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Le fabbriche intelligenti aumenteranno la ricchezza mondiale di 500 miliardi di dollari

Le fabbriche intelligenti consentiranno alle imprese di migliorare produttività, flessibilità e qualità delle produzioni, generando 500 miliardi di ulteriore ricchezza a livello mondiale nei prossimi 5 anni, ma…
A cura di Luca Spoldi
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La tecnologia ruba il lavoro e impoverisce i paesi? Ma anche no: come segnalano gli analisti di CapGemini, leader mondiale nei servizi di consulenza, tecnologia e outsourcing nel report Smart Factories, le “fabbriche intelligenti” dovrebbero portare, secondo le stime delle aziende del settore, ad un aumento del 27% dell’efficienza produttiva nell’arco dei prossimi 5 anni, pari a un contributo totale di 500 miliardi di dollari in termini di valore aggiunto annuo all’economia globale. Soldi che andranno, ovviamente, nelle tasche di chi avrà saputo investire per tempo.

Le fabbriche intelligenti impiegano tecnologie digitali tra cui l’internet delle cose (IoT), l’analisi dei “big data”, l’intelligenza artificiale e la robotica avanzata per incrementare produttività, qualità e flessibilità: in particolare si prevede che la produttività crescerà su base annua 7 volte rispetto al tasso di crescita registrato dal 1990 a oggi, che le voci di costo principali (come rimanenze, investimenti e materiali) verranno razionalizzate più di 11 volte rispetto al tasso di miglioramento sempre dal 1990 a oggi e che gli indicatori di qualità, come la puntualità delle consegne e la riduzione degli scarti di tempo,miglioreranno 12 volte rispetto al tasso di miglioramento registrato nel 1990.

Numeri importanti e che renderanno inevitabile, a partire dalle economie più avanzate, la crescita delle fabbriche intelligenti, in cui robot collaborativi e lavoratori continueranno a lavorare fianco a fianco, sfruttando elementi di realtà aumentata e macchine in grado di segnalare la necessità di un intervento di manutenzione. Entro la fine del 2022, i produttori prevedono così che il 21% dei loro stabilimenti saranno trasformati in fabbriche intelligenti, trascinati da settori come l’aerospaziale e la difesa, la manifattura industriale e il settore automobilistico.

Proprio grazie ai miglioramenti relativi a produttività, qualità e flessibilità le “smart factories” vedranno così calare significativamente i loro costi operativi, consentendo ad esempio a un produttore automobilistico di registrare un aumento medio del margine operativo fino al 36% rendendo più efficiente la logistica e abbattendo il costi dei materiali, sfruttando attrezzature più funzionali e migliorando la qualità della produzione (che potrà così attrarre un numero maggiore di potenziali clienti, ndr).

Naturalmente tutte queste cose costano e occorre avere le risorse finanziarie per potersele permettere, non a caso sono gli Stati Uniti e l’Europa occidentale a trainare già ora la crescita delle fabbriche intelligenti, con metà degli intervistati di Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito che ha già implementato fabbriche intelligenti, contro un 28% degli intervistati in India e un 25% in Cina. Siamo dunque nel pieno di una trasformazione digitale profonda, il cui impatto sia sull’efficienza complessiva sia sul mercato del lavoro sarà rilevante.

Mentre i cambiamenti precedenti nell’automazione hanno ridotto i posti di lavoro scarsamente qualificati, gli intervistati ritengono ormai l’automazione un mezzo per eliminare le inefficienze e i costi generali piuttosto che i posti di lavoro, tanto più della metà (54%) degli intervistati sta fornendo ai propri dipendenti formazione sulle competenze digitali e il 44% sta investendo nell’acquisizione di talenti digitali per colmare il gap delle competenze.

Per lavoratori altamente qualificati specie in settori quali l’automazione, lo studio dei big data e la cyber security vi sono crescenti opportunità di occupazione, in particolare nei quattro paesi sopra ricordati. Per quei lavoratori e quei paesi, Italia compresa, che non investiranno in competenze lo scenario rischia invece di farsi sempre più cupo.

Tenetelo a mente quando qualche imbonitore del nostro variegato circo politico-mediatico proverà a dirvi che se non trovate lavoro la colpa è della globalizzazione e delle macchine che vi rubano lavoro, ma tacerà sul fatto che in Italia tra una pressione fiscale asfissiante e un serio gap culturale di investimenti in innovazione e sviluppo se ne continuano a fare troppo pochi, mentre sullo sviluppo delle competenze delle risorse umane (che in Italia spesso si definiscono ancora genericamente “personale” o “dipendenti”) è troppo spesso meglio stendere un velo pietoso.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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