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Roberto Saviano è ancora vivo: “Il pensiero della morte mi ha aiutato nei primi anni di scorta”

Cosa vuol dire vivere sotto scorta per 15 anni? Vivere con la minaccia che qualcuno possa farti del male, ucciderti. Cosa si prova a essere portati via di casa all’improvviso e scomparire per mesi? Lo sa bene Roberto Saviano, che ha raccontato questi 15 anni vissuti senza la libertà di muoversi da solo in una graphic novel disegnata da uno dei maestri del fumetti, Asaf Hanuka.
A cura di Francesco Raiola
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Cosa vuol dire vivere sotto scorta per 15 anni? Vivere con la minaccia che qualcuno possa farti del male, ucciderti. Cosa si prova a essere portati via di casa all'improvviso e scomparire per mesi? Lo sa bene Roberto Saviano, che ha raccontato questi 15 anni vissuti senza la libertà di muoversi da solo in una graphic novel disegnata da uno dei maestri del fumetti, Asaf Hanuka. "Sono ancora vivo" è il titolo del libro pubblicato da Bao, ma anche il grido di uno degli scrittori italiani più famosi al mondo, che ha voluto racchiudere in queste pagine il suo mondo, raccontando al pubblico cosa voglia dire veramente non potersi più muovere, cosa significhi non avere più la libertà di incontrare chi si voglia, di fare una passeggiata, di vivere con una condanna sulla testa e in più non essere creduto, essere insultato, confrontarsi con chi crederà alla tua versione solo quando sarai morto. Ci fa i conti Saviano, come spiega a Fanpage.it, raccontando di come sia stato ance grazie alla grande popolarità che è riuscito ad affrontare questi anni. Era il 2006 quando dopo l'uscita di Gomorra e una presentazione a Casal di Principe lo scrittore fu preso da una volante della Polizia e portato in un luogo sicuro. Gli dissero che sarebbe stato per poco tempo e invece ancora oggi, 15 anni dopo, Saviano è ancora sotto scorta e pian piano almeno a livello giudiziario si sta togliendo la soddisfazione di veder riconosciute le minacce che lo hanno costretto a una non libertà.

Come nasce l'idea di questa graphic novel sulla tua vita?

Roberto Saviano: L'idea di poter costruire una graphic novel sulla mia vita mi girava da tempo in testa. Questo libro è proprio un tentativo di raccontare che cosa significa stare sul palco, il successo, la battaglia politica ma anche l'essere rinchiuso, spiato, dannatamente giudicato. Volevo che fosse rappresentato, che le persone la vedessero, che insieme ci fossero cinema, sceneggiatura, film, documentario, tutto dentro ed a quel punto che arriva il nome di Asaf: io avevo letto i suoi "KO a Tel Aviv" e "Valzer con Bashir" e mi ero innamorato del suo modo realistico ma in grado di tenere dentro anche la trasformazione surreale. Una volta che avevamo deciso, si trattava di convincerlo: vuoi immergerti in questa dannatissima storia?

Asaf, qual è stata la sfida più grande nel disegnare questa storia?

Asaf Hanuka: Roberto mi ha raccontato alcune storie, come quando incontri un vecchio amico in un bar dopo anni che non lo vedi e lui ti racconta una storia incredibile. È come una narrazione condensata, con molti strati, veramente corta ma mantiene l'onestà e la complessità usando una forma a fumetti che la giustifichi. Penso che questa sia stata la sfida più grande nel disegnarla, mantenere vivo qualcosa originale per come la storia è stata raccontata.

Come hai lavorato al materiale che avevi tra le mani?

A: Penso che ci sia un principio nell'arte che dice che è come se questa fosse una bugia che racconta la verità. Usiamo un sacco di passaggi tra sogno e realtà, reale e surreale, perché il nostro soggetto era il suo mondo interiore, il suo stato d'animo interiore che è come un paesaggio immaginario, quindi come i sogni sono fatti di metafore, usiamo molte metafore, ne abbiamo utilizzate veramente tante. Ovviamente mostriamo cose che non possono esistere ma sento che descrivono la verità meglio di quanto possa mostrare la realtà stessa.

Sono passati 15 anni, com'è stato ripercorrerli?

