Le mille vite di Ghemon: “Faccio stand-up ma non ho smesso di fare il cantante, alcune cose mi stavano stancando”

Cosa succede quando tutta Italia ti riconosce come un rapper prima e un cantante in uno spettro più ampio, poi, fai Sanremo, album amati e poi decidi di fermare tutto quel percorso per darti ad altro? Lo abbiamo chiesto a Ghemon, uno degli artisti più riconoscibili e apprezzati di questi anni che dopo 6 album e due partecipazioni in gara al Festival di Sanremo con Rose viola nel 2019 e con Momento perfetto nel 2021 ha deciso di aprirsi un'altra strada, quella della stand-up comedy, ottenendo successi, non senza affrontare diffidenze e vere e proprie difficoltà. Potremmo citare Whitman e il suo "contengo moltitudini", ma tutto quello che doveva dire, lo ha fatto nel libro Nessuno è una cosa sola (Rizzoli), in cui racconta, giocando (ma neanche tanto) con i libri di mindfulness: un diario del cambiamento, interiore, innanzitutto, non solo di lavoro e come è arrivato a capire che fare ciò che voleva era più soddisfacente – anche se, almeno inizialmente più difficile – del fare ciò che gli altri si aspettavano da lui. Anche perché oggi Ghemon non ha sostituito ciò che era precedentemente, ma ha allargato, appunto, il sé: è uno stand- up comedian, un maratoneta ed è ancora un cantante, come dimostra l'album uscito a gennaio e i feat che continua a pubblicare.
Preferisci che ti chiami Ghemon, Gianluca o signor Grottaminarda (nome d'arte usato quando ha fatto serate di stand up)?
Come preferisci, va bene, Gianluca ultimamente è più gettonato.
A proposito di etichette, cosa scriveresti sulla carta d'identità oggi?
Scegliere una professione è complicato: tante professioni diverse, una persona sola, ma alla fine sempre io sono, che è quello che mi fa piacere. Mi piace che una cosa non escluda l'altra, scrittore non esclude il cantante e comico non esclude il maratoneta, sono sempre la stessa persone e finalmente, anche con un po' di giri di boa dovuti all'età, le persone sono passate dalla confusione al vedere questi cambiamenti come versatilità.
Nel tuo diario racconti che sei arrivato a questa prenderti questa libertà dopo un sacco di tempo: come ci sei arrivato e cosa ti ha spinto a organizzare i pensieri per scriverlo?
Ci sono arrivato dopo un sacco di tempo, è vero, e a volte anche perché chi ti circonda tende sempre a essere molto conservativo. Tutti ti dicono: "Ma dove vai? Stai qua, resta con noi! Perché devi fare pure quest'altra cosa? Rischi di prenderti una delusione". Probabilmente se fossi stato anche più incoraggiato a sentirmi libero di essere quello che volevo certi passi li avrei fatti molto tempo prima, anche solo mettermi a cantare oltre a fare semplicemente rap. L'ho menata a tutti quanti, a me stesso per primo, per 10 anni.
Come mai?
È stato proprio difficoltoso prendere il coraggio, perché alla fine quello che accomuna tutti nella vita, oltre all'epilogo finale, è la paura del giudizio, quindi certe cose non le si fa perché abbiamo sempre paura. A un certo punto, però, ho capito che al netto di come potevano giudicarmi gli altri, la spinta verso il potermi esprimere nei modi che mi piacevano era più forte, quindi le cose le ho fatte affrontandole di faccia.
Com'è stata l'accoglienza dei fan di Ghemon a questa nuova veste?
È stato un passaggio misto: una bella fetta di coloro che già mi conoscevano forse si era appassionata a me proprio perché questa era la mia cifra, cioè voleva essere anche sorpresa o portata per mano in altre esperienze, in altre cose, gli faceva piacere che io non mi ripetessi. Loro sono stati molto accoglienti, ci sono fan storici che mi hanno detto che quando faccio la stand up comedy rivedevano le stesse cose di quando 20 anni fa feci il mio primo disco rap, ci rivedevano la stessa persona, più o meno lo stesso linguaggio, e questo è bello. Ci sono altri a cui, invece, non è proprio arrivato questo passaggio perché l'algoritmo crea un livello di distrazione costante, quindi quotidianamente c'è chi mi dice: "Ma io non lo sapevo che facevi stand up!". Anche io, però, non li ho aiutati.
Perché?
