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Chi è Aleksandr Dugin, “l’ideologo di Putin” che vuole il ritorno all’Unione Sovietica

Aleksandr Dugin è un politologo e filosofo russo vicino al Cremlino. I suoi testi sulla “rinascita russa” e sul ritorno ai confini dell’Unione Sovietica avrebbero ispirato la politica estera espansionistica della Russia.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Nella serata di ieri, sabato 20 agosto, Darya Dugina è morta nell'esplosione della sua auto nei pressi di Mosca. La 30enne stava tornando a casa da un evento pubblico insieme a suo padre, Aleksandr Dugin, definito "l'ideologo di Putin". Con tutte le probabilità, l'attacco aveva come obiettivo proprio il filosofo e politologo russo. Dopo le accuse del governo filorusso di Donetsk, il presidente ucraino Zelensky si è dichiarato estraneo alla vicenda. 

Eppure Dugin è uno dei principali antagonisti di Kiev. Il pensatore politico russo fu uno dei fondatori del Partito nazionale bolscevico, dichiarato fuorilegge nel 2007 ed è da sempre legato ai circoli militari russi.

Il filosofo è uno dei principali esponenti dell'Eurasiatismo e del nazionalismo russo. Si è avvicinato a Putin negli anni Novanta e da allora è uno dei suoi consiglieri più fidati, sebbene non ricopra un incarico ufficiale.

Sarebbero stati i suoi testi a tracciare la direzione politica espansionistica della Russia dando il via all'annessione forzata della Crimea nel 2014 e poi alla recente invasione in Ucraina.

Dugin ha intessuto per lungo tempo rapporti internazionali con personaggi quali Steve Bannon, consigliere fidato di Donald Trump e Gianluca Savoini, ex portavoce di Matteo Salvini della Lega al centro di alcune inchieste riguardanti finanziamenti illeciti con i soldi di Mosca.

Darya Dugina, foto da Twitter
Darya Dugina, foto da Twitter

Il filosofo propone da anni l'idea di una Russia "in rinascita", pronta a "riprendersi il suo posto nella politica internazionale" e a "contrastare l'egemonia occidentale". Secondo l'Eurasiatismo, Mosca fa parte di una "civiltà distinta" che dovrebbe tornare unita come ai tempi dell'Unione Sovietica, ma mettendone da parte l'ideologia.

Quando nel 2013 l'Ucraina scese in piazza per una serie di manifestazioni filoeuropee e contro il governo filorusso di Viktor Janukovyč, Dugin definì le proteste "un colpo di stato degli Stati Uniti" inteso a contrastare l'espansione di Mosca.

"Solo dopo aver restaurato la Grande Russia potremo diventare protagonisti a livello globale" ribadì in quell'occasione, scagliandosi contro la scelta di Kiev di avvicinarsi di più all'Europa.

Dello stesso avviso era anche la figlia Darya, giornalista e analista di geopolitica, che in più interviste aveva definito gli ucraini "subumani da eliminare", incolpandoli di aver "voltato le spalle alla loro natura russa" in favore dell'Occidente.

Dugin non ricopre un incarico ufficiale all'interno del governo russo e dunque per i media nazionali è "marginale nelle decisioni del Cremlino". Anche in patria era stato considerato da molti "troppo radicale".

Nel 2014, come riporta Russia Today, era stato licenziato dall'Università Statale di Mosca dopo che aveva lanciato un appello per "uccidere fino all'ultimo ucraino".

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