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Karima, ex Amici: “Oggi canto di più di chi sta in Tv, la gente mi sceglie. I tormentoni li lascio a chi fa pop”

Karima Ammar Mouhoub si confida: 23 anni di carriera, dalla Rai ad Amici 6, fino a Canta Autori. Una vita di musica, incontri, da Pino Daniele a Fabio Concato, fino ai musicisti di Thriller di Michael Jackson. Qui l’intervista.
A cura di Vincenzo Nasto
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Karima, via Comunicato Stampa
Karima, via Comunicato Stampa

Karima Ammar Mouhoub, ex concorrente di Amici 6, si è raccontata dopo 23 anni di musica, dai primi concerti alla fama televisiva che l'ha vista protagonista ancora minorenne a Domenica In, ma non solo. Tra l'incontro con Pino Daniele e il Festival di Sanremo con Burt Bacharach, qui il racconto della cantante, in giro dallo scorso maggio con il nuovo album Canta Autori. Qui l'intervista.

Come stai?

Bene. Ormai sono 23 anni che canto, anche perché ho iniziato a lavorare in Rai a soli 16/17 anni. Ma posso dire che quest'estate, quella 2025, è sicuramente la più impegnativa di sempre: sono in tour da 3 mesi e con oltre 40 concerti. Mi fanno sorridere le persone che ormai pensano che, se non sei in televisione, non sei famoso.

Ti accade spesso?

La gente che mi vuole bene e mi segue da Amici molte volte mi ferma per chiedere dove io sia finita e perché non canto più.

La risposta?

Io canto più di quelli della televisione, perché questo circuito è il mio, quello dove mi sento a casa, curata e riconosciuta, e dove riesco a essere me stessa. Canto in in contesti bellissimi: festival, chiese, abbazie. Tutti eventi di grande classe e prestigio, con un pubblico che viene ad ascoltare e ti sceglie.

Come arriva Canta-autori, il tuo ultimo disco?

In realtà è stata una richiesta del mio pubblico. Anche perché, chi mi ha seguito ad Amici, ricorda che ero conosciuta per aver interpretato molti brani in lingua inglese (come Whitney Houston). Ma quando ho iniziato a inserire nei miei live brani italiani – ho iniziato da Pino Daniele – per vedere la reazione, ho percepito l’entusiasmo e ho capito che era la strada giusta. Bisogna valorizzare quello che abbiamo: questo è il compito che mi sono data con Canta Autori, ricordarci chi siamo, mantenere la bellezza e la riconoscibilità della melodia.

Amici non ti aveva dato una spinta in quel senso?

Io ho iniziato a studiare canto dopo Amici: sono arrivata lì da autodidatta, ma con la consapevolezza di avere un talento. Dopo quell'esperienza ho cominciato a studiare seriamente: ascoltavo e ripetevo, ore e ore nella saletta a studiare, per poi portare tutto sul palco.

Che sfida rappresenta interpretare classici della cultura musicale italiana?

Non credo di aver fatto solo "un disco di cover", per niente. Io ho preso per mano un brano e l'ho portato completamente altrove. Anche per la modalità con cui lo abbiamo registrato, come in tutti i miei dischi precedenti, come fossero dei concerti in diretta. Ho fatto due, massimo tre esecuzioni per traccia, perché se vuoi un disco che contenga emozione, non puoi farlo in 50 take: l’emozione si perde.

La prima volta che hai sentito la tua voce registrata.

Io vengo da una famiglia con madre italiana e padre algerino e la musica è entrata in casa fin da quando ho ricordi. Penso alle cassette di Celentano, ma ricordo anche che quando eravamo più piccoli e mi chiedevano cosa volessi fare da grande, non ho mai risposto la cantante. Amavo i bambini e volevo lavorare in futuro con loro.

Poi cos'è successo?

