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Dazi per proteggere il Made in Italy: che cosa sono e perché sono pericolosi

Donald Trump li ha imposti in Usa per le importazioni di acciaio e alluminio, Matteo Salvini vorrebbe introdurli in Italia per difendere i prodotti tipici del Made in Italy. Ma che cosa sono i dazi doganali e che effetti economici e politici potrebbe provocare questo approccio di stampo protezionista?
A cura di Charlotte Matteini
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I dazi per difendere i prodotti tipici di un Paese. Da settimane ormai se ne parla, non solo per via delle decisioni prese dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ma anche per le proposte avanzate dal neo-ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini, che ha più riprese ha dichiarato di essere d'accordo con il presidente Usa e annunciato di voler studiare un piano per introdurli anche in Italia. L'Unione europea è contraria a questo tipo di politica protezionista e ha minacciato gli Stati Uniti di ritorsioni e non vedrebbe di buon occhio un'iniziativa del genere da parte di un proprio stato membro. Matteo Salvini nel corso degli ultimi anni ha più volte spiegato che, a suo avviso, i dazi doganali andrebbero introdotti in Italia per proteggere i prodotti tipici del Made in Italy, ma davvero questo tipo di approccio favorirebbe le esportazioni italiane?

Innanzitutto, che cosa sono i dazi? In poche parole, i dazi doganali sono delle "sovrattasse" applicate sui prodotti importati o esportati. La tassa viene pagata alla dogana dall'importatore o dall'esportatore e costituisce un'entrata fiscale per lo Stato che li impone. Tendenzialmente si applicano sulle importazioni per favorire le produzioni interne a scapito di quelle straniere, ma nel caso dei Paesi economicamente poco sviluppati e ricchi di risorse naturali, è possibile vederli applicati anche sulle esportazioni. Lo scorso 1 marzo, il presidente degli Stati Uniti d'America ha deciso di fissare dei dazi doganali al 25% e al 10% sull'importazione di acciaio e alluminio per contrastare il dumping che a suo avviso ha comportato negli ultimi 20 anni un calo dell’occupazione pari al 35% nell’industria dell’acciaio e del 56% in quella dell’alluminio.

I dazi, però, nonostante a prima vista possano anche sembrare uno strumento a difesa dell'economia di un Paese, sono in realtà molto pericolosi perché vanno a scatenare quelle che sono comunemente denominate "le guerre dei dazi", ovvero una serie di ritorsioni che i Paesi che subiscono queste sovrattasse scatenano nei confronti degli Stati che li impongono. Nel 2002, per esempio, l'allora presidente Usa George W. Bush li impose, esattamente come Trump, per difendere l’acciaio di produzione americana, ma l’Unione Europea rispose con una serie di contromisure che portarono Bush a fare marcia indietro in brevissimo tempo. Nel 1930 esplose la più famosa "guerra dei dazi" con l'applicazione dello Smoot Hawley Tariff Act, che fece salire i dazi dei principali prodotti importati negli Stati Uniti al 40%. Anche in questo caso, le reazioni dei Paesi concorrenti non si fecero attendere e la politica di stampo protezionista ebbe disastrosi effetti sull'economia americana. In sostanza, a ogni imposizione di dazio corrisponde una reazione della parte avversa che rende di fatto estremamente pericoloso lo strumento e le maggiori entrate paventate dalla sua introduzione raramente si traducono in un reale guadagno per lo Stato, ma anzi molto spesso si va a generare una pesante perdita, che colpisce soprattutto, per esempio, i Paesi privi di autonomia dal punto di vista delle risorse energetiche.

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