Attentato Gerusalemme, l’esperto: “Come benzina sul fuoco. Netanyahu ha bisogno della guerra per stare a galla”

Rischia di aprire una nuova e drammatica fase dell'azione bellica del governo israeliano contro i palestinesi l'attentato di Gerusalemme di ieri dove sono morte almeno 6 persone. Nello stesso giorno il premier Benjamin Netanyahu doveva recarsi alla Corte di Giustizia a Tel Aviv per essere ascoltato, ed invece ha annullato tutto ed è corso nei pressi di Ramot, a nord di Gerusalemme dove è avvenuto l'attentato.
Subito dopo i suoi ministri hanno dichiarato che il mondo dovrà decidere se stare con Israele o con i terroristi. Uno scenario – quello che si prefigura – che può portare direttamente nel baratro della guerra infinita, proprio nel momento in cui, grazie alla spinta dell'opinione pubblica internazionale, i vertici del governo israeliano iniziavano a trovarsi in difficoltà rispetto al genocidio a Gaza. Il professor Marco Lombardi, esperto di terrorismo e sicurezza, docente dell'Università Cattolica di Milano, si trova in questi giorni proprio a Gerusalemme dove lo abbiamo incontrato per fare un'analisi di ciò che sta avvenendo.
Professore, quale è stata la dinamica dell'attentato di ieri?
"È stato intorno alle 10, io mi trovavo al Ministero di Giustizia ed è arrivata immediatamente la notizia dell'attentato. Due persone sono scese da un'auto e si sono messe a sparare sulla folla. Quattro persone sono morte sul colpo, e altre quattro successivamente. I due attentatori sono stati uccisi, colpiti con armi da fuoco da un poliziotto e da un civile, si tratta di Mutomah Omar e Muhammad Taha, provenienti da due villaggi della Cisgiordania. Nella situazione in cui ci troviamo questo attacco è benzina sul fuoco. Da parte palestinese l'ANP ha detto che i civili non sono obiettivi legittimi, ma Hamas, che non ha rivendicato l'attentato, si è tenuta lontana dal condannarlo. Proprio ieri Netanyahu doveva essere sentito alla Corte in Tribunale a Tel Aviv, cosa che ha evidentemente evitato, anche giustamente, venendo a Gerusalemme per quello che è successo. Quindi si è anche incastrato con questa roba qua. Sicuramente un'operazione di terrorismo che vedremo a cosa porterà. Tutta benzina che si sta buttando su un fuoco che sta bruciando sempre di più e non si capisce ormai come si possa fermare. Questo è quello che è accaduto. Nel quadro che so io – e anche al Ministero – non se ne sa di più".
Ma come è possibile che in una delle città più militarizzate al mondo, con muri, check-point e alta tecnologia di sicurezza, possa avvenire un attentato di questo tipo?
"Non è assolutamente così impossibile. In questo paese girano tantissime armi, non è così difficile muoversi con un'arma addosso. Non si può controllare tutti. Sappiamo che dopo questo attacco sono stati immediatamente chiusi i confini. Credo che anche voi giornalisti non siate riusciti a passare il confine. Chiaramente ci saranno dietrologie, molti penseranno che questo attentato sia stato fatto passare per permettere a Netanyahu di non andare davanti alla Corte, ma non penso che sia così semplice, la situazione è troppo complicata".
Quale sarà l'impatto che questo attentato avrà sul quadro già gravissimo, visto anche il progetto di annessione della Cisgiordania?
"Si andrà sempre peggio. Indubbiamente dal punto di vista politico abbiamo un presidente, Netanyahu, che ne sta facendo di tutti i colori per mantenersi a galla, e la guerra è la sua possibilità per farlo. Accanto ha due ministri che proteggono il suo governo, Ben Gvir e Smotrich, che rappresentano l'ultra radicalismo del paese. Tutti e tre, per questioni diverse, stanno prendendo le occasioni che questa guerra offre per perseguire i loro obiettivi. Ben Gvir, a capo del Ministero della Sicurezza, vedete quello che dice su Gaza, e Smotrich, che invece presiede quello delle Finanze, sta provando a ‘strangolare' sempre di più economicamente la Cisgiordania e arrivare alla sua annessione. Questo è quello che hanno in testa questi due personaggi dell'ultra destra, che serve a Netanyahu per stare in piedi e per riuscire a stare fuori dai guai. Buona parte della società civile israeliana ne ha la scatole piene di tutto questo, ma c'è anche da dire che il 7 ottobre non è superato nella società".
In che senso?
"Nel senso che ancora oggi, se parli con un israeliano, le vittime del 7 ottobre le percepisce come dei parenti, come un lutto familiare, e questo comporta una carica emotiva e di odio non trascurabile, che non si riesce a fermare. Dall'altro per quello che accade a Gaza, per i palestinesi non è diverso. E quindi siamo alla vendetta per la vendetta, al sangue che chiama sangue. Analizziamo spesso i fatti in termini politici, quindi in maniera razionale, dimenticando che gli israeliani il 7 ottobre non lo hanno superato, quindi non si fermano. In questo quadro quindi non ci si può che aspettare il peggio, perché c'è una dimensione politica, ma anche e soprattutto una dimensione emotiva. È come un faida".
Questa dimensione emotiva però continua a produrre scelte politiche concrete e drammatiche. Che evoluzione ci sarà adesso?
"I tre personaggi di cui parlavo, Netanyahu, Smotrich e Ben Gvir, usano politicamente quello che sta accadendo per il grande sogno di incorporare la Cisgiordania e distruggere Gaza, la società civile che non ha superato il 7 ottobre non vede la necessità di due popoli e due Stati. Insomma, io mi aspetto il peggio del peggio".
Quindi in questo quadro che lei descrive sembra che si vada verso una guerra infinita?
"Purtroppo sulla guerra infinita, anche qui, probabilmente c'è da argomentare. Nel senso che io mi aspetto che qualunque cosa possa accadare anche rapidamente, quello che finirò saranno le attività cinetiche sul territorio. Se poi si dice che finirà la guerra, in termini di ricomposizione dei conflitti, ragazzi…ci rivediamo fra cent'anni a parlare".