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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Come si è arrivati al possibile accordo di pace Israele-Hamas: parla il negoziatore ombra Gershon Baskin

Gershon Baskin, mediatore israeliano e già protagonista del caso Shalit, ha svolto un ruolo chiave nei negoziati che potrebbero portare alla fine della guerra Israele-Hamas, agendo come canale segreto tra emissari di Trump, mediatori arabi e la leadership di Hamas. Ecco il suo racconto a Fanpage.it.
A cura di Davide Falcioni
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"Questa è una mattina di festa": sono le parole, arrivateci ieri via sms, di Gershon Baskin, l’uomo di 68 anni che da decenni lavora nei corridoi paralleli della diplomazia israelo-palestinese e che da sempre cerca di costruire ponti tra Tel Aviv e Gaza. Questa volta la posta in gioco era la più alta possibile – la fine della guerra tra Israele e Hamas – e l'accordo stipulato a Sharm el-Sheikh rappresenta l'esito di un lavoro sotterraneo cominciato molto prima che le cancellerie lo apprendessero ufficialmente.

Baskin, 68 anni, fondatore dell’Israel/Palestine Center for Research and Information e noto per il suo ruolo nel rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit nel 2011, non è un diplomatico di carriera né un politico. È un "mediatore ombra", uno di quei personaggi che si muovono tra governi, intelligence e organizzazioni armate, cercando spiragli dove la politica ufficiale vede solo muri. Nel suo lungo resoconto racconta come, passo dopo passo, si sia arrivati a un accordo che potrebbe porre fine a due anni di genocidio.

In questa crisi, il ruolo di Baskin è stato quello di ponte segreto tra gli emissari americani di Donald Trump, i mediatori arabi e la leadership di Hamas. Attraverso canali informali, il 68enne ha contribuito a redigere parti della proposta statunitense consegnata a Doha e ha mantenuto i contatti con diversi membri del movimento palestinese, aiutando a ricucire il dialogo ogni volta che le trattative sembravano sul punto di arenarsi. "Sapevo che la parte israeliana avrebbe accettato ciò che Trump l’avrebbe costretta ad accettare", scrive nel suo racconto, ricostruendo punto per punto come la diplomazia ombra sia riuscita a trasformarsi in un accordo di pace formale.

Il ruolo di Trump e quello di Qatar, Egitto e Turchia

L'intesa "di pace" raggiunta ieri prevede che Israele si ritiri da Gaza, Hamas rilasci tutti gli ostaggi israeliani – vivi e deceduti – e migliaia di prigionieri politici palestinesi tornino in libertà. Ma la costruzione dietro questo accordo è stata tutto fuorché semplice.

Secondo Baskin, la chiave è stata l’intervento diretto del presidente Donald Trump, tornato alla Casa Bianca a gennaio 2025, che ha deciso di imporre la pace sia a Benjamin Netanyahu sia a Hamas. "Trump e il suo emissario Steve Witkoff hanno messo insieme il primo ministro del Qatar, il capo dell’intelligence egiziano e quello turco per la spinta finale", scrive. "È stata una mossa brillante. Trump ha vincolato Netanyahu all’accordo, mentre i qatarioti, gli egiziani e i turchi hanno vincolato Hamas".

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Il tentativo e il fallimento di Biden

Baskin spiega tuttavia che la trattativa poteva concludersi molto prima. Il negoziatore racconta che già nel settembre 2024 Hamas aveva accettato un piano quasi identico, noto come il ‘Three Weeks Deal' (ne scrivemmo qui, ndr), che lui stesso aveva ricevuto "per iscritto e in messaggi vocali, in arabo e in inglese". Ma allora la risposta israeliana fu netta: "Il primo ministro non è disposto a porre fine alla guerra".

Dall’altra parte, l’amministrazione di Joe Biden rifiutò di imporre il piano, puntando su un negoziato decisamente meno efficace. "Il presidente Biden proiettava debolezza americana, mentre Trump proietta potenza", scrive oggi, con una frase che sintetizza il suo giudizio. "Era chiaro che l’unico modo per far finire la guerra era che Trump decidesse che doveva finire".

Nel dicembre 2024, durante un incontro con Ronen Bar, capo dello Shin Bet, Baskin capì che qualcosa si stava di nuovo muovendo. "Mi disse di non usare più i miei canali paralleli, perché tra tre settimane ci sarebbe stato un cessate il fuoco. Trump voleva la tregua prima del suo ingresso alla Casa Bianca". E così avvenne: il 19 gennaio 2025, alla vigilia dell’insediamento, fu annunciata una prima tregua.

L’incontro segreto di Abu Dhabi con Steve Witkoff

Ma la pace era ancora lontana. Baskin decise allora di percorrere un’altra strada, con l’aiuto del suo interlocutore palestinese Samer Sinijlawi, attivista politico di Gerusalemme Est. A dicembre 2024 scoprirono che Steve Witkoff, imprenditore e amico personale di Trump, avrebbe partecipato a una conferenza sul Bitcoin ad Abu Dhabi.

