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Grecia: riforme o uscita dall’euro, si decide entro domenica

La Grecia ha tempo sino a domenica per presentare una proposta che contenga una serie di riforme tali da soddisfare le richieste dei suoi creditori. Altrimenti potrebbe essere fatta uscire dall’euro e dall’eurozona, anche se la cosa rischia di produrre contraccolpi negativi, sia pure limitati, anche per gli altri paesi europei…
A cura di Luca Spoldi
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La tragedia greca si avvicina al suo epilogo: dopo cinque mesi di trattative sterili e un referendum vinto dai “no” alle misure di austerità fiscale che non ha ancora partorito una proposta alternativa da parte di Atene, che da tempo ha fatto sapere cosa non vorrebbe ma ha finora eluso le richieste di cosa vorrebbe esattamente avanzate dai creditori internazionali, l’eurozona ha dato tempo ad Alexis Tsipras sino a domenica, quando torneranno a riunirsi i capi di governo europei, per elaborare una proposta scritta che ieri nel corso della riunione dell’Eurogruppo prima e dei capi di governo poi semplicemente non esisteva.

Nel frattempo stamane la Grecia ha, se non altro, formalizzato la richiesta di un “prestito ponte” (dovrebbe essere di 7 miliardi di euro, all’incirca equivalente alla tranche di aiuti rimasti da erogare del precedente piano di bailout, nel frattempo scaduto a fine giugno) al fondo salva stati europei Esm (erede di quel Efsf che già ha girato ad Atene 130,9 miliardi di aiuti, sui quali qualche giorno fa il Cda del fondo ha evitato di far scattare la clausola di rimborso anticipato, come possibile dopo il mancato rimborso di una rata da 1,7 miliardi di dollari di aiuti Fmi lo scorso 30 giugno, riservandosi peraltro la possibilità di farlo in futuro).

Il tempo stringe come ha ricordato anche il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, al Parlamento europeo ammettendo che “la nostra incapacità a trovare un accordo potrebbe portare la Grecia alla bancarotta e all’insolvenza del suo sistema bancario. E certamente questo porterà maggiore sofferenza al popolo greco. Non ho dubbi che questo avrà un impatto sull'Europa, anche in senso geopolitico, se qualcuno si illude che non sia così è un ingenuo”, ha concluso Tusk, rivolgendosi a chi in Germania e Francia (ma non solo) sembrano ormai preferire l’ipotesi di una Grecia fuori dall’euro senza ulteriori dilazioni o aiuti.

Le probabilità di un’uscita della Grecia dall’euro, del resto, appaiono “materialmente aumentate nell’ultimo paio di settimane” secondo una nota di Credit Suisse di stamane e sarebbero ora “leggermente superiori al 50%”. Ma più che parlare di probabilità gli analisti di Credit Suisse preferiscono “enfatizzare l’incertezza” che tuttora circonda la vicenda. Grecia e creditori potrebbero infatti trovare un’intesa, anche se lo spazio per riuscirvi appare minimo, oppure la Grecia potrebbe uscire dall’euro, ma vedendosi lasciare aperta una porta per rientrare nei prossimi anni.

Per quanto riguarda il possibile rischio contagio, che apparentemente sinora i mercati non stanno scontando (ma, avvertono gli esperti, tale rischio potrebbe essere solo “dormiente”), secondo gli esperti svizzeri sarebbe almeno nel breve termine limitato al solo aspetto della fiducia delle imprese. Questo a sua volta potrebbe portare a minori investimenti e dunque ad un rallentamento della crescita in tutta l’eurozona. L’eventuale correlazione tra l’elezione di un governo radicale e il collasso del sistema bancario greco (con la fuoriuscita di Atene dall’euro) rischierebbe tuttavia di riacutizzare i timori di una crescita di analoghi movimenti estremisti, di destra o di sinistra, in altri paesi europei e con essi dei rischi per la sopravvivenza dell’intera eurozona e dell’euro.

Sullo sfondo la Bce ha di fatto congelato ogni decisione in merito al destino della liquidità d’emergenza fornita alla banche elleniche (destinate dunque a rimanere chiuse finchè non si farà chiarezza) tramite il programma Ela: confermando il tetto di circa 89 miliardi finora erogati ma evitando di chiederne il rimborso anche parziale, nonostante sia stato aumentato lo “sconto” applicatori titoli (“collaterali”) che le banche greche debbono apportare a garanzia della liquidità ricevuta, titoli peraltro quasi esauriti, il che spiega perché la decisione non abbia prodotto alcun effetto pratico, dato che per ora la Bce mantiene in essere il supporto vitale senza il quale le banche greche finirebbero col dover sospendere per alcune settimane ogni attività.

L’unica strada a quel punto, oltre al mantenimento di vincoli ai movimenti sui capitali come quelli in essere, sarebbe una nazionalizzazione delle banche stesse e il ritorno ad una valuta nazionale, che per alcuni analisti potrebbe valere tra i 60 e i 40 centesimi di euro per ogni unità, vale a dire con una svalutazione tra il 40% e il 60% rispetto alla valuta unica europea. Per pensionati e lavoratori pubblici sarebbe una mazzata (anche se sono già circolate ipotesi secondo cui Atene potrebbe adottare una doppia circolazione, pagando poi pensioni e stipendi in parte in “nuove dracme”, in parte in euro), per l’economia greca, che esporta poco o niente e quel poco a modesto valor aggiunto, vorrebbe pure dire andare incontro ad una recessione durissima. Ma dopo sei anni di crisi e con un Pil già ridottosi del 25% persino lo spettro di un ulteriore crollo del Pil del 10% sembra non spaventare gli animi più accesi.

Ultimo ma non trascurabile particolare: nonostante l’enfasi con cui, specialmente in Italia, alcuni politici e commentatori hanno accolto i segnali di “simpatia”mostrati dalla Russia per la Grecia arrivando a ipotizzare un possibile “cambio di campo” di Atene che preoccuperebbe gli Stati Uniti al punto da fargli fare crescenti pressioni su Berlino e Parigi perché trovino un’intesa con la Grecia sia pure in extremis, costi quel che costi, ancora oggi il ministro dell’Economia russo, Alexei Ulyukayev, ha precisato che al prossimo summit dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) non si discuterà di aiuti finanziari alla Grecia e che la Russia non sta comunque considerando per Atene alcun allentamento dell’embargo sull’importazione di alcuni prodotti alimentari occidentali, esteso di un altro anno il mese scorso.

Ulyukayev aveva già sottolineato poche settimane fa che comunque Mosca non prevede di mettere a budget alcun aiuto finanziario per Atene, notizia cui avevano subito fatto seguito commenti analoghi da parte di Pechino. Il tempo del gioco delle tre carte, sia da parte greca sia da parte dei creditori internazionali (uno dei quali, l’Fmi, sembra volersi sempre più smarcare sottolineando come una ristrutturazione e riscadenziamento del debito, in particolare di quello nei confronti di Efsf/Esm e Bce, possa essere inevitabile), sembra ormai esaurito. Vada come vada, entro domenica sapremo che cosa aspetta la Grecia e l’euro. O forse no?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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