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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Come si è arrivati all’entrata degli Usa nella guerra tra Israele e Iran: le tappe e i motivi dell’attacco

L’attacco degli Stati Uniti all’Iran è arrivato nella notte tra il 21 e il 22 giugno, a sorpresa. Poco più di una settimana fa era stato Israele a colpire Teheran con raid che, da allora, non si sono fermati. Hanno vinto le motivazioni di chi chiedeva a Trump di entrare in guerra: ecco le tappe che hanno portato all’attacco di questa notte.
A cura di Luca Pons
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L'attacco da parte degli Stati Uniti a tre siti nucleari dell'Iran, che potrebbe essere l'inizio di una nuova guerra in Medio Oriente per gli Usa e portare a risvolti caotici in tutta la regione, è arrivato al termine di una settimana in cui non è mai stato chiaro quale sarebbe stata la decisione di Donald Trump. Ad aprire le ostilità con l'Iran è stato Israele, che con i primi raid a sorpresa ha ucciso vertici militari e scienziati nucleari iraniani (oltre a numerosi civili, stando a quanto hanno riportato organizzazioni per i diritti umani). Poco meno di una settimana fa, il presidente degli Usa aveva invitato a "evacuare Teheran", mentre venerdì aveva detto che avrebbe deciso "entro due settimane".

L'attacco di Israele e l'uccisione degli scienziati nucleari iraniani

Come detto Israele aveva attaccato l'Iran tra il 12 e il 13 giugno. Il motivo ufficiale dell'attacco era bloccare il programma nucleare iraniano. Nonostante l'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea) abbia confermato più volte che non ci sono prove che l'Iran si stesse dotando di un'arma atomica, il governo israeliano ha detto che era obbligato a intervenire per evitare di essere attaccato.

I raid militari avevano colpito non solo i vertici dell'esercito iraniano, ma anche gli scienziati nucleari. Nella prima notte di attacchi, nove esperti del settore che lavoravano sull'energia atomica in Iran erano stati uccisi. In alcuni casi le forze armate israeliane avevano fatto ricorso anche a autobombe piazzate a Teheran. Dopo l'attacco Yechiel Leiter, l'ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, aveva detto: "Abbiamo rallentato in modo significativo il programma nucleare iraniano, ma non abbastanza".

Gli omicidi sono poi continuati: solo ieri è stata diffusa la notizia dell'uccisione di Seyed Asgar Hashemitabar, scienziato che dal 2019 gli Stati Uniti consideravano potenzialmente coinvolto nel programma nucleare iraniano con scopi militari. Il giorno prima, l'attacco di un drone a Teheran aveva ucciso Isar Tabatabai-Qamsheh, altro scienziato, insieme alla moglie.

L'invito di Trump: "Evacuate Teheran", e la pressione dei ‘falchi'

Era chiaro da subito, insomma, che l'attacco di Israele era rivolto anche alle strutture nucleari iraniane. Non era chiaro, invece, come si sarebbero mossi gli Stati Uniti. Donald Trump aveva elogiato da subito l'intervento militare israeliano. Martedì 17 giugno aveva lasciato il summit del G7 in anticipo, tra le polemiche, e aveva scritto sui social un messaggio allarmante: "L'Iran non può avere un'arma nucleare, l'ho detto più e più volte. Tutti dovrebbero evacuare Teheran immediatamente!". Si parla di una città da dieci milioni di abitanti circa.

In numerosi post successivi su Truth, il suo social di riferimento, Trump aveva ribadito la stessa frase: "L'Iran non può avere un'arma nucleare". Il giorno dopo aveva scritto: "Abbiamo il completo controllo sopra i cieli dell'Iran", di fatto parlando come se fosse il leader dell'esercito israeliano – probabilmente perché l'offensiva portata avanti dall'esercito di Israele utilizzava soprattutto attrezzature e armamenti forniti dagli Usa. E ancora, aveva detto che non aveva intenzione di far uccidere l'ayatollah Ali Khamenei, ma "non vogliamo missili rivolti a civili" (evidentemente israeliani) "o soldati americani. La nostra pazienza sta finendo".

