Cosa farà l’Iran per rispondere all’attacco degli Stati Uniti

A sorpresa gli Stati Uniti hanno attaccato l'Iran bombardando tre dei suoi siti nucleari, in quello che Donald Trump ha definito un "successo spettacolare". L'attacco è arrivato dopo dieci giorni di intensi raid israeliani nel Paese, e segna di fatto l'ingresso degli Usa in una guerra che potrebbe avere conseguenze pesanti su tutto il Medio Oriente.
Ma ciò che molti sperano si eviti è un'escalation del conflitto: in questa direzione sono andati tutti gli appelli dei leader politici vicini al mondo occidentale, che pure nella grande maggioranza dei casi non hanno contestato l'attacco statunitense. Quindi, per capire che piega prenderanno le cose, bisognerà prima osservare come risponderà l'Iran. Per ora le dichiarazioni iraniane sono state durissime, ma anche in passato ci sono state minacce e attacchi verbali da Teheran a cui non sempre hanno fatto seguito iniziative concrete sulla stessa scala. Sarà quindi necessario aspettare i fatti. E le opzioni a disposizione del governo sono molte.
Il tavolo dei negoziati
La prima strada, quella invocata almeno a parole da Onu, Unione europea e Regno Unito tra gli altri, è quella della diplomazia. L'invito all'Iran è di "tornare al tavolo dei negoziati". La risposta di Teheran è stata netta: "Eravamo al tavolo fino a quando Israele e poi gli Usa non ci hanno attaccati, sono loro che l'hanno fatto saltare in aria". Ed effettivamente dei negoziati per la gestione del nucleare erano in corso tra Usa e Iran fino all'inizio dei raid israeliani contro il Paese.
Il vantaggio del riprendere le trattative sarebbe evitare nuovi scontri militari. Le condizioni imposte dagli Stati Uniti però sarebbero con tutta probabilità molto dure. Sarebbe più simile a una resa che a un negoziato. Dunque sembra molto difficile che il governo iraniano scelga questa strada, dopo aver subito un attacco militare sul proprio territorio.
Gli analisti hanno sottolineato che l'attacco ordinato da Trump è stato più ‘limitato' rispetto ad altre occasioni simili nella storia americana recente: le iniziative contro Iraq e Afghanistan, che avevano anche un sostegno popolare ben maggiore negli Usa, avevano visto numerosi soldati americani sul terreno. C'è l'ipotesi che il presidente statunitense non abbia interesse a una vera e propria guerra, e sia quindi ben disposto a una soluzione diplomatica, dopo che l'approccio dell'Iran è stato ‘ammorbidito' dai bombardamenti.
Ma l'ayatollah Ali Khamenei, 86 anni, che guida il Paese dal 1989, non ha grandi ragioni per fidarsi personalmente di Trump. In generale i rapporti tra Stati Uniti e Iran sono pessimi da decenni, ma nello specifico fu Trump ad abbandonare nel 2018 l'accordo sul nucleare che Teheran aveva stipulato con Washington e altri Paesi nel 2015. Insomma, le condizioni per una soluzione diplomatica sembrano ben lontane.
Il contrattacco ‘di facciata' o la vera escalation
C'è quindi l'ipotesi del contrattacco. Questo potrebbe essere più ‘leggero', per così dire: mirare a bersagli simbolici, dare un segnale che il regime non è disposto ad accettare attacchi, e poi trattare delle condizioni per chiudere la questione. L'Iran potrebbe decidere di uscire dal trattato di non proliferazione nucleare, con cui hanno accettato di non creare un'arma nucleare. Potrebbe colpire le numerose basi statunitensi nella regione, magari concentrandosi soprattutto su quelle che sono già state evacuate (normalmente ci sono circa 40mila soldati statunitensi in Medio Oriente) senza causare morti, come fece nel 2020 dopo l'assassinio del generale Qassem Soleimani. Potrebbe spingere gli Houthi, suoi alleati in Yemen, a riprendere gli attacchi a navi occidentali nel Mar Rosso.
Questo, proseguendo anche gli attacchi già in corso a Israele, permetterebbe all'Iran di dire che non si è arreso, ma probabilmente non spingerebbe a un'escalation radicale nella regione. Anche perché gli alleati storici dell'Iran – la Siria di Assad, Hamas, Hezbollah – o non ci sono più o sono indeboliti, la Russia è impegnata in Ucraina e la Cina non ha dato segno di volersi far coinvolgere direttamente. Se Teheran scegliesse di non andare oltre, dopo potrebbero esserci le condizioni per trattare una tregua.
Ma ci sono anche possibilità più pesanti. Una sul piano economico, minacciata da tempo: il blocco dello stretto di Hormuz, che avrebbe un impatto pesantissimo sul peso del petrolio. Ma anche molte sul piano militare. Attacchi militari ai Paesi del Golfo alleati degli Stati Uniti, magari diretti alle infrastrutture energetiche. Attacchi diretti a obiettivi statunitensi, anche in collaborazione con soggetti come Al Qaeda, in Medio Oriente o altrove.
Se il contrattacco dovesse uccidere dei cittadini statunitensi, a quel punto Trump potrebbe essere quasi costretto a reagire di nuovo militarmente per non perdere la faccia davanti all'opinione pubblica. Il conflitto potrebbe estendersi e prolungarsi.
Le ipotesi più lontane: dall'arma nucleare alla caduta del regime
Sul tavolo restano anche altre possibilità, che però sembrano più improbabili. Ad esempio, l'attacco di Israele e Stati Uniti è stato motivato dalla volontà di impedire all'Iran di procurarsi un'arma nucleare. Anche se non ci sono prove che Teheran si stesse procurando, o tanto meno avesse già, una bomba atomica, non è impossibile che proprio questo conflitto spinga il Paese a proseguire più rapidamente su questa strada.
Questo però richiederebbe un'accelerazione nel presunto programma nucleare militare iraniano che sembra decisamente difficile in questa fase, mentre raid e bombardamenti israeliani non si fermano e decine di scienziati sono stati uccisi. E in ogni caso, stando a ciò che ha riportato l'Aiea (agenzia dell'Onu che sorveglia l'energia atomica) non ci sono gli elementi perché l'Iran arrivi in breve a un'arma di distruzione di massa.
Un'altra ipotesi che per ora appare remota è quella del cambio di regime. Alcuni analisti sospettano che questo sia l'obiettivo di Israele, e forse anche degli Stati Uniti: come minimo spingere il governo iraniano a posizioni più moderate e ottenere concessioni alle potenze occidentali, come massimo la caduta del regime degli ayatollah iniziato con la rivoluzione del 1979. Anche se non è impossibile che questo avvenga in futuro – anche a causa delle difficoltà economiche dell'Iran, dopo decenni di sanzioni internazionali – le informazioni che abbiamo non sembrano indicare che il Paese al momento sia sull'orlo di un cambiamento da questo punto di vista.