Crescendo, ho cominciato a vivere la musica come una droga. Passavo pomeriggi e nottate su MTV, rifiutavo di vedere film sul divano, mi sembravano una perdita di tempo perché la musica era la mia unica passione.

Il primo momento in cui hai capito che poteva diventare un lavoro?

Credo a Domenica In di Mara Venier. Lei doveva selezionare 50 ragazzi per 35 puntate: io arrivo lì e canto Whitney Houston, ma ero ancora minorenne. Non avrei neanche potuto fare quel provino.

E poi?

Lei mi voleva assolutamente e abbiamo dovuto trovare un accordo che mi tutelasse: avevo 17 anni e stavo per prendere il mio primo stipendio in Rai. Avevo già cominciato a lavorare qualche anno prima, a 15 anni: cantavo per alcuni matrimoni, ma anche in rassegne e jam sessions. Ho fatto la vera gavetta.

Qual era la paura più grande dopo il trasferimento così giovane?

Non riuscirci, anche perché dal punto di vista organizzativo, mia madre mi ha insegnato tutto. I miei si sono separati abbastanza presto e ho conosciuto mio padre solo a 17 anni. Sono cresciuta con lei che era invalida, poiché aveva la poliomelite. Insomma, questa cosa si è trasferita anche con mia figlia, perché nel frattempo sono diventata una macchina da guerra.

Qual è stata la tua ricetta? Cosa ti ha aiutato?

La meditazione e lo yoga, sono diventata anche una maestra dopo aver frequentato un corso per 4 anni. Ma anche un'alimentazione corretta: spesso, per la mia generazione, lasciarsi andare a droga, alcol sarebbe stata la scelta più semplice. E invece cerco di mantenere il mio equilibrio.

Un passo avanti invece: come arriva Amici?

Nei tre anni che passano tra la Rai e Amici io ho continuato a cantare, fatto anche festival jazz, ma soprattutto avevo chiaro in mente cosa avrei voluto fare. Io ho subito visto Amici come un’opportunità di farmi conoscere dal grande pubblico e poi utilizzare questa opportunità per tornare a fare quello che volevo. Ed è un po’ quello che ho fatto. Infatti io ho detto di no a dei musical, qualcosa in cui ero stata coinvolta e che avrebbe potuto far gola a mole persone.

Com'è stata la selezione nel programma?

Durissima. Io non avevo raccomandazione, ho fatto dei provini che erano difficilissimi: scegliere 4 artisti, 2 donne e 2 uomini tra 8mila persone. Ho fatto 3 mesi di provini e poi è arrivato finalmente il momento in trasmissione.

Come ti sei sentita?

Eravamo in tanti e, rispetto a ciò che si dice, nessuno conosceva il proprio destino. Quando mi è stato detto, dopo l'esibizione, che sarei entrata è stata una liberazione.

Un posto che hai dovuto difendere.

Sì, anche perché il pubblico si chiede perché litigavamo così tanto, ma noi quel posto lo avevamo conquistato con il sangue, con la lotta, con le unghie. Guai a chi mi vuole buttare fuori.

E quando sono arrivate le sfide?

Cantavi come mai avresti potuto cantare nella vita. Poi c'era il Serale e lì avremmo fatto di tutto per proteggere quella posizione, anche ballare, fare musical. Alla fine sono arrivata in finale perché quel posto l'ho desiderato e me lo sono conquistato. Non solo in quei mesi, ma nei 10 anni precedenti in cui avevo fatto gavetta.

Cosa ti ha insegnato, a livello tecnico, la trasmissione?

A livello tecnico, devo essere sincera, quasi nulla. Invece mi ha dato tanto nel gestire l'elemento televisivo, rispettare i suoi tempi e le pressioni, ma anche suonare con un'orchestra di 42 elementi.

Credi che la tua partecipazione abbia influenzato anche il registro musicale futuro del programma, che si è allargato anche alla musica black e jazz, per esempio?

