video suggerito
video suggerito

Perché non riusciamo a toglierci dalla testa Sto bene al mare di Marco Mengoni, Sayf e Rkomi

Marco Mengoni, con Sayf e Rkomi ha pubblicato Sto bene al mare, canzone che arriva a pochi giorni dall’inizio dei suoi concerti negli stadi: ecco cosa ci racconta questa canzone.
A cura di Federico Pucci
153 CONDIVISIONI
Marco Mengoni, Rkomi e Sayf
Marco Mengoni, Rkomi e Sayf

Un giro di accordi in tonalità minore, un coro gospel, un riverbero da chiesa. E una frase che potrebbe gareggiare in una competizione per lo slogan più scontato della storia: "Sto bene al mare, al mare, al mare". Ma pensa un po’ – viene da rispondere – io invece ci sto male, preferisco stare in città con l’aria condizionata malfunzionante, consolato dai salari tra i meno forti d’Europa e da tutti i flagelli del nostro Paese. Nel momento in cui attacca, il nuovo singolo di Marco Mengoni Sto bene al mare sembra fare di tutto per lasciarci esterrefatti e confusi, forse perfino leggermente irritati. Viene anche un dubbio: siamo sicuri che la voce narrante stia bene come dice?

Di certo possiamo immedesimarci nel messaggio, proposto alla lettera, e nella sua naturale incompletezza. “Sto bene al mare” sembra una cosa da dirsi quando non si è al mare (altrimenti, basterebbe dire “qui sto bene”). Ma per comprendere il significato di questo richiamo ambiguo nella sua banalità dobbiamo capire il contesto, non solo di chi canta (lo studieremo presto) ma anche di chi ascolta. Al mare siamo abituati, la sua distesa per lo più placida, il suo ristoro sono componenti della mitologia musicale italiana, anche recente: “Oggi voglio andare al mare anche se non è bello”, ci diceva con un’altra perla di acume letterario il buon Coez in un brano che parlava di insoddisfazione verso lo stato attuale delle cose – tieni un indizio che tornerà utile più avanti. Ma se non siamo al mare, dove ci troviamo? In un luogo che conosciamo fin troppo bene e dal quale vorremmo fuggire, e che trova nell’escapismo marittimo una soluzione fin troppo facile.

Sto bene al mare, insomma, parte con la fuga prima ancora di cominciare. Fuga da cosa, però? Forse da una stasi, e magari la musica ci può illuminare al riguardo. Come abbiamo ripetuto tante volte in questa rubrica, la combinazione tra il familiare e l’inaspettato è essenziale nel decretare la fortuna o sfortuna di una canzone. Nessuno sa dire in anticipo, però, quale dose di noto e quale dose di ignoto scateneranno la reazione giusta in una massa sufficiente di ascoltatori – e per questo, fortunatamente, è ancora impossibile affidarsi alla formularità musicale senza sembrare un po’ un babbeo. Di Sto bene al mare si può dire che lo sconcertante inizio e il basso elettrico che spinge la prima strofa hanno ben più di un aggancio mnemonico con l’ultimo singolo di Mengoni, Mandare tutto all’aria. Può essere che la fuga sia da quella canzone? Che il mare sia la destinazione – illusoria, vedremo – dal turbamento descritto in quella traccia?

Musicalmente parlando, la canzone prende in effetti altre direzioni rispetto al singolo di qualche mese fa, ma nel testo emerge uno spirito comune: l’insoddisfazione irrisolvibile con il presente, con le sue leggi dominanti, con le sue regole sociali e aspettative spiattellate in uno spettacolo quotidiano. Sorge il dubbio, allora, che la voce narrante “stia bene al mare” più o meno come il protagonista di Splash di Colapesce Dimartino è felice di farsi un tuffo in acqua: con disperazione, pronto a farla finita, o quantomeno a far perdere le tracce di sé.

Nel testo che Mengoni, Sayf e Rkomi si spartiscono la crisi esistenziale è anche una crisi di rappresentazione: chi sono, quando non sono al mare? La voce narrante non si vede "a Cinecittà" o "a Citylife" (riferimento a Fedez, una volta residente arcinoto del quartiere milanese?), e non sembra nemmeno esaltato dalla prospettiva di "brindare con i re di cemento". Sta parlando di predisposizione personale, certo, ma tra le righe si avverte l’insofferenza verso un futuro che "cambia colore come cambiano i venti" – forse un’eco involontaria di una vecchissima hit dell’estate 1998 in cui il cambio del vento era presagio funesto? Non ci sono certezze – ci dice Mengoni – a parte che al mare si sta bene: poco, pochissimo, ma non nulla. E però qualcosa non quadra.

Certezze ve ne sono poche anche se si guarda alla struttura del brano. La consuetudine vorrebbe che in una canzone che unisce due MC e un cantante a quest’ultimo venga affidato il ritornello e un bridge, al massimo una strofa, se proprio si vuole andare per le lunghe. Qui, invece, le parti si confondono in un interessante labirinto di voci. Parte Sayf, rapper genovese (di cui consiglio vivamente la dinoccolata Chanelina soubrette) che nel recente singolo Figli dei palazzi si è mostrato a proprio agio con suoni funky soul non troppo distanti da quelli della produzione di Sto bene al mare (curata da DIBLA, Jiz e Giovanni Pallotti). I versi di Sayf, che avrebbero funzionato anche "a commento" di una dichiarazione lirica di partenza, arrivano invece qui come la scena d’apertura di un film, in cui il protagonista scappa dalla città.