In quei giorni sembrava, insomma, che l'intervento potesse essere imminente. Era il momento in cui le voci repubblicane che spingevano in questa direzione erano più forti: Il senatore Ted Cruz diceva a Fox News che era nell'interesse degli Usa un "cambio di regime" in Iran, il senatore Lindsey Graham concordava: "Non sarebbe meglio se gli Ayatollah venissero mandati via e fossero rimpiazzati da qualcosa di meglio?". Infatti l'ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, aveva commentato fiducioso: "Crediamo che gli Stati Uniti e il presidente degli Stati Uniti abbiano il dovere di assicurarsi che la regione proceda in modo positivo e che il mondo non debba vedere l'Iran con una bomba atomica". Anche perché nel frattempo gli sforzi militari contro Teheran rischiavano di diventare troppo pesanti per Israele.

Le apparenti trattative e le "due settimane di tempo" per decidere

Poi però, da giovedì, l'attenzione di Trump era sembrata spostarsi verso i possibili negoziati con l'Iran. A quel punto il presidente aveva già visto dei piani per il possibile attacco, ma li aveva messi in pausa.

L'ultimo segnale ‘positivo' per chi sperava che l'intervento militare non arrivasse era giunto proprio giovedì. Il presidente, in un comunicato della Casa Bianca, aveva detto: "Dato che c'è una sostanziale possibilità di negoziati che potrebbero esserci o non esserci con l'Iran nel prossimo futuro, prenderò la mia decisione sull'andare o meno entro le prossime due settimane".

Un tempo piuttosto lungo, nel mezzo di una crisi internazionale. Sembrava avere la meglio chi aveva chiesto al presidente di aspettare, prendere tempo, cercare una soluzione diplomatica e non portare gli Usa in una nuova guerra. Lo aveva fatto molto apertamente Steve Bannon, ex consigliere di Trump, volto noto del movimento Maga, che aveva incontrato Trump a pranzo proprio giovedì.

Venerdì si sarebbe tenuto un incontro tra rappresentanti dell'Iran e di Germania, Francia, Regno Unito e Unione europea. Il giorno prima l'inviato speciale di Trump nella regione Steve Witkoff e il segretario di Stato avevano parlato con il ministro degli Esteri britannico David Lammy, e Rubio si era confrontato con il ministro francese Jean-Noël Barrot.

L'idea era di coordinarsi sui contenuti dell'incontro, visto che gli Usa non avevano intenzione di partecipare direttamente. La Casa Bianca aveva commentato dicendo che supportava gli "sforzi diplomatici" che "potrebbero portare l'Iran più vicino a un accordo". Il vertice di venerdì, avvenuto a Ginevra, si era poi concluso con un nulla di fatto. Gli iraniani avevano chiesto che l'attacco di Israele si fermasse prima che riprendessero i negoziati per un accordo sul nucleare. Le parti avevano deciso che ci sarebbero stati altri incontri in futuro.

La mossa di Trump

Questa fase, però, come ormai sappiamo è durata poco. Già dopo il vertice di venerdì Trump era sembrato pessimista: "L'Iran non vuole parlare con l'Europa, vuole parlare con noi. L'Europa non potrà aiutare su questa cosa", aveva detto ad alcuni giornalisti. Nei giorni successivi ha evitato di parlare della questione, concentrando le sue comunicazioni quasi esclusivamente su questioni di politica interna. Fino a quando, questa notte, non ha comunicato che l'attacco era avvenuto.

Se si trattasse di una tattica per prendere tempo e non rivelare le sue vere intenzioni, o se il presidente degli Usa abbia effettivamente cambiato idea più volte, non è noto. Ciò che è certo è che, dopo poco più di una settimana di esitazioni, l'attacco è partito. Trump, che al suo discorso inaugurale aveva detto "Misureremo il nostro successo soprattutto dalle guerre in cui non entreremo", ha iniziato una guerra. Gli sviluppi dell'attacco, per il momento, restano da vedere.

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