Perché mentre facevo le mie serate ho protetto molto questo suo processo – come si fa nella stand-up -, chiedendo di non postare video online, perché capita che vedi le battute, le conosci già e quando sei dal vivo diventa tutto meno interessante. Insomma, ho protetto questo percorso anche per poterlo fare senza essere giudicato o senza avere un pregiudizio, perché qualcuno avrebbe potuto dire: "Ah, mi piaceva di più come cantante". Aver avuto questi 3 anni per crescere, facendo tanta pratica, mi ha aiutato. E poi c'è qualcun altro che semplicemente mi dice: "Io ti ascoltavo prima". Quando mi succede, e mi è sempre successo, mi dà solamente la consapevolezza che come cambio io c'è anche un ricambio delle persone che ho davanti: mi domando quale negozio, quale ristorante, quale attività ha gli stessi clienti per 40 anni. Naturalmente c'è un ricambio, ci sono persone che saranno per sempre affezionate e persone che ritorneranno 10 anni dopo, quindi la prendo un po' come una conseguenza quasi inevitabile di quello che faccio, non li posso tenere tutti quanti lì. L'importante è avere una coerenza nella maniera con cui faccio le cose.
Senti, com'è raggiungere un risultato e poi dover ricominciare daccapo?
Ricominciare daccapo è bello sempre, ma anche molto difficoltoso, soprattutto quando si è adulti, ti sei fatto un nome e una reputazione; farsi un'esperienza da altre parti non è facile soprattutto se, come è stato nel mio caso, non ho cercato la strada più semplice. Avrei potuto fare le mie serate miste in cui cazzeggiavo un po', facevo le battute e le canzoni che il pubblico voleva, ma mi sembrava una cosa monca, non mi sarei riuscito a esprimere bene e non avrei capito se questa cosa che mi piaceva fare, che tenevo nel cassetto da tanto tempo, ovvero la stand-up comedy, mi potesse servire da banco di prova per capire ancora che cosa ho da dire. Anche perché gli argomenti che affronto con la comicità non sono gli stessi che riesco ad affrontare con la musica.
Sono linee che non si incontrano mai?
Con la stand up riesco a dire delle cose molto più terra-terra e a trovarci anche la mia chiave, il mio punto di vista, il mio senso. Questo genere di comicità ha l'errore come una delle facce della medaglia: devi uscire, provare i pezzi prima che andrai a fare lo spettacolo ed è una cosa che faccio settimanalmente più e più volte, cioè prendo degli appunti, ho delle osservazioni, ho dei pensieri, esco, provo, certe volte ci sono 20 persone, altre ce ne sono 200 e la risata è o dentro o fuori: se la cosa fa ridere entra, se no la devi buttare. Ti dà fastidio da morire ma torni a casa e sistemi. Quindi, forse la cosa più bella di questo rincominciare daccapo è accettare, da adulto, che l'errore fa parte delle cose che riescono.
Com'è il passaggio dall'avere un pubblico che è lì per te, che conosce ogni tua canzone e ti adora, a un pubblico che non sai come risponderà?
Ti direi una bugia se ti dicessi che è solo la cosa più bella e divertente del mondo, ma comunque è la cosa più vera e reale del mondo. Poi l'idea che ci siano solamente dei fan adoranti è una bugia, perché il mondo è fatto da tante altre persone. Mi piace questo rapporto di fiducia per cui loro si fidano del fatto che io mi prendo la libertà di provare delle cose nuove, del mio gusto, della mia "secchionaggine". Sanno che se mi avventuro in una cosa non è proprio un'avventura, ma lo faccio per passione. Dall'altro lato c'erano delle cose della liturgia del cantante che posso dire tranquillamente mi stavano rompendo proprio le palle, non mi riguardavano più. Che non significa che ho smesso di fare il cantante, tutt'ora lo sono.
Cosa ti stava rompendo le palle?
Iniziavano a esserci delle cose in cui doveva esserci troppo calcolo e cominciavo a vederci una mancanza di verità, un distacco dalle persone. A un certo punto dovevo ipotizzare di fare una cosa che sarebbe potuta piacere ai miei fan o a determinate persone. Diciamoci la verità, io sono anche un timido, quindi faccio ciò che faccio perché mi piace la parte creativa, la creatività, quindi l'idea di dover sempre assoggettare la mia attività creativa a dinamiche che non sempre dipendevano da me era un problema. Preferisco essere libero.
Prima dicevi "Io sono ancora un cantante". Nel tuo spettacolo unisci stand up a canzoni nuove, non ci sono le hit. Esiste ancora quel Ghemon pre stand-up?
Assolutamente sì…
Quindi succederà che ci metterai anche canzoni vecchie?
