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Perdonanza Celestiniana: sette secoli fa Celestino V proclamava il primo Giubileo della storia

725 anni fa, fra il 28 e il 29 agosto, si teneva quello che viene definito “il primo Giubileo della storia”: sei anni prima di quello ufficiale proclamato da Bonifacio VIII, un monaco eremita divenuto papa col nome di Celestino V concedeva a tutti il perdono. Un evento eccezionale, che ancora oggi viene ricordato: ecco la storia della Perdonanza Celestiniana.
A cura di Federica D'Alfonso
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Celestino V raffigurato con la città de L'Aquila in mano.
Celestino V raffigurato con la città de L'Aquila in mano.

Ci sono storie che la Storia ha dimenticato, ma che per fortuna in qualche angolo del mondo qualcuno ricorda ancora: come quella che la città de L’Aquila rivive, ogni anno, il 28 e 29 agosto. Si tratta della Perdonanza Celestiniana, un evento che ormai da decenni fa rivivere l’affascinante vicenda che, nel XIII secolo, avveniva proprio in quegli stessi luoghi: quella legata al nome di Celestino V, il papa che secondo Dante avrebbe fatto “il gran rifiuto”, e al primo Giubileo della storia, prima che il Giubileo esistesse.

Il primo Giubileo della storia

La basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L'Aquila.
La basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L'Aquila.

Chiunque, purché fosse confessato, entrando nella basilica di Santa Maria di Collemaggio fra il 28 e il 29 agosto del 1294, avrebbe ricevuto il perdono: fu questa, anni prima che Bonifacio VIII concedesse il Giubileo ai suoi fedeli, la grande rivoluzione di papa Celestino V. Il pontefice, eletto non senza clamore pochi giorni prima, iniziò così il suo brevissimo mandato come 192° papa della Chiesa cattolica.

La bolla “Inter sanctorum solemnia” è ormai un pezzo di storia che la cittadinanza conserva gelosamente, fortunatamente scampata, fra le altre cose, al devastante terremoto del 2009. Un pezzo di storia che affonda le radici nel XIII secolo, che rappresentò un evento eccezionale in un’epoca in cui il perdono era troppo spesso legato al denaro e alla corruzione: emblema dell’importanza storica del papa eremita che in soli quattro mesi provò a cambiare il volto della Chiesa.

Un accadimento talmente eccezionale che anche dopo la revoca di tutte le bolle emanate da Celestino V da parte del suo successore, Bonifacio VIII, la cittadinanza ha continuato a ricordare nei secoli, arrivando fino a noi. Prima di dimettersi, infatti, Pietro da Morrone aveva donato la Bolla della Perdonanza alla città affinché la custodisse.

Celestino V, il papa eremita

Incoronazione di papa Celestino V, dipinta da Carlo Ruther (Basilica di Santa Maria di Collemaggio, L'Aquila).
Incoronazione di papa Celestino V, dipinta da Carlo Ruther (Basilica di Santa Maria di Collemaggio, L'Aquila).

Quella di Celestino V è senza dubbio una delle figure più affascinanti della storiografia pontificia. La sua vita, trascorsa per la maggior parte in solitudine sulle montagne abruzzesi, si è intrecciata con la storia delle lotte fra papato e impero che dividevano la penisola nel XIII secolo, e il suo pontificato, seppur brevissimo, ha rappresentato una parentesi importantissima nella storia della Chiesa cattolica.

Pontificato che, stando ad alcune testimonianze storiche, Celestino V aveva accettato con “gran sofferenza ed apprensione”: era il 1294 e Pietro Angelerio, detto da Morrone dal nome del monte su cui aveva trascorso alcuni anni in totale isolamento, veniva scelto come successore di papa Niccolò IV dopo una lunga serie di conclavi fallimentari. Un’elezione che molti imputeranno al suo carattere semplice e facilmente “manipolabile”, altri alla fama di religiosissimo e mistico che si era affermata in tutta Europa.

Ipotesi, le stesse, che verranno addotte anche per spiegare la rinuncia a soli quattro mesi dall’elezione. Nel dicembre dello stesso anno, infatti, Celestino V abbandona il pontificato “al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta”, spinto “da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della Plebe”: il suo successore, Bonifacio VIII, temendo uno scisma da parte di chi ancora appoggiava Pietro, lo fece imprigionare nel suo castello di Fiumone, in Lazio, dove il papa eremita morì misteriosamente dopo qualche mese.

Celestino V nella letteratura: da Dante a Silone

Il III Canto dell'Inferno disegnato da Gustave Doré.
Il III Canto dell'Inferno disegnato da Gustave Doré.

Il nome di Celestino V non è rimasto a lungo dimenticato, e non solo grazie alla storiografia: ad esso sono legati i misteriosi versi del III Canto dell’Inferno in cui Dante Alighieri racconta di aver riconosciuto, fra le schiere degli ignavi, “l'ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Le parole del poeta, ambigue, hanno fatto sospettare per molto tempo che il personaggio fosse proprio Pietro da Morrone che, vile, non era riuscito a portare a termine il suo pontificato, dando così modo all'odiato Bonifacio VIII di sostituirlo.

Ma Celestino V non è sempre stato raccontato in modo negativo: a lui Ignazio Silone dedicherà la sua ultima opera, “L’avventura d’un povero cristiano”, pubblicata nel 1968, con cui lo scrittore abruzzese vincerà il Premio Campiello nello stesso anno. In questo caso la figura di Pietro diviene metaforica degli ideali politici di Silone:

Gli uomini i quali una volta dicevano no alla società e andavano nei conventi, adesso il più sovente finiscono tra i fautori della rivoluzione sociale […] Non esito ad attribuire ai ribelli il merito di una più vicina fedeltà a Cristo.

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