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Conflitto Israelo-Palestinese

Paola Caridi: “A Gaza una carneficina. Nessun futuro per i palestinesi senza un cessate il fuoco”

Paola Caridi: “Hamas non è mai stata costituita da un unico centro di potere, ma da tanti nodi territoriali diffusi ovunque con tanto di circoscrizioni nelle prigioni. Le domande che dovremmo porci dunque sono queste: quale Hamas sta pesando di più in questo momento?”.
Intervista a Paola Caridi
Storica, giornalista e saggista
A cura di Davide Falcioni
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Il massacro di civili palestinesi in coda ieri per ricevere aiuti umanitari nel nord di Gaza rischia di far saltare i faticosi negoziati per un cessate il fuoco. Proprio quando l'obiettivo di una tregua sembrava a portata di mano – e persino la Casa Bianca si era sbilanciata dicendosi moderatamente fiduciosa – l'esercito dello stato ebraico ha aperto il fuoco su una folla di persone alla disperata ricerca di cibo, acqua e medicinali: il bilancio, ancora provvisorio, è di almeno 112 morti e oltre 700 feriti, alcuni dei quali in condizioni disperate e trasportate in quel che resta degli ospedali di Gaza City.

Quella di ieri è stata solo l'ultima di una lunga serie di stragi: a quasi cinque mesi dall’inizio dei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza infatti sono stati uccisi oltre 30mila palestinesi. I due terzi sono donne e bambini, questi ultimi circa 12.500. Ma i numeri forniti dal Ministero della Salute controllato da Hamas, e confermati dall'ONU, potrebbero essere addirittura ottimistici: almeno ottomila persone sono infatti ancora sepolte sotto le macerie e decine di migliaia devono fare i conti con la mancanza di cibo, acqua e farmaci; non a caso nei giorni scorsi l'ONU ha dichiarato che un quarto della popolazione residente nella Striscia di Gaza, oltre 570mila persone, corre il rischio di morire di fame.

Insomma, oggi Gaza è un autentico inferno. Ma in questo inferno Hamas è tutt'altro che sconfitta. Come accaduto anche in passato le operazioni militari israeliane stanno radicalizzando migliaia di giovani che nella "prigione a cielo aperto" di Gaza non vedono nessuna prospettiva. Ne abbiamo parlato con la giornalista e analista Paola Caridi, autrice di "Hamas. Dalla resistenza al regime" (Feltrinelli) ed esperta di Medio Oriente.

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Ieri c’è stato un nuovo massacro di civili: più di cento palestinesi sono stati uccisi dall'esercito israeliano mentre erano in fila per ricevere degli aiuti umanitari.

E non è la prima volta. Ogni giorno dall'interno della Striscia di Gaza ci arrivano notizie simili, penso ad esempio agli spari da parte dei cecchini israeliani su civili palestinesi inermi, anche su bambini. Molto spesso queste persone vengono uccise proprio su strade che l'IDF aveva in precedenza definito "sicure". L'episodio di ieri non è il primo, ma sulla stampa italiana la guerra a Gaza sembra essere scomparsa. Eppure Israele bombarda ogni notte le case dei palestinesi e i raid sono in corso anche a Rafah. Tutto questo sta accadendo ogni giorno. Basterebbe leggere fonti qualificate come Al Jazeera, che è la testata con più corrispondenti all'interno della Striscia. Le vittime sono ben oltre 30mila, se si considerano anche quelle sepolte sotto le macerie e quelle che moriranno a causa di fame e malattie.

E a queste devono sommarsi i morti di fame e malattie.

Mentre parliamo migliaia di palestinesi si dissetano con acqua raccolta dalle pozzanghere o direttamente con acqua marina; 4.500 di loro sono rifugiati in una scuola dell'UNRWA con solo 18 bagni a disposizione. Tutto questo avrà un impatto sulla vita di quelle persone, come ripetutamente denunciato anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Sempre più spesso sui media italiani si attribuiscono quei numeri al Ministero della salute di Hamas, quasi che questo li renda meno credibili. Ma è davvero così?

Nei 17 anni in cui Gaza è stata sigillata dall'esercito israeliano e da quello egiziano (a Rafah) le agenzie delle Nazioni Unite hanno sempre accreditato i dati forniti dal Ministero della Salute di Hamas. Basta leggere le cifre pubblicate online dall'Ufficio Umanitario dell'ONU. I dati sono concordanti.

