Corte UE: “I migranti irregolari non vanno messi in carcere prima del rimpatrio”

La direttiva europea sui rimpatri esclude che un cittadino di un paese al fuori dell'Unione, prima di essere sottoposto alla procedura di rimpatrio, possa essere messo in carcere per il solo fatto di essere entrato in modo irregolare nel territorio di uno stato membro, attraverso una frontiera interna dello spazio Schengen. Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue. La pronuncia riguarda la sentenza nella causa C-47/15 relativa a una donna di nazionalità ghanese che era stata fermata dalla polizia francese al punto di ingresso del tunnel sotto la Manica, mentre si trovava a bordo di un pullman proveniente da Gand (Belgio) e diretto a Londra (Regno Unito). La migrante era stata fermata dalla polizia per ingresso irregolare nel territorio francese, poi le autorità francesi avevano chiesto al Belgio di riammetterla nel suo territorio.
La direttiva sui rimpatri consente, invece, la reclusione di un extracomunitario nel caso in cui egli sia stato precedentemente sottoposto al rientro volontario in patria, ma nonostante ciò continui a soggiornare in modo irregolare nel territorio dello Stato membro senza una valido motivo. In questi casi la direttiva obbliga gli Stati membri a procedere all’allontanamento forzato attraverso misure “il meno possibile coercitive”. Qualora l’allontanamento rischi di essere compromesso, lo Stato membro può ricorrere al trattenimento del profugo per una durata che non può in nessun caso superare i 18 mesi. La Corte di giustizia UE precisa che "gli Stati membri non possono consentire la reclusione dei cittadini di Paesi non Ue, nei confronti dei quali la procedura di rimpatrio non sia stata ancora conclusa, in quanto tale reclusione è idonea a ostacolare l'applicazione della procedura stessa e a ritardare il rimpatrio, pregiudicando quindi l'effetto utile della direttiva".