R: È dolorosissimo, perché metti insieme tutto quello che hai perso. Quando ho ascoltato la sentenza che decretava la condanna del boss dei Casalesi che mi ha obbligato a tutto questo, ho visto tutto quello che non ho fatto. Con Asaf volevo raccontare tutte le sfaccettature, anche il punto di vista di chi non ha mai creduto, di chi è sospettoso, di chi dice: "Ok, ma quando ti uccidono? Dovresti morire". Il disegno di Asaf mi ha permesso di rendere tutto credibile, perché ci sono cose che al cinema o anche solo in uno scritto non sarebbero state così credibili: le trasformazioni o anche l'elenco di come avrebbero dovuto ammazzarmi, è difficile metterlo su carta, invece il fumetto riesce a rendere tutto questo arte, cioè a togliergli la responsabilità della verità, dare la responsabilità dell'arte, quindi della creazione, e proprio per questo una verità più alta.

Come ti sei immerso in una storia così lontana da te?

A: Penso che l'unico modo per connettersi sia cercare un parallelo con la mia vita, anche se abbiamo due vite completamente separate: la mia vita è facile e banale, non faccio nulla di coraggioso ma quella storia la sento nella relazione con mia madre, con mio padre con la mia famiglia… Ho dei rimpianti, ho fatto degli sbagli, credo che il fatto che la storia parli di questi momenti e penso che il fatto che la storia parli di questo momento, quando guardi indietro alla tua vita e pensi che avresti potuto essere migliore o che avresti potuto fare delle cose diversamente mi fa trovare dei punti in cui posso immedesimarmi. Come artista in un certo senso ero un ospite nel suo universo, ma ho sentito che in questa collaborazione artistica avevo abbastanza spazio per fare le mie cose.

Cosa è rimasto del Roberto di 15 anni fa? 

R: Una incontenibile fame di conoscere, di capire, un'incontenibile voglia di condividere, che erano proprio cose tipiche di me lì. La voglia anche di poter avere uno spazio proprio – sembra strano che lo dica un uomo di 42 anni – spazi tuoi, ancora adesso le case dove sono, che fitto, in cui vivo le vivo come non mie. La possibilità di trovare una dimensione alla propria vita è ferma all'età di 26 anni quando ero ai Quartieri spagnoli. Una parte di me, come tutti i traumatizzati, è rimasta lì all'incidente, a 26 anni.

Cosa hai imparato disegnando una storia come questa?

A: Per me la storia di Roberto è un po' quella dell'eroe dopo la fine del film, vedi il prezzo che hai pagato, è una storia che generalmente non è raccontata, è come un angolo oscuro, perché vediamo solo il dramma, il successo e il fallimento, ma non vediamo il dietro le quinte: l'atto di togliere il sipario e mostrarci il dietro le quinte che di solito non conosci. Credo di aver iniziato a pensare a molte cose in questo modo, c'è sempre qualcosa dietro, forse l'arte o le storie sono "luoghi" dove puoi dimostrare tutto questo. Quindi a livello personale e umano prendo il fatto che in realtà lo spettro di esperienze che tutti abbiamo vissuto come esseri umani è universale.

In passato hai parlato spesso del pensiero della morte, lo fai ancora? Hai mai accettato quello che è successo?

R: No, non accetti mai che le cose siano così, non accetti mai che le cose continuino così. Il pensiero della morte mi ha aiutato i primi anni, nel senso che vedevo un limite, dicevo "Ok, ho ancora un anno. Ok ho ancora due anni poi finirà perché mi ammazzeranno". Ti fa anche temere molto meno la delegittimazione, questo lo impari dai maestri, come Falcone che risponde a sua sorella che gli chiede di difendersi dopo l'attentato fallito all'Addaura, con l'opinione pubblica convinta che se lo sia fatto da solo: "La calunnia muore da sola" ma soprattutto "Mi uccideranno e uccidendomi mi daranno ragione". È un pensiero che ti conforta, che ti fa dire che non sarà per sempre. Quando a un certo punto gli anni cominciato ad accumularsi ho pensato che forse si aspettassero che gettassi il sangue, mi sono reso conto che non è che mi hanno concesso loro la vita, ma gliel'abbiamo impedito di ammazzarmi e di ammazzarci, perché non sono il solo in questa condizione. Sono stati i lettori, le luci a impedire che le organizzazioni portassero il loro obiettivo a realizzarsi. E l'altra cosa è non darsi mai pace, dire che ‘è accussì', io non ci riesco e questa graphic novel è il tentativo di mettere un punto, di dire "ecco quello che ho seminato", ora chi mi sta leggendo ha il seme dentro che gemmerà, so che non sono più solo e forse posso uscirne da questa situazione.

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