto che sanno essere pericoloso”, ha denunciato Ingram.

Il pretesto utilizzato da Idf è di dover smantellare le rimanenti infrastrutture di Hamas, come ha spiegato il colonnello Avichay Adraee di Idf. “Gaza City è una zona di combattimento pericolosa. Rimanere in città è pericoloso”, ha commentato.

Netanyahu ha confermato la necessità di evacuare la popolazione civile di Gaza City aprendo “ulteriori corridoi umanitari”. Tuttavia, numerose ong israeliane, tra cui l’Associazione per i diritti civili in Israele (Acri), hanno denunciato come pulizia etnica le operazioni militari di Idf, che hanno l’obiettivo di “sfollare una popolazione esausta e affamata che non ha un posto dove fuggire”. Secondo gli operatori umanitari gli ordini di evacuazione sono “contrari al diritto internazionale” e “non derivano da necessità militari”.

Sempre più lontana la soluzione dei due stati

E così l’occupazione di Gaza City segna un passo in più verso la distruzione di qualsiasi possibilità che si realizzi la soluzione dei due stati, nonostante molti paesi europei, a partire da Francia e Gran Bretagna, abbiano confermato di voler riconoscere lo stato palestinese nei prossimi giorni in assenza però di una volontà forte della comunità internazionale di fermare i crimini perpetrati da Israele.

Per l’Autorità nazionale palestinese (Anp) l’offensiva di terra ha trasformato Gaza City in una “fossa comune” e rappresenta “il fallimento della diplomazia internazionale nel fermare la guerra”.

L’Unione europea dovrebbe finalmente approvare nei prossimi giorni nuove sanzioni commerciali contro Israele dopo l’attacco a Gaza City, mentre il governo spagnolo discuterà la prossima settimana il decreto che prevede l’embargo di armi a Israele. Ancora, i raid di Tel Aviv sono stati definiti come “totalmente irresponsabili” dalla ministra degli Esteri britannica, Yvette Cooper.

E così, in questo contesto, Amnesty International ha chiesto la fine di qualsiasi esportazione di armi verso Israele, l’attuazione dei mandati di arresto internazionale per crimini di guerra contro i leader israeliani emessi dalla Corte internazionale di giustizia, la fine di qualsiasi scambio commerciale con le colonie israeliane e sanzioni mirate contro i funzionari di Tel Aviv implicati nei crimini di guerra. Non solo, cresce il numero di università in Europa e in Sud America che hanno deciso di boicottare le istituzioni israeliane a causa del genocidio in corso.

L’offensiva di terra di Idf a Gaza City ha aperto una nuova fase del genocidio in corso nella Striscia, dopo la nascita dello stato di Israele, aggravatosi in seguito agli attacchi del 7 ottobre 2023. Questa volta l’obiettivo israeliano è la pulizia etnica e la sostituzione dei palestinesi che vivono nella più grande città della Striscia in un contesto di costante carestia e distruzione di tutte le infrastrutture rimaste in piedi a Gaza. Questa fase del conflitto chiarisce ancora una volta la sovrapposizione tra gli interessi statunitensi e quelli israeliani così come la necessità di sanzioni immediate contro Israele che inneschino la necessità di chiudere finalmente questa pagina così sanguinosa del conflitto. Tuttavia, l’inazione internazionale, aggravata dal fallimento dei colloqui per il cessate il fuoco dopo i raid israeliani a Doha, sta completamente archiviando la possibilità che nasca uno stato palestinese nonostante la crescente mobilitazione internazionale che denuncia i crimini di guerra commessi da Israele a Gaza.

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