Penso che succederà, ma credo che questa strada che è appena iniziata e questa idea anche di contenitore molto più vicina al teatro canzone, seppure con una forte impronta comica, sia un format che in questo momento mi piace perché è molto dinamico.
In che senso?
Perché può essere sistemato. Quello che ho concluso, "Una cosetta così", è uno spettacolo in cui le cose sono state mobili fino all'ultimo. All'ultimo spettacolo abbiamo debuttato una canzone che in quelli precedenti non c'era perché in quel momento era il giusto incastro tra un monologo e un altro. Nei tempi in cui viviamo, in cui si è costretti a far uscire i singoli su Spotify di continuo per non perdere l'attenzione del pubblico, ho fatto più o meno la stessa cosa, ma dal vivo dove secondo me tutto si realizza. Io non la vedrei così tanto naif come soluzione, cioè è una soluzione per replicare a modo mio a quel genere di richiesta. Mi devo dedicare a fare le cose che mi piacciono, come mi piacciono, altrimenti, come tutte quante le cose che faccio, la mollo nel momento in cui sta per esplodere e non va bene. Secondo me questo è il mio genere di format, quello in cui riesco a muovermi liberamente.
Torneranno i concerti?
Secondo me sì, ma che io ti dica "tornano l'anno prossimo" non lo so, ho fatto tutto questo per sentirmi libero di farlo quando ne sentivo il desiderio.
Il rapporto con la scena musicale come è cambiato?
Frequento molto di più la scena della stand-up, una scena emergente che mi ricorda moltissimo la scena del rap quando io ho iniziato, a metà anni 90, perché ha dinamiche molto simili. La stand-up è una cosa improntata sulla parola, sul ritmo, così come il rap può parlare di una cosa che è successa 3 minuti prima o nel pomeriggio, ha una velocità che altri linguaggi faticano ad avere. I colleghi della musica li vedo di meno perché frequento di meno quel genere di situazioni, anche se con tante persone i rapporti sono sempre rimasti bellissimi. Non vorrei mai che il pubblico, non vedendomi a Sanremo o al premio tal dei tali, all'Arena di Verona, immaginasse la cosa come la caduta degli dei, dovrebbero vederla di più come una scelta, cioè ho scelto di prendermi una casa al mare invece di stare in centro a Milano.
Tra l'altro continui a fare featuring, non è che hai smesso…
Tra l'altro, ecco, in tutto questo mi dicono: "Ma torna a fare musica!". Il disco dello spettacolo è uscito a metà gennaio e dentro ci sono cinque canzoni. Poi sono usciti altri due featuring che comunque sono canzoni e credo che nei prossimi mesi ne usciranno almeno altre tre, quindi sarebbero 10 canzoni nuove, l'equivale di un disco. È come quando dicevano "No, ma Ghemon ha smesso di rappare".
C'è stato un cambiamento…
C'è stato un cambiamento ma le cose non sono così tanto cambiate. Si va molto spesso per frasi fatte, non è vero che smetto di fare cantante.
Come si combatte il rischio di copiare o ripetere, involontariamente, battute già fatte col rischio di passare per ladro di battute?
Quello è molto complesso perché con la musica può vagamente sembrare una citazione, invece per quanto riguarda le battute, guardando anche tanti contenuti social, c'è proprio il rischio che una cosa ti rimanga lì e che tu faccia una battuta dal vivo convinto che quella quella battuta sia tua e poi qualcuno ti dice: "Oh, ma questa sta battuta era mia".
Ti è successo?
Certo, mi è successa ed era anche una battuta molto bella e infatti non era mia. Io ci scherzo, ma questa cosa può succedere, quindi a un certo punto cerchi anche di stare un po' di più sulle tue riflessioni, stare attento a rendere quanto più personale possibile il tuo punto di vista, perché a quel punto non è la battuta quello che sta sul palco, ma sei tu.
La stand up, ultimamente, deve anche fronteggiare la questione del cosiddetto politicamente corretto, il "non si può più dire niente", che idea ti sei fatto?
È una istanza nuova con cui mi confronto tutti i giorni perché la mia musica non aveva quel genere di contenuti. Ho capito che la rete e i video non spiegano mai bene che nella comicità è fondamentale il contesto. Quindi determinate cose dette, anche in modo molto scorretto, in un contesto comico, da un comico, hanno un significato, dette da un'altra parte o al telefono tra due politici hanno un altro significato. Questa cosa andrebbe sempre tenuto in considerazione. Il resto sinceramente sta un po' al buon gusto del comico che sta sul palco.