"Samer suggerì di investire i soldi per andarci e intercettarlo", scrive. "Lo facemmo, riuscimmo a parlargli e gli consegnammo un articolo scritto insieme. Quell’investimento ha dato i suoi frutti". Da quell’incontro nacque un canale informale tra Hamas e gli americani, con Baskin nel ruolo di mediatore. "Sapevo che la parte israeliana avrebbe accettato ciò che Trump l’avrebbe costretta ad accettare", spiega. In sostanza, l’obiettivo era creare un accordo americano-palestinese che Israele non avrebbe potuto rifiutare.

Steva Witkoff
Steva Witkoff

Il bombardamento che ha fatto saltare tutto

L’8 settembre 2025, dopo mesi di contatti riservati, Hamas ricevette dal primo ministro del Qatar la proposta americana definitiva, elaborata con la consulenza di Baskin. Lui stesso era al telefono con il team statunitense mentre i qatarioti presentavano il documento a Doha.

Sembrava il passo finale, ma la notte seguente un bombardamento israeliano colpì la casa di Khalil al-Haya, uno dei leader di Hamas. La fiducia crollò, e con essa il processo negoziale. Alle 1:22 del mattino, Witkoff gli inviò un messaggio: "Non abbiamo nulla a che fare con questo. Gli israeliani ci hanno chiesto scusa. La loro dichiarazione lo conferma. E il post del Presidente su Truth Social lo attesta".

Per giorni, la trattativa fu congelata. Hamas si nascose, i contatti furono interrotti. Ma dieci giorni dopo, il 19 settembre, arrivò la chiamata che riaprì tutto: "Witkoff mi disse: ‘Abbiamo un piano’. Mi chiese di convincere la leadership di Hamas che Trump faceva sul serio e voleva la fine della guerra". Tre dirigenti di Hamas in esilio ripresero a parlare con lui. "Sapevo che se Trump avesse deciso di chiudere la guerra, Netanyahu non avrebbe potuto opporsi. Ed è esattamente quello che è successo".

La firma dell'accordo dell'8 ottobre

Nelle prime ore di ieri, 8 ottobre, le delegazioni di Israele e Hamas sono entrate nella stessa stanza in un luogo protetto a Sharm el-Sheikh: "Alle due del mattino tutti i partecipanti ai negoziati si sono seduti in una grande sala, con tavoli disposti a quadrato", scrive Baskin. "La delegazione israeliana sedeva di fronte a quella di Hamas. È stata la prima volta nella storia che funzionari ufficiali dei due lati sedevano nella stessa stanza. L’accordo è stato firmato. E finalmente possiamo ricominciare a respirare".

I prigionieri e la questione Barghouti

Resta incerto ora l’elenco dei prigionieri palestinesi che saranno liberati. Tra i nomi più discussi c’è quello di Marwan Barghouthi, leader carismatico di Fatah detenuto dal 2002. Baskin rivela di aver fornito agli americani le opinioni di "circa venti israeliani di spicco" sulla sua possibile liberazione: "La maggior parte era favorevole, ritenendo che Barghouthi potesse giocare un ruolo positivo nel rilancio di un processo di pace; altri erano contrari, temendo il contrario".

Per il mediatore israeliano, la chiave della svolta è stata la capacità di Trump di imporre un equilibrio di potere. "Biden ha mostrato debolezza; Trump mostra forza", scrive senza mezzi termini. E aggiunge: "Trump merita il Premio Nobel per la Pace. Witkoff è un deal maker, e senza di lui nulla di tutto questo sarebbe accaduto".

Marwan Barghouti
Marwan Barghouti

"Il nuovo governo di Gaza deve essere palestinese"

Resta ora da capire come si tradurrà la pace sul terreno. Il nuovo governo di Gaza, scrive però Baskin, "deve essere palestinese e non un meccanismo neocoloniale controllato dall’esterno". A questo scopo, un gruppo di leader civili di Gaza ha inviato a Trump una lettera, tramite lo stesso Baskin, offrendo la propria disponibilità a guidare la ricostruzione.

La sfida sarà evitare che la fragile tregua si dissolva nei prossimi mesi. Ma, almeno per ora, il senso delle parole di Baskin è chiaro: "Il più importante risultato è la dichiarazione congiunta: la guerra è finita e non ricomincerà. Gli ostaggi e i prigionieri saranno liberati nei prossimi giorni. Israele inizierà a ritirarsi. E noi potremo finalmente tirare un sospiro di sollievo".

L’uomo del canale segreto già nel 2011

Per chi segue la sua storia, questo epilogo non sorprende. Nel 2011, fu proprio Gershon Baskin a costruire il canale di comunicazione che portò alla liberazione di Gilad Shalit, dopo cinque anni di prigionia a Gaza. Da allora è rimasto un interlocutore rispettato, ma anche controverso, per la sua convinzione che il dialogo con Hamas sia "non un’opzione morale, ma una necessità politica". Oggi, con la firma dell’accordo che mette fine alla guerra del 2023–2025, quel dialogo potrebbe aver cambiato la storia.

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