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Opinioni

Perché il dissing di Taylor Swift contro Charli xcx in Actually Romantic è un passo falso

Nel suo ultimo album The Life Of A Showgirl, Taylor Swift ha pubblicato una canzone, Actually Romantic, che è un dissing a Charlie xcx, ma la popstar ha mancato il punto, sia nel testo che nella musica: ecco perché.
A cura di Federico Pucci
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Taylor Swift
Taylor Swift

Nel disastro generale di The Life Of A Showgirl, l’ultimo album di Taylor Swift appena pubblicato, c’è un momento particolarmente basso che merita di essere sottolineato, perché descrive la miserabile parabola artistica discendente che almeno dall’anno scorso ha trasformato la popstar cantautrice numero 1 al mondo in una parodia di sé stessa. Qui e anche altrove ho parlato con dovizia di particolari di come è iniziata la fine di Taylor Swift, e l’ho fatto senza alcun pregiudizio di partenza – anzi, qualcuno potrebbe anche descrivermi come un apologeta di Swift, visti i miei precedenti. Sgombrato il campo dagli equivoci, quindi, c’è bisogno di parlare di Actually Romantic. Ma prima, un po’ di contesto.

L’estate scorsa, qui, era tutto verde fluo. Ti ricorderai, forse, di brat, l’album della cantautrice pop inglese Charli xcx che si trasformò in fenomeno di costume grazie sia alle melodie memorabili incastonate in produzioni elettroniche dance massimaliste, sia alla vulnerabilità sgraziata delle sue liriche: una canzone dopo l’altra, la “ragazzaccia” (brat) ci costringeva a leggere fra le righe delle sue affermazioni sfrontate, delle sue immagini festaiole, per scoprire le insicurezze personali, le ansie legate all’invecchiamento, il bisogno di essere capita, amata, la voglia di scardinare con un po’ di onestà brutale i meccanismi dell’industria discografica pensati per fregare regolarmente le donne.

Senza mettersi in posizione di difesa, ma sempre in attacco, Charli confessava i suoi problemi, costringendo l’ascoltatore a un atto di empatia tramite terapia shock. Così, anche nei brani che sembrava chiaro si riferissero a una qualche collega artista, non si era invitati a prendere posizione come in un dissing qualunque. E infatti accadde che, come raccontammo qua, una volta sentitasi interpellata nella canzone girl, so confusing, Lorde decise di affrontare la questione di petto in un remix con la stessa Charli. Il tema di cui si dibatteva, tra Charli e Lorde, era la possibilità per due colleghe di sviluppare una qualche sincera amicizia pur dentro le contraddizioni di un’industria che vorrebbe mettere le ragazze una contro l’altra. Un’altra canzone affrontava questo tema, in un modo se possibile ancora più viscerale: si intitolava sympathy is a knife, e ha il difetto madornale di riferirsi a Taylor Swift.

In quel testo Charli spiegava il senso di profonda inadeguatezza che provava in presenza di Taylor Swift. Noi immaginiamo il glamour dei backstage come un privilegio inarrivabile, ma Charli ci diceva che la sola presenza di Swift la faceva star male fisicamente, che quegli incontri più o meno casuali la mandavano in crisi. Cresciuta dentro il pop, dal momento che (non diversamente dall’americana) la sua carriera inizia nell’adolescenza, la popstar inglese confessava di aver involontariamente fatto propria la forma mentis sessista della discografia, percependo Swift come il suo esatto opposto: una dea bionda, alta e bianca di fronte a una piccola ragazzetta scura di origine indiana; una cantante dal successo luminoso di fronte a un personaggio che ha provato tante strade non trovando sempre riscontro; e così via.

La tensione era acuita dal fatto che (e qui si entra un po’ nel gossip) per un certo periodo, documentato peraltro da The Tortured Poets Department, Swift frequentò Matty Healy, il cantante dei The 1975, un altro componente dei quali è stato fidanzato e attualmente è il marito di Charli. Quello che, in altre circostanze, poteva essere un contesto amichevole e di complicità, per Charli era come una coltellata, un’esperienza irrazionale di gelosia ma non di invidia, di disagio ma non di odio, che alla fine dei conti – come conclude il brano – portava la protagonista a un passo dall’infliggersi del dolore. Certo, Taylor non può considerarsi responsabile di questo malessere, ma Charli non l’ha mai considerata tale, e la canzone andava chiaramente letta nella cornice generale del disco, un’affermazione di autonomia e potenza anche dentro le dinamiche sballate dell’industria del content.

Peccato che Taylor Swift abbia travisato completamente quanto cantato dalla collega. O almeno, così dobbiamo credere se prendiamo sul serio il testo di Actually Romantic. Il collegamento con Charli è facile, non solo perché il titolo sembra una grezza parodia di everything is romantic, brano di brat dedicato da Charli al suo futuro marito. Ma anche per i molti indizi evidenti a chiunque presti (forse troppa?) attenzione ai testi delle canzoni pop. Poco dopo l’inizio, per esempio, Swift dà della cocainomane alla sua interlocutrice, e da brani come 365 sappiamo che Charli non nasconde di aver fatto uso di cocaina. L’americana attribuisce al narcotico il coraggio che la nemicamica ha trovato per provare a tenerle testa: insomma, Charli è una pavida e debole che ha bisogno di pippare per farsi forza.