Sicuramente e credo che i complimenti più grandi che ho ricevuto nella mia carriera siano arrivati dal pubblico che mi scriveva che avevo fatto conoscere loro alcuni artisti ma anche canzoni come Georgia on my mind di Ray Charles.

È stato al centro anche di una polemica durante la finale, vero?

Ho dovuto lottare tantissimo per averlo in finale, anche se faceva parte dei miei cavalli di battaglia. Mi continuavano a ripetere che non era un brano televisivo, ma rispondevo che erano 6 mesi che cantavo quello che volevano loro, anche Paola e Chiara. Volevo chiudere la trasmissione con chi ero io, veramente. Poi arrangiato dal maestro Beppe Vessicchio: lì sì, è stato un vero momento di musica.

Come ti è sembrato il Festival?

Mi dispiace solo che Sanremo oggi sia molto diverso. Un tempo era la scoperta di nuovi talenti, oggi spesso sembra una gara di popolarità basata sui follower. Il Festival della musica italiana, che ha 80 anni di storia, rischia di essere vittima di dinamiche che con la musica hanno poco a che fare.

Rappresenta ancora un capitolo aperto della tua carriera?

Io vorrei tornare a Sanremo, ma con la consapevolezza di oggi: 16 anni di carriera, concerti, dischi. Non sarebbe come la prima volta, quando ero poco più di una ragazzina. Sarebbe un momento consapevole, un’esperienza di vita. Sanremo è televisione, certo, ma anche un palco unico dove, in due minuti e mezzo, concentri tutto il meglio di te, la tua energia, e mostri chi sei davvero. Però adesso comprendo le dinamiche del Festival e mi rendo conto di ciò che arriva nelle abitazioni delle persone, e non mi serve.

Alla tua prima partecipazione, mancava forse qualche rete di sicurezza? Che ricordi hai?

Me lo ricordo benissimo, per tranquillizzarmi mi dicevo che quel teatro alla fine, in tutti gli altri giorni dell'anno era solo un cinema.

Ha funzionato? 

Zero (ride n.d.r)

E di quelle serate?

La discesa delle scale: la prima sera avevo paura di cadere perché avevo un tacco 15. Durante la serata cover avrei avuto sul palco con me Burt Bacharack che mi chiamo dicendomi che non avrei potuto indossarli, perché avrei dovuto accompagnarlo e saremmo potuti cadere sulle scale.

Come fu la discesa?

Lui aveva all'epoca 84 anni e mi chiese di accompagnarlo con il braccio, mi ripeteva: "Non lasciarmi fino alla fine delle scale". Lo accompagnai fino al pianoforte, mi sciolse un po' di tensione. Solo qualche anno prima, c'erano state più cadute e non potevamo permettercelo.

Pensi che saresti potuta essere in un punto diverso?

Alla fine, nei miei concerti, vedo che la gente ha bisogno di emozioni e leggerezza. E questo, secondo me, è quello di cui ha bisogno, e non solo. Ciò che passa in giro, è un po' quello che viene imposto dalle radio. Poche volte le radio propongono qualcosa di interessante, ma sono davvero rare. Anzi certe volte, mi sono trovato a cantare canzoni di dubbio gusto, solo perché diventano un tarlo. Su 21 radio, 20 ti fanno suonare la trap: se non è imposizione, poco ci manca.

E il pubblico?

Non è stupido, è solo meno consapevole. Però poi va ai concerti, quelli in cui si canta musica vera. Semplicemente c'è questa abitudine a seguire i download, gli streaming, che non hanno niente a che vedere con la musica. Questo è il mio punto di vista, nato dalla mia esperienza.

Mai tentata la strada del tormentone?

Chi oggi fa la canzone dell'estate o partecipa a Sanremo, non fa un concerto. È solo e sempre ospite. I tour li fanno quelli come me, che fanno parte di una realtà che non è pop. Anche se sento con le mie esperienze televisive, come ai Migliori anni anche, non posso dirmi