Anziché vederci direttamente a destinazione, però, qui restiamo intrappolati dentro un pensiero, un po’ come i protagonisti di Weekend di Jean-Luc Godard dentro l’ingorgo surreale, psicotico, tragico del film. L’aspirazione ad andarsene dalla città è quasi sempre stata sottintesa anche nelle canzoni che hanno – si potrebbe dire – creato il mito pop del mare in Italia. In questa scena, però, il bisogno di fuga è esplicito: si resta in città per fare i conti con le nostre velleità, accettando di ridurci allo stato di natura ("mi sento meglio nelle tane dei bruchi"); ma, se solo avessimo dei “lavori veri” come il babbo di Sayf, non ci porremmo nemmeno il problema di stare al bar ed essere mostruosamente normali.

La voce di Mengoni, che interviene dopo otto versi, conclude il ragionamento: avrei potuto fare scelte che mi rendessero più adatto alla vita sociale e culturale che un pezzo maggioritario della società pare adorare o addirittura ammirare (gli aperitivi di lusso, i quartieri alti, l’esclusivo), "ma mi ci vedi?". Non sta a noi decidere se effettivamente tre componenti della classe creativa, tutti e tre con discreti livelli di successo, stiano interpretando la parte dell’uomo comune, oppure no. Ma sicuramente in questo senso di stanchezza ci possiamo immedesimare: "sto bene al mare", quindi, è uno slogan banale perché non può essere altrimenti, perché la scommessa di Mengoni sta nel collegamento tra la nostra infelicità quotidiana di comuni mortali e la disperata ricerca di pace che chiunque prima o poi avverte.

C’è un po’ di euforia nel refrain, ma è trattenuta. I colpi di ottoni che battono degli ottavi sincopati sopra il beat del ritornello mi ricordano gli “orchestra hits”, collocati proprio in un incastro ritmico simile, nel ritornello di Tous Les Mêmes di Stromae. Anche quella canzone giocava con l’ambiguità e il doppio (interpretato in quel caso dal solo musicista belga). In Sto bene al mare, invece, “l’altro” ha la voce di un rapper. Che, nel caso della seconda strofa affidata a Rkomi, si ritrova in una scena montata senza rigore di logica e con frenesia, un personaggio pirandelliano che riflette sulla sua stessa vicenda nel momento in cui la vive e la descrive. Con la sua tipica attenzione al dettaglio il rapper milanese inizia a dipingere la scena parlando di una donna uscita dall’acqua: la sua sola presenza sembra colpire l’osservatore come nella più classica delle canzoni da spiaggia italiane. Ma il colpo di fulmine è qualcos’altro, come ci rivela l’intermezzo nel quale penso Mengoni raddoppi la voce (il doppio, per l’appunto): forse lo shock di un trauma dimenticato ("quanto dura un’amnesia?"); forse un flashback interrotto bruscamente da un presente di sconforto. No, forse non stiamo bene al mare come pensavamo, perché le esperienze umane continuano anche quando crediamo di esserci rifugiati dal logorio della vita moderna, perché le ansie ci inseguono anche sotto l’ombrellone.

Nulla è sicuro, nemmeno il fatto che il bridge ci chiarisca le idee. Di norma troviamo in questa parentesi risposte alle domande che vengono suggerite nelle strofe, e chi se ne intende di composizione in genere trova soluzioni creative per rigirare gli accordi in modo tale da far sentire di nuovo "fresca" la canzone. Ma qui non abbiamo risposte, non abbiamo freschezza – difficile dire se è voluto o meno. Di certo, a livello armonico assistiamo a una minuscola variazione che non rinfresca il giro. Sul piano lirico, poi, troviamo una scena ancora più indecifrabile: "cosa succede all’altra parte del mare?" dovrebbe essere un riferimento a chi vede le distese d’acqua come una via per fuggire da disperazioni decisamente più consistenti delle nostre insoddisfazioni metropolitane? Non è chiaro: abbiamo altre domande, anziché risposte, come i dubbi sui "cammini spirituali" e i "jeans couture" menzionati.

Lasciare tutto in sospeso (come il beat che scompare per qualche battuta ci fa sentire) ci costringe a tornare allo slogan iniziale, che man mano ci fa notare sempre di più l’assonanza tra "mare" e "male". Forse il senso sta qui, o forse a Marco Mengoni piace veramente tanto andare al mare – e a chi no? Magari tutto sarà svelato nelle date negli stadi in partenza tra una settimana, dove è presumibile che il brano, il suo inserimento in scaletta in una determinata posizione e l’apparato scenografico che l’accompagnerà potranno dire ai presenti qualcosa in più. Magari un videoclip chiarirà la faccenda.

A noi che ancora non sappiamo tutto questo, qui in città, nei nostri uffici e nelle nostre case che lottano contro una prima afa precoce, resta l’incertezza sul futuro e un certo imbarazzo a provare angoscia di ciò mentre dall’altra parte del nostro mare vengono sterminate migliaia di persone innocenti e si seminano ulteriori conflitti. Sarà questa canzone a descrivere per i posteri lo stato d’animo medio dell’estate 2025? O la ricorderemo solo per il suo slogan così ovvio, e lo ripeteremo quando qualcuno ci chiederà “mare o montagna”? Del resto, anche così, intrufolandosi a tradimento nelle conversazioni, si fa un successo.

153 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views