Colpi bassi, certamente, ma non sta scritto da nessuna parte che Swift debba essere una brava persona, un modello (ecco l’influenza filosofica di Reputation, che citavamo nella recensione dell'album). Ma la banalità del riferimento, la sua scarsa valenza musicale e poetica (nessuno dei versi a seguire avrà modo di redimere questa carenza), e anche il velato moralismo bigotto dell’accusa sanno di povertà di argomenti. Swift è pur libera di attaccare una collega, ma con questo attacco non sta dicendo nulla di sé, non sta definendo la sua personalità né la sua arte. È solo altro gossip che si unisce in modo poco creativo al resto del mucchio. Una cosa che Swift ha mancato completamente, insomma, è la capacità di questi scambi musicali di esorcizzare temi più vasti, sociali, trasformare il beef in scambio. Swift non ha nulla da dire e nulla da imparare, la premessa di tutte le grandi cadute.

Il linguaggio puerile continua, mentre musicalmente il brano orbita intorno a una brutta messinscena di Where Is My Mind? dei Pixies, cercando di togliere ogni parvenza di umanità al suono delle chitarre grazie (per così dire) al contributo poco ispirato di due pesi massimi della produzione (Max Martin e Shellback). Così, sopra un sottofondo musicale che non porta da nessuna parte, restiamo fermi al bullismo da scuola media: "Sei come un chihuahua che mi abbaia contro da una borsetta, ecco quanto mi fai male"; "Sei ossessionata da me"; "Mi sto bagnando"… Swift ha tutto il diritto di esprimersi con la fantasia di una dodicenne, nessuno glielo impedirà, ma questa risposta fa accapponare la pelle per l’imbarazzo. Nessuno aveva in programma di "farle del male" ma ogni dittatura sanguinaria finisce con la paranoia degli attentati, quindi non deve stupire questo atteggiamento da un’artista in evidente sbornia di hybris.

Naturalmente, c’è un livello di lettura della faccenda per cui è tutto solo un grande gioco. Ed è vero – salvo quando un po’ di anni fa Swift non aveva nulla da ridire contro i critici un po’ troppo di manica larga che inquadravano come lotte femministe tutte le vicende della sua vita professionale e privata. Insomma, oggi possiamo anche giocare, facendo finta che questo non sia precisamente l’atteggiamento disumanizzante delle donne nel pop contro cui brat vorrebbe metterci in guardia. In fondo, come il caso Kendrick vs Drake ha insegnato, un bel beef fa bene agli ascolti – magari Swift sapeva di avere tra le mani un disco molto debole?

Non possiamo saperlo, perché nella comunicazione della superstar per ogni testo perfido e devastante ci sono solo controllatissime interviste e accuratissimi post promozionali. Là, Taylor Swift che domina la sua narrazione come una grande regista di sé stessa, coordinando messaggi tra i fan, immagini cifrate e coagulando tutto infine nelle canzoni, non c’è più. Per parafrasare l’artista, “la vecchia Taylor è morta”. Quella che abbiamo oggi è intrappolata in un bisogno di rissa che è sempre più estenuante. Come la sua musica deve annaspare tra riferimenti vecchi e produzioni scolastiche, anche le sue liriche sono prive di idee e si accontentano di un altro dissing per far girare la ruota ancora.

Naturalmente il bisogno di canzoncine acide e indispettite non manca mai, anche se c’è qualcosa che non torna se la cantautrice più ricca di sempre sente il bisogno di tornare continuamente sugli stessi binari consunti. Bisogna anche dire che in passato ha scritto dissing molto migliori di questo: Look What You Made Me Do, o Bad Blood, o Karma, tanto per citarne tre completamente diverse tra loro. Tutte ingegnose, tutte spassose. Ma qui il divertimento è agli sgoccioli, come capita quando si ripete una formula fino al punto di non capire più perché la si sta ripetendo. Giudizi morali a parte, è la noia il fattore decisivo di questo brano permaloso e miope, musicalmente poco ingaggiante, senza spinta, senza niente se non la voglia di fare traffico. Se la più grande popstar del mondo e la più grande leggenda vivente della produzione pop non riescono a intrattenerci, abbiamo un problema ben più grosso delle manie di persecuzione di una bulla di 36 anni.

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Federico Pucci è un giornalista musicale. Ha collaborato con ANSA dal 2012 al 2019, occupandosi di spettacoli e cultura per la sede di Milano. Tra il 2020 e il 2023 ha diretto il magazine musicale online Louder, creando e producendo oltre 200 videointerviste e format originali. Nel 2019 ha scritto un libro sui sessant'anni di storia di Carosello Records. Ogni settimana pubblica una newsletter chiamata Pucci.
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