Secondo alcuni osservatori la strage di ieri rischia di far deragliare i negoziati per un cessate il fuoco. Lei vede questo rischio?

Il rischio c'è e ce lo insegnano anche altre guerre del passato: penso ad esempio a quella in ex Jugoslavia, ai massacri di Sarajevo. Quante volte si è arrivati a un passo da una tregua, ma è stato fatto saltare il banco in extremis con una strage? Questo è accaduto spesso anche nella storia del conflitto israelo-palestinese: nei primi anni duemila, durante la seconda intifada, spesso i vertici dei servizi segreti delle due parti tentavano di raggiungere un accordo per una tregua, ma tutto saltava a causa di un raid aereo israeliano o un attentato palestinese. La storia dei negoziati per un cessate il fuoco è costellata di casi del genere. E noi, in Europa, non ci rendiamo conto di quanto si stia allontanando di giorno in giorno una qualsiasi risoluzione della questione israelo-palestinese. Il massacro di Gaza di questi quasi cinque mesi, ma anche gli attacchi del 7 ottobre, hanno modificato radicalmente tutti i paradigmi in Medio Oriente.

Dal 7 ottobre è stata superata la soglia dei 30mila palestinesi uccisi. Quale impatto avrà questa carneficina sulle generazioni future che vivranno a Gaza?

Gli attuali adolescenti, i ragazzi e le ragazze gazawi di 14/15 anni, sono nati durante la prima guerra sulla Striscia di Gaza, quella del 2008/2009, e a corrente alternata hanno vissuto altri tre conflitti prima di quello odierno. Insomma, in quel fazzoletto di terra c'è già una generazione che è cresciuta sotto le bombe e che si è già radicalizzata per ragioni evidenti: non si possono costringere 2,3 milioni di persone in una prigione a cielo aperto pensando che questo non avrà delle conseguenze dal punto di vista psicologico. Ricordo un aneddoto: nel 2007, prima ancora dell'ascesa di Hamas, andai a Gaza per assistere a una conferenza sulla salute mentale. Quella conferenza, alla quale avrebbero dovuto partecipare esperti di tutto il mondo, venne vietata da Israele. Ebbene, uno degli scienziati più autorevoli, uno psichiatra laico che si chiamava Eyad El Sarraj, già metteva in guardia dalle ricadute psicologiche per le persone che all'epoca vivevano ammassate in uno spazio così piccolo; e a quel tempo erano "solo" 1,5 milioni. Insomma, i fatti di oggi sono figli di una storia che in Occidente abbiamo del tutto dimenticato. Dunque, se vogliamo parlare del futuro dei palestinesi dobbiamo finalmente avere la forza di occuparci del presente. E il presente è la carneficina che sta commettendo Israele. Non si può costruire un futuro senza un cessate il fuoco.

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Dopo gli attacchi del 7 ottobre Israele si è data l'obiettivo di distruggere Hamas. Ma dopo quasi cinque mesi di guerra come sta l'organizzazione politica che amministra Gaza?

Forse sarebbe il caso di parlare delle "Hamas". Quella dentro la Striscia di Gaza, ma anche quelle in Qatar, in Libano, nei campi profughi palestinesi all'estero. Hamas non è mai stata costituita da un unico centro di potere, ma da tanti nodi territoriali diffusi ovunque con tanto di circoscrizioni nelle prigioni. Le domande che dovremmo porci dunque sono queste: quale Hamas sta pesando di più in questo momento? Quella dentro Gaza? Yahya Sinwar è ancora al potere nonostante questi cinque mesi di guerra? E cosa stanno decidendo le elite di Hamas in Qatar e in Libano?

Può provare a rispondere a queste domande?

Una cosa mi pare verosimile. Una parte dell'elite di Hamas all'estero vuole superare questa fase di debolezza e intende entrare nell'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) perché questo significherebbe sdoganare definitivamente Hamas e legittimarla attraverso l'organismo che rappresenta formalmente i palestinesi anche all'ONU. C'è poi un'alta ipotesi: che Hamas voglia cedere sulla governance di Gaza per passare la gestione a un governo tecnico da costruire insieme all'ANP. Bisognerà capire cosa accadrà nei prossimi giorni: ieri è iniziata a Mosca una riunione delle fazioni palestinesi. Vediamo come andrà.

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