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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Che effetto avrà la guerra tra Israele e Iran sul prezzo di benzina e bollette in Italia

L’economista Davide Tabarelli, intervistato da Fanpage.it, ha spiegato quali possono essere le conseguenze del conflitto tra Israele e Iran: non solo per il petrolio, e quindi il prezzo della benzina, ma anche per il gas, che in Italia regola anche il costo della bolletta dell’elettricità.
Intervista a Davide Tabarelli
Economista e presidente di Nomisma Energia
A cura di Luca Pons
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Il deposito di petrolio di Shahran, nel sud di Teheran, colpito domenica da un attacco israeliano.
Il deposito di petrolio di Shahran, nel sud di Teheran, colpito domenica da un attacco israeliano.
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La guerra tra Iran e Israele negli ultimi giorni si è progressivamente allargata, partendo con gli attacchi israeliani alle strutture nucleari iraniane e proseguendo con raid missilistici reciproci. Non è ancora chiaro quale possa essere la via d'uscita dal conflitto, ma è evidente che la guerra ha un alto rischio di portare ad aumenti del prezzo del petrolio e del gas. Israele ha colpito diverse infrastrutture energetiche dell'Iran, che è tra i principali produttori ed esportatori di idrocarburi al mondo. Fanpage.it ha intervistato Davide Tabarelli, economista esperto del settore e presidente di Nomisma Energia, per chiarire qual è la situazione e come va affrontata.

Perché il conflitto tra Israele e Iran ora rischia di ripercuotersi – dal punto di vista dei prezzi dell'energia – anche sugli italiani?

Per effetto di una ‘magia' geologica della natura, in quella regione c'è la gran parte dei giacimenti mondiali di gas e petrolio. Ce ne sono grandi quantità in tutto il mondo, ma nel Medio Oriente e specialmente nel Golfo Persico, ci sono da sempre il petrolio e il gas più semplici da estrarre con costi bassi.

Per questo la zona è storicamente legata a queste fonti di energia, che poi sono anche la causa dell'instabilità politica e geopolitica. Una grande disponibilità di energia significa una grande disponibilità di soldi, e di conseguenza di armi. Non è un caso se quasi cinquant'anni fa, nel 1979, fu proprio una rivoluzione in Iran – motivata dal legame fortissimo che c'era tra l'allora scià di Persia e gli Stati Uniti – alla base del secondo shock petrolifero.

A proposito: sia lo shock del 1973 che quello del 1979 furono in qualche modo legati al Medio Oriente, il primo a Israele (con la guerra dello Yom Kippur) e il secondo all'Iran. Oggi rischiamo una situazione simile?

Il rischio c'è sempre, ma rispetto ad allora è enormemente attenuato. Lo vediamo sui prezzi, che hanno reagito ma in modo comunque contenuto: un più 7% del prezzo petrolio, lunedì mattina, che è poi anche leggermente sceso nelle ore successive.

Perché la situazione è diversa?

Perché il mercato ormai si è abituato. Il coinvolgimento militare delle infrastrutture di esportazione del petrolio è estremamente improbabile. È da anni che avvengono quelle che di fatto, nel contesto più ampio dell'esportazione mondiale di petrolio, sono scaramucce. Sono almeno cinquant'anni che registriamo tensioni anche molto forti, penso alla guerra tra Iran e Iraq combattuta negli anni Ottanta. Venne anche affondato un centinaio di navi, ma non si arrivò mai al blocco totale dello stretto di Hormuz.

Lo stretto di Hormuz è uno degli elementi più citati quando si parla delle possibili crisi militari o politiche in Iran. È lo stretto marittimo da cui passa oltre il 20% del commercio mondiale del petrolio. Cosa accadrebbe se non venisse più utilizzato, ad esempio perché bloccato dalle autorità iraniane?

Sarebbe un disastro economico gigantesco. Proprio il rischio di questa evenienza è la principale causa, al momento, degli aumenti dei prezzi in questo momento. Lo stretto di Hormuz è uno snodo fondamentale. E per di più, in passato lo era solo per il petrolio, mentre oggi ci passa anche circa un decimo della domanda mondiale di gas. E questo è il punto che interessa più da vicino noi europei e noi italiani.

In che senso?

Quello del petrolio è un mercato ‘omogeneo' a livello mondiale. Il prezzo è unico, vale per gli Stati Uniti, per la Cina, per l'Europa. Il gas invece è più regionale. L'Europa soffre di più perché viene dalla crisi della Russia: da questo viene più tensione dei prezzi, e da lì le bollette che salgono, dato che il prezzo del gas determina il prezzo dell'elettricità.

Potremmo trovarci in una situazione simile al 2022-2023, con il picco del caro energia legato anche all'invasione russa dell'Ucraina?

No, siamo in una situazione lontanissima da quella. Se lunedì il prezzo del petrolio è salito del 7%, quello del gas lo ha fatto del 4%. A livello di forniture siamo relativamente tranquilli, al momento. Il Qatar esporta dal Golfo Persico, e quindi dallo stretto di Hormuz, ma l'Europa ha anche altri approvvigionamenti in giro per il mondo.

Questo non significa che non ci sia il rischio. Andiamo comunque verso un inverno con delle complicazioni, come lo sono stati gli ultimi tre inverni. La crisi russa non è finita, la scorsa primavera c'è stata una ‘fiammata' di tensioni che ha fatto preoccupare governi, industriali e produttori di energia elettrica.

La Russia sta sparendo totalmente dalle forniture europee, con la fine dell'importazione del Gnl che è stata decisa per il 2026 si crea una situazione di corto dell'offerta. E questo porta a tensioni al rialzo. Insomma, al momento la situazione può considerarsi relativamente tranquilla, ma i rischi restano, e da qui al prossimo inverno dovremo tenere le dita incrociate sperando che non ci siano ulteriori complicazioni.

Come dovrebbero muoversi l'Italia per evitare i rischi legati alla guerra Iran-Israele e non solo?

Quello che anche bene o male abbiamo fatto in questi ultimi quaranta o cinquant'anni: differenziare i nostri fornitori. Ma accelerando nel procedimento. Le energie rinnovabili sono pulite, teoricamente costano poco, ma per ora sono troppo poco. Negli ultimi quattro anni, con la crisi russa che spingeva, la nostra produzione di rinnovabili è aumentata per un equivalente di tre miliardi di metri cubi di gas: noi dalla Russia ne importavamo quasi trenta miliardi. È un bene che aumentino, ma da sole non bastano.

Dobbiamo stare attenti alle altre forniture. Siamo dipendenti dalle importazioni, è un peccato non riuscire ad aumentare la produzione nazionale di gas e petrolio, visto che un po' ne abbiamo. Non sarebbe risolutivo, ma aiuterebbe a diversificare. Dobbiamo fare attenzione al Nord Africa: la Libia è un fornitore importante, ma di fatto è sparita; l'Algeria da quarant'anni fornisce gas regolarmente ma sta calando, un po' perché non ne ha molto e non ha fatto grossi investimenti sul settore, un po' perché continua a sentire l'Europa che dice che non è le servirà più il gas in futuro.

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