Perché non riusciamo a toglierci dalla testa Bam Bam di Banfy e Sheridan

L’abbiamo detto spesso di recente: il pop italiano non gira più forte come una volta. I tormentoni non tormentano, e il tasso di ricambio della top 100 rispecchia questo senso di stagnazione: la scorsa settimana, il 7% delle canzoni più popolari secondo FIMI navigava in quelle prestigiose e immobili acque da almeno 365 giorni; esattamente un anno fa, solo una canzone era stata abbastanza longeva da durare così tanto nell’etere (e che canzone, Cenere di Lazza). E, come avevamo previsto già ai tempi dell’ultimo Festival di Sanremo, qualcosa sarebbe arrivato a scuotere la stasi, l’arrivo di un cantautore indipendente che sarebbe arrivato sul mercato con il giusto equilibrio di familiarità e novità, una proposta presentata in una confezione nettamente distinta dal resto della musica in voga, una proposta “diversa” già al primo ascolto, e portatrice di una verità artistica alla quale pochi sarebbero stati abituati. Nessuno, però, avrebbe puntato su Bam Bam di Banfy e Sheridan.
Nulla del mio gusto e della mia formazione musicale mi permette di descrivere questa canzone come nient’altro che un pasticcio. Il suo ritmo in levare da marcetta non ha groove, ed è riprodotto da un beat (probabilmente) preimpostato robotico, sonicamente esile come un foglio di carta velina, e per questo incoerente con il messaggio incastonato nel titolo e nel testo: la descrizione di un batticuore impetuoso e imprevedibile, causato dall’amore non corrisposto per una donna manipolatrice. Posto un velo pietoso sulle implicazioni di un simile stereotipo femminile – già che ci siamo, lo poggiamo anche sul 90% delle canzoni di modernissimi rapper che parlano delle loro donne negli stessi termini lusinghieri – possiamo valutare però le parole scelte per descrivere questo oggetto d’amore: “è tropp’ bona”, “è fatta con la bacchetta magica”, “pazza, una strega un po' malefica” non sono esattamente versi leopardiani.
Abbastanza enigmatica anche la struttura dialogica che inquadra narrativamente il brano, in cui il dialogo tra Banfy e Sheridan (peraltro già collaboratori di lunga data) è reso quasi indecifrabile dal modo pressoché identico di presentare la melodia da parte di entrambi: così, una conversazione franca e amara tra due persone che condividono gli interessi romantici finisce per assomigliare a un assurdo dialogo interno. Potrei avanzare altre obiezioni, dalle scansioni metriche del cantato alla generale uncoolness del pezzo, ma non siamo qui per spiegare cosa non funziona di Bam Bam. Al contrario, c’è da capire come mai piace a così tante persone. A ben vedere, le due cose non si escludono.
Presto o tardi, per ragioni legate allo slittamento demografico del pubblico e ai costanti sbilanciamenti della domanda e dell’offerta, ogni mercato culturale raggiunge fasi di saturazione: i cinecomic smettono di sembrare interessanti; le mode vengono riciclate e scartate; le canzoni di Sanremo o i tormentoni estivi realizzano meno stream dell’anno precedente. In questi momenti, le proposte “altre” hanno una chance d’oro di spiccare come la novità che non ti aspetti, e se il loro linguaggio estetico si distingue piuttosto chiaramente dall’offerta generalista è ancora meglio. Prendi ad esempio il cinema horror, che regolarmente produce successi commercialmente strepitosi in momenti di stanca: con budget decisamente più piccoli dei blockbuster e punti di vista artistici radicali rispetto alle visioni addomesticate dei grandi franchise, gli horror sembrano sempre sulla via del ritorno per la loro alterità. Ma l’horror in sé non è una novità, anzi, se ne può parlare come di una nicchia eternamente vivace, tenuta insieme da una compagine di spettatori che vanno dai cultori ai semplici passanti in cerca di svago al cinema. Lo stesso si potrebbe dire del neomelodico, il genere che il piemontese Banfy ha scelto di far suo: una musica dal seguito enorme, che vive lontano dai riflettori del mainstream.
Bam Bam ha funzionato perché si è portata dietro il suo pubblico (ora vedremo come assemblato) in un momento di sfiducia verso il pop. In questo senso, però, è importante anche ridimensionare questo successo. Se gli attuali piazzamenti nelle classifiche sono straordinari, specie per una produzione realmente indipendente, bisogna anche soppesare i numeri per avere un quadro più completo. Approfittando dei dati trasparenti raccolti sulle riproduzioni di Spotify, bisogna notare che la scorsa settimana Bam Bam ha raggiunto il quarto posto delle canzoni più ascoltate sulla piattaforma con una quantità di stream che due anni fa l’avrebbe portata non oltre il settimo posto, e un anno fa addirittura al ventottesimo: in altre parole, sono bastati a Banfy meno ascolti per arrivare vicino alla cima, perché gli artisti “normali” che gli fanno concorrenza non spingono come una volta.
Tuttavia, questi conti lasciano il tempo che trovano, specialmente se fatti solo su Spotify, quando un pezzo importante di ascolti è invece maturato su YouTube. Qui, in particolare, i commenti degli ascoltatori aprono squarci sul modo in cui questa canzone si è fatta largo: alle giostre. Mentre i consulenti di comunicazione e gli esperti di marketing invitano le popstar a lavorare su TikTok, la seconda canzone in classifica FIMI alla fine di settembre 2025 si è fatta avanti nelle più popolari attrazioni dell’estate. Gli stessi posti che negli anni scorsi facevano volare i tormentoni un po’ cheap e caciaroni che macinavano decine di milioni di stream quest’anno non hanno trovato niente di altrettanto emozionante nel paniere del pop per i loro speaker bombastici a media fedeltà: invece, hanno passato a ripetizione una canzone che per via della sua stessa ritmica scattante e innaturale sembra fatta apposta per autoscontri e calcinculo. A ben vedere, insomma, qualcosa da dare Bam Bam ce l’aveva.
