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Guerra in Ucraina

Perché senza gas russo dovremmo razionare i consumi: l’analisi dell’esperto di energia

Nicola Pedde, Direttore dell’Institute for Global Studies, spiega a Fanpage.it che in caso di stop al gas russo, né rigassificatori, né strategie alternative del governo potrebbero impedire il razionamento.
A cura di Giacomo Andreoli
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"Se ci fosse un embargo al gas russo, l'unica via per affrontare subito l'emergenza sarebbe il razionamento dei consumi: rigassificatori e altre strategie del governo non basterebbero". A lanciare l'allarme, ai microfoni di Fanpage.it è Nicola Pedde, Direttore dell'Institute for Global Studies. Secondo l'esperto di energia, dunque, le mosse dell'esecutivo Draghi per sostituire il gas di Mosca con altre forniture e fonti rinnovabili, potrebbero non essere sufficienti. In particolare, oltre che stipulare nuovi accordi di fornitura con Paesi terzi, l'Italia punta su nuovi rigassificatori.

Si tratta di quegli impianti che assorbono il Gnl (il gas naturale liquefatto) e lo riportano allo stato gassoso, utilizzabile per il consumo vero e proprio. Gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire 15 miliardi di metri cubi di Gnl in più all'Unione Europa entro la fine dell'anno, di cui alcuni miliardi solo per l'Italia. Nel nostro Paese, però, ci sono solo tre impianti per trasformare il metano (a La Spezia, Livorno e Rovigo), che lavorano già praticamente a pieno regime. Solo quello di Rovigo è un grande impianto e lavora 9,8 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, mentre gli altri due circa 1,5 a testa. Ora l'esecutivo ha dato l'incarico alla società Snam di negoziare l’acquisto di due nuove navi da rigassificazione (anche detti rigassificatori flottanti). Nel frattempo Enel ha fatto ripartire il progetto dell'impianto di Porto Empedocle (in Sicilia), fermo da sette anni per vari ricorsi dei comitati locali, investendo un miliardo.

Direttore, quanti miliardi di metri cubi aggiuntivi di gas possiamo produrre con nuovi rigassificatori?

La stima del governo con le due navi è di 5 miliardi di metri cubi all'anno di gas lavorato in più. Ma è difficile fare previsioni: ci sono diverse variabili da considerare, legate ai tempi di reperimento dei rigassificatori flottanti sul mercato, a dove si posizionano e all'entità dell'investimento che ci si fa sopra. Non è facile trovare strutture così già pronte e bisogna vedere se ci sarà bisogno di infrastrutture di collegamento con il territorio, a seconda che vengano posizionate in aree portuali o lontano dalla costa. Cosa ancora diversa è per gli impianti a terra: oltre a quello di Porto Empedocle per costruirne di nuovi i tempi sono più lunghi, ci vogliono molti mesi. Ma anche per quanto riguarda quell'impianto: bisogna dotarlo effettivamente delle capacità di rigassificazione, che devono essere stabilite tramite una valutazione tecnica complessa.

Proprio per ridurre i tempi il governo sta pensando a un commissario straordinario per gestire l'istallazione dei rigassificatori in mare. Un modello "Ponte di Genova" per l'energia può funzionare?

Sicuramente è utile, ma bisogna vedere di quali poteri può essere dotato questo commissario speciale e quindi quale capacità autonoma possa avere per gestire queste dinamiche. Essendoci delle specifiche competenze delle Regioni, ho dei timori sul fatto che questa capacità possa essere espressa a pieno. Ma da un punto di vista più generale servirebbe proprio un organo pubblico per la pianificazione della politica energetica italiana. Va ridefinito un criterio di approvvigionamento nazionale, costruito su dinamiche di medio-lungo periodo.

A proposito di Regioni ed enti locali: a Porto Empedocle la struttura è stata ferma per diversi ricorsi. Non c'è il pericolo che le comunità possano bloccare anche le nuove iniziative?

Assolutamente sì, gli enti locali sono spesso ritrosi ad ospitare gli impianti. La logica è sempre la stessa, si dice che va bene qualcosa, ma non sul proprio territorio. Mi domando: il governo è in grado di risolvere queste dinamiche relazionali con le comunità locali? Questo crea ulteriore incertezza sulle tempistiche. Bisogna avere invece la certezza di poter operare sul territorio, oltre che velocizzare i tempi tecnici. Anche perché queste dinamiche spesso sono svincolate da reali problemi ambientali.

Ma un certo impatto ambientale dei rigassificatori c'è, o no?

Si tratta di un impatto davvero minimo, incredibilmente minore rispetto a quello di carbone e petrolio. Poi molto dipende dal tipo di struttura: se flottante o su terra ferma. Ma anche da dove sono situate. L'impatto vero è legato alla percezione del rischio, che è alta.

Da un giorno a un altro potremmo trovarci ad affrontare un embargo sul gas russo. A quel punto che succede?

In quel caso rigassificatori e altre strategie del governo sarebbero insufficienti. Di certo i rigassificatori galleggianti sono le strutture più idonee per affrontare l'emergenza, ma i tempi non sono brevi e gli impianti non bastano. Sarebbe quindi indispensabile una razionalizzazione dei consumi, soprattutto sul piano dell'energia elettrica. Ridurre i consumi sarebbe l'unico modo per affrontare la crisi, una sorta di politica di austerity sull'energia elettrica e sui riscaldamenti/condizionamenti domestici. In generale, poi, nell'arco dei prossimi due anni ci saranno forti rischi di volumi in difetto sul gas.

Come giudica la ricerca del governo di nuove fonti di approvvigionamento esterne alla Russia?

Da una parte cerchiamo di affrancarci da un Paese instabile, vista la situazione di crisi in Ucraina, dall'altra il tipo di alternative che stiamo andando a cercare sul mercato sono legate a Paesi altrettanto instabili (penso all'Algeria), senza variare la dipendenza su base percentuale. L'Algeria nel giro di quattro anni diventerà il nuovo fornitore di riferimento italiano per il gas e questo ci espone nuovamente a problemi, visto il peso eccessivo che avrà questa dipendenza.

Nel frattempo la burocrazia in Italia tiene fermi 70 impianti tra biometano e biogas (puliti al 100%): non pensa sia un paradosso?

Lo è, la nostra politica energetica è un grandissimo paradosso e qui entriamo nelle dinamiche di scelte sbagliate fatte 60, 70 anni fa. Purtroppo l'intera filiera di definizione della politica energetica è stata mantenuta in questo equilibrio precario, non adeguato quando negli anni '90 è cambiato tutto con le privatizzazioni. Quindi il problema non riguarda il governo Draghi.

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