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Rapido 904: la lunga stagione dell’eversione mafiosa

Gli esplosivi e i congegni utilizzati per la strage del rapido 904 Napoli-Milano, avvenuta il 23 dicembre del 1984, dimostrano da un lato una storica collaborazione tra Camorra e Cosa nostra, dall’altro la costruzione di un’organizzazione criminale trasversale, collegata a pezzi deviati dei servizi segreti, in grado di reagire alla repressione giudiziaria con una “strategia della tensione” mafiosa.
A cura di Marcello Ravveduto
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Era il primo giorno di vacanza delle festività natalizie. Mia madre stava dietro l’asse da stiro e guardavamo insieme in tv una delle serie tanto famose negli anni Ottanta. All’improvviso la trasmissione fu interrotta dall’annuncio di un TG edizione speciale. L’anchorman annunciava che il treno rapido 904, partito da Napoli e diretto a Milano, alle 19.08 era stato oggetto di una deflagrazione violentissima all'interno del tunnel della Grande Galleria dell'Appennino (18 km), in località Vernio. La detonazione, causata da una carica di esplosivo radiocomandata, posta su una griglia portabagagli del corridoio della 9ª carrozza di II classe (l'ordigno era stato collocato sul treno durante la sosta alla stazione di Firenze Santa Maria Novella) fu immediatamente attribuita ad un’azione terroristica.

Mia madre cacciò quasi un urlo di dolore. Erano ancora freschi nella sua memoria gli anni di piombo. Con quella tragedia le sembrava di ripiombare nel baratro del terrorismo senza volto. Non erano bastate, diceva, le morti innocenti di Milano, di Brescia, dell’Italicus e della stazione di Bologna, qualcuno voleva altro sangue per diffondere paura con una continua e infinita strategia delle tensione. Ripeteva: «Non vogliono farci uscire di casa, non vogliono che viviamo liberamente, nemmeno a Natale si placano».

Ero frastornato. Avevo dodici anni e non mi era mai capitato di vedere in Tv le scene di un attentato. Ascoltavo, senza capire fino in fondo, i commenti di politici, giornalisti e familiari colpiti dal lutto. Come in un film usurato dal tempo rivedo davanti ai miei occhi quelle tragiche sene e risento le parole di mia madre e mio padre che azzardano le ipotesi più varie, e finanche assurde, per cercare di dare un senso ad una violenza che senso non ha, se non quello della morte come messaggio politico.

Eppure, tra le tante teorie strampalate ne tirarono fuori una quasi profetica: l’attentato era il risultato di una malsana alleanza tra mafia, camorra e pezzi deviati dello Stato. Certo, questa poteva essere la vulgata di due elettori del Pci, pronti ad accusare la solita Democrazia Cristiana quale mandante occulta di ogni e qualsiasi nequizia nazionale. Mai, però, avrebbero immaginato che quella tesi corrispondesse alla realtà.

All’inizio di questa storia criminale c’è un codice indecifrabile: SEMTEX H + TNT  (BRIXIA B5), dietro cui di nasconde il filo conduttore di un decennio di stragi. Un filo che collega mafia e camorra. Dall'attentato al treno rapido 904 (dicembre 1984) a quello dell’Addaura (giugno 1989) fino alle esplosioni di Capaci (22 maggio 1992) e di via D’Amelio (19 luglio 1992). Il SEMTEX H con l'aggiunta di TNT (BRIXIA B5) sono i componenti della bomba che la camorra custodì e la mafia piazzò sul treno partito da Napoli, e diretto a Milano, il 23 dicembre di trent’anni fa. L’esplosione causò 15 morti e 267 feriti. In seguito, le vittime diventarono diciassette.

Oggi si sa che il mandante fu Totò Riina, che l'esplosivo fu lo stesso utilizzato per assassinare Borsellino e la sua scorta e che l'eccidio ferroviario fu il primo passo della “strategia della tensione” dei corleonesi in risposta ai mandati di cattura ordinati dal pool antimafia (settembre 1984) e sfociati nel Maxiprocesso alla mafia. La morte senza volto, strumentalizzando il terrore diffuso dall’eversione nera, era secondo Riina il modo migliore per mettere sotto pressione i suoi referenti politici e condizionare l'esito del primo grande processo a Cosa nostra.

Tra i protagonisti troviamo personaggi connessi alla P2, colletti bianchi, trafficanti di armi (travestiti da imprenditori), banchieri, uomini della “banda della Magliana” e camorristi legati alle bande neofasciste. Tra questi spicca Giuseppe Missi (più noto come Giuseppe Misso ‘o nasone assolto dal reato di strage e condannato insieme ai suoi luogotenenti Giulio Pirozzi, Alfonso Galeota e Luigi Cardone per detenzione e porto di materiale esplodente) e il parlamentare Massimo Abbatangelo, assolto dal reato di strage ma condannato a sei anni di reclusione per aver consegnato l'esplosivo a Misso nella primavera del 1984.

La Dda di Napoli fonda le accuse a carico di Riina su alcune perizie relative agli ordigni utilizzati nelle stragi del 1984 e del 1992. Nel treno, infatti, è stata ritrovata la stessa miscela di sostanze esplosive (pentrite, T4, tritolo, nitroglicerina) adoperate nell’attentato di via Mariano D’Amelio. L’analisi chimica è inoltre supportata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra i quali Giovanni Brusca (che di attentati se ne intende).

Un’altra prova del collegamento tra la strage di Natale e quella di via D'Amelio sta nel ritrovamento di due arsenali. Il primo a Poggio San Lorenzo (RI), il secondo a San Giuseppe Jato (PA). Il materiale dinamitardo rinvenuto ha un’identica provenienza. A procurare i “fochi d’artificio” per i “compari” aveva provveduto Vito Roberto Palazzolo (ritenuto il cassiere di Riina e Provenzano), arrestato nel 2012 a Bangkok dopo essere fuggito dal Sudafrica, dove, conosciuto come stimato imprenditore, gli era stato affidato l’incarico di ambasciatore plenipotenziario del piccolo Stato del Ciskey (poi annesso al Sud Africa).

Un ulteriore elemento di collegamento tra i due episodi emerge dalle indagini della Squadra mobile di Caltanissetta: i circuiti integrati dei radiocomandi utilizzati nelle stragi siciliane, passando attraverso le medesime mani e le stesse società, sono gli stessi impiegati nell’attentato del 1984. Insomma, la strage del rapido 904 è la prova generale della strategia eversiva messa in pratica da Cosa nostra nel biennio 1992-1993.

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