Non potrei concludere quest’analisi senza dare un’occhiata anche all’armonia, e da lì provare a capire qualcos’altro. Banfy canta la sua serenata maledetta sopra una progressione di accordi solida e consolidata, una marcia in minore che potrebbe richiamare Hot Stuff di Donna Summer (e non è nemmeno la prima canzone che ne fa uso quest’estate, sebbene sia la sola a farlo con tanta ostinazione). L’energia nella performance non è esattamente contagiosa, quindi il coefficiente cinetico di questo giro non viene proprio sfruttato al meglio. Ma la canzone va da sola anche grazie a questa sequenza di accordi così ben incastrata: non come i carri armati sonori delle attuali produzioni pop, ma come un giocattolo di latta a molla, che una volta caricato zampetta in avanti senza posa.
A proposito dell’energia bassa, mi permetto di credere che parte del fascino di Bam Bam stia proprio in questa sua qualità quasi anodina: il crepacuore del brano, che vorrebbe essere trasmesso dall’immagine del battito irregolare e sontuoso, non è mimetizzato dall’interpretazione di Banfy, che se soffre non lo sta dando a vedere, creando una sorta di distacco ironico dal dolore che viene descritto. Questo è tutt’altro che banale: mentre da poco è ripartito X Factor, vale la pena sottolineare come l’ultimo ventennio di catechismo pop abbia insegnato agli artisti che le loro performance devono “far arrivare” le emozioni del brano all’auditorio, che la responsabilità della messinscena dell’emozione è sulle loro spalle, ed è una delle priorità imprescindibili del loro mestiere. Nell’epoca del narcisismo mass-mediatico, “arrivare” con una canzone non è necessariamente qualcosa da fare con sommo sforzo tecnico: ciascun ascoltatore appiccica al brano la propria moneta emotiva, e una pagina bianca come Bam Bam è perfetta per questo.
C’è un valore umoristico, senz’altro, nell’ascesa di Bam Bam: tanti hanno regalato uno o più stream alla canzone per pura curiosità, altri hanno forse goduto delle improprietà che descrivevo nei primi paragrafi. Ma è importante valutare questo brano per quello che è e non per quello che pensiamo voglia essere. Nel suo fondamentale libro sulla outsider musica intitolato Songs in the key of Z Irwin Chusid sostiene che l’errore più comune di chi osserva la musica “fatta male” è convincersi che chi la suona si sforzi in tutti i modi di arrivare agli standard della musica “fatta bene” ma che fallisca miseramente. Bam Bam rientra perfettamente nei canoni stilistici della musica neomelodica: il beat saltellante della sua canzone, che potrebbe suonare insulso in cuffia durante una tratta in treno da pendolare o in un pomeriggio di studio, spicca proprio in quelle occasioni festaiole dove la finezza di un groove rischierebbe di essere ignorata; allo stesso modo, la melodia insistente dell’inciso, così poco curiosa di esplorare il pentagramma, è perfetta per catturare l’attenzione grazie alla sua monotonia insistente. In altre circostanze, queste sarebbero state formule chiave per un successone. E lo sono state.
Tredici anni fa, la classifica FIMI doveva sopportare una simile ferita al primo posto della chart dei singoli: Il pulcino Pio. Anche quel brano aveva un tempo in levare da marcetta. Anche i suoi suoni erano “poveri” e privi di raffinatezza e curiosità. Anche il suo pubblico era, possibilmente, formato in buona parte da bambini che – in ogni epoca, in ogni cultura – esercitano con pertinacia la loro passione incolta per canzonette ripetitive e fastidiosamente facili da impiantare nella memoria. (Per inciso, non è colpa dei bambini: dalle sigle dei cartoni a Baby Shark, le loro passioni musicali sono un legittimo rituale di passaggio).
Forse il successo di Bam Bam non va considerato come un’eccezione, e nemmeno come un cavaliere dell’apocalisse del pop, che senz’altro manterrà in vita artificialmente le sue attuale regole e pratiche fintantoché potrà, vedendosi rosicchiare un morso alla volta pezzetti di immaginario popolare come negli anni Dieci avvenne con il rap ai danni della canzone melodica, e come oggi succede al rap e alle produzioni melodiche ispirate ai suoi dogmi. Forse, invece, Bam Bam funziona prima di tutto perché, arrivando attraverso canali non presidiati dai grandi interessi si è mostrato in tutta la sua verità, imprevedibile e imperscrutabile. In Songs in the Key of Z Chusid ravvede proprio nell’imprevedibilità la caratteristica inimitabile e preziosissima della outsider music: anche se nella sua povertà Bam Bam non ha nulla di propriamente nuovo da offrire, nella cornice di produzioni sempre più pregiate e sempre più uguali a sé stesse anche i difetti di Banfy ci spiazzano e per un secondo, seriamente o meno, ci seducono. Durerà solo un’estate, certo, perché già il brano successivo dell’artista sinti (Tu Tu) non sta ricevendo lo stesso affetto. Ma anche se sarà durato una sola estate, tempo qualche giorno e in autunno avremo già scordato tutto. Un tempo con i tormentoni estivi funzionava esattamente così.