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Gli investitori stranieri scappano dall’Italia: in Ue peggio di noi solo la Grecia

L’Italia è al penultimo posto in Ue per gli investimenti diretti stranieri. Il dato viene fornito dalla Cgia, secondo cui le motivazioni di questo insuccesso – peggio di noi solo la Grecia – sono tante e legate alla burocrazia, alle tasse elevate, alla lentezza della giustizia e agli elevanti tempi di pagamenti della Pa.
A cura di Stefano Rizzuti
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L’Italia è al penultimo posto nell’Ue per investimenti diretti esteri. Un dato che, secondo la Cgia, dipende da diversi fattori: le troppe tasse, l’eccesso di burocrazia, la giustizia lenta, i tempi di pagamento della Pa tra i più elevati in Europa. Investimenti che nel 2018 sono stati pari a 361,1 miliardi di euro, il 20,5% del Pil. Solo la Grecia, tra i paesi dell’Ue monitorati dall’Ocse, registra un risultato peggiore con investimenti per il 16% del Pil. A guidare la classifica troviamo invece l’Irlanda, con un tasso del 261,5% del Pil. Anche grazie a un sistema di tassazione agevolato, sottolinea ancora la Cgia.

Il 27,8% degli investimenti diretti esteri in Italia nel 2017, pari a 103,4 miliardi di euro, ha interessato il settore manifatturiero, soprattutto alimentari, autoveicoli, metalli e prodotti di metallo. A seguire troviamo le attività professionali, scientifiche e tecniche, riguardanti soprattutto consulenze aziendali di vario tipo: incidono per il 21,4%. Ancora, andando avanti troviamo il commercio, al 10,8% del totale degli investimenti esteri. I settori in cui c’è più presenza pubblica sono quelli in cui gli investimenti stranieri sono più bassi, come avviene nel settore artistico o della sanità.

Stando ai dati Istat, le imprese a controllo estero residenti in Italia sono quasi 15mila e danno lavoro a poco più di 1.350.000 addetti, producendo un fatturato da 572 miliardi l’anno. “Sebbene siano sempre più diffuse nel settore dei servizi e meno nel comparto industriale – spiega il segretario della Cgia, Renato Mason – le multinazionali estere sono comunque una componente importante della nostra economia, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto. Ricordo, inoltre che in termini di lavoro queste realtà occupano direttamente il 6% circa di tutti gli addetti presenti in Italia e concorrono a produrre poco più del 17% del fatturato nazionale”. Rimane, però, un grosso problema: quello delle multinazionali in crisi o in fuga dall’Italia, come nei casi del 2019 ricordati dalla Cgia: ArcelorMittal, Embraco, Whirlpool e tanti altri.

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