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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Cameraman ferito da Israele: “Sono stato colpito 16 volte, per 16 volte sono tornato a raccontare la verità”

L’intervista di Fanpage.it al cameraman di Al Jazeera Fadi Yessin, colpito alle gambe da un cecchino israeliano a Tulkarem, nella Cisgiordania occupata.
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Fadi Yessin, cameraman di Al Jazeera ferito alla gamba dalle forze israeliane
Fadi Yessin, cameraman di Al Jazeera ferito alla gamba dalle forze israeliane
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Un cecchino israeliano l’ha indicato, l’altro l’ha puntato e ha sparato a entrambe le gambe di Fadi Yessin, cameraman di Al Jazeera. È successo martedì scorso, Fadi Yessin era alle porte del campo di Nur Shams, a Tulkarem, durante la manifestazione degli sfollati, cacciati dal campo – oggi sotto assedio dell’esercito israeliano – lo scorso gennaio. Fanpage.it l’ha incontrato e intervistato nell’ospedale di Tulkarem, dove adesso è ricoverato "Sono stato ferito 16 volte, per sedici volte sono tornato a raccontare la verità, nient'altro che la verità", ci ha raccontato.

Cosa è successo martedì 18 novembre a Tulkarem?

Era in corso una manifestazione per gli sfollati del campo di Nour Shams, delle persone che sono state costrette ad abbandonare le proprie case lo scorso 28 gennaio a causa dell’assedio israeliano. Ero lì come giornalista per documentare gli eventi. Sono arrivato all'una del pomeriggio. Ho parlato con il fotografo e ho scattato una foto con il mio telefono. Ho iniziato la copertura vera e propria, aprendo una diretta, credo intorno all'una e mezza. Inizialmente, ero lontano, circa 100 metri dalle persone. Ad un certo punto la manifestazione ha iniziato ad animarsi, le persone hanno aperto il cancello giallo posto da Israele per impedirgli di tornare nelle loro case. Oggi il Cancello Giallo segna il confine del campo ed è considerato una "zona rossa" per i soldati. Quando le persone sono entrate in quell'area, i soldati hanno iniziato a sparare, prima come segnale di avvertimento poi non più solo per avvertimento. Sono rimasto fuori per circa mezz'ora. Ero ancora distante dal cancello. Quando ho visto che tutte le persone erano entrate, ho deciso di partecipare anch'io per documentare. Sono entrato, ho iniziato a scattare foto e a registrare i bambini con i cartelli in mano.

Fadi Yessin
Fadi Yessin

Descriva il momento in cui è stato colpito. Quanti soldati c'erano e in che circostanze è avvenuto?

C'era solo un soldato visibile. Stavo riponendo la camera nella mia borsa quando ho iniziato a fotografare i bambini. In quel momento, mi hanno sparato alla gamba, in questa zona. Inizialmente, non mi sono accorto subito, ho sentito solo come una puntura. Sono caduto sulla mia macchina fotografica, distruggendola. Ho visto il sangue e la cicatrice dopo. Ma non è finita lì.

C'è stato un secondo colpo?

Sì. C'è un intervallo di circa cinque o sei secondi tra il primo e il secondo proiettile. Mi sono rialzato, ho camminato, e poi mi hanno sparato di nuovo all'altra gamba. Sono caduto ancora. Credo mi abbiano visto rialzarmi e abbiano voluto sparare alla seconda gamba per impedirmi di camminare. Dopo il secondo infortunio, ero consapevole di essere stato colpito. Un mio amico, che è un paramedico (anche se fuori servizio), e un altro ragazzo mi hanno trasportato fino all'ambulanza, che era a circa 60 metri.

È stato colpito in quanto giornalista?

Sì. Un mio amico, che lavora per la TV americana, ha scattato una foto ai soldati mentre mi stavano puntando il dito contro. Ho riconosciuto il soldato che mi puntava il dito: era lo stesso che mi aveva minacciato la settimana precedente, in un'altra manifestazione. Mi aveva minacciato dicendomi che non avrebbe più voluto vedermi li. Quando l'ho rivisto, ha puntato il dito per ordinare di sparare.

Qual è la sua situazione attuale in ospedale e quali sono i suoi tempi di recupero?

Ho già subito due interventi chirurgici in un altro ospedale prima di essere trasferito qui. Dovrei restare qui ancora per due giorni, poi andrò a casa a riposare. Fra un mese dovrò iniziare la riabilitazione per poter ricominciare a lavorare.

Che cosa significa per lei essere un reporter oggi in Cisgiordania?

Significa rischiare la vita ogni giorno. Questo è il mio sedicesimo infortunio; non tutti sono proiettili veri, alcuni sono proiettili di gomma o ferite causate da gas lacrimogeni in testa. Ho avuto colpi sulla testa, sulle gambe e sul braccio.

Nonostante i rischi, cosa la spinge a continuare questo lavoro?

Questo mestiere significa molto per me perché sono un giornalista e, allo stesso tempo, questo è il mio Paese. Coprire questi eventi è un atto di resistenza. Voglio condividere la verità su ciò che accade sul campo, al 100%, e contrastare la propaganda e le notizie false. Io voglio registrare tutto così com'è, il mio compito è raccontare la verità, nient’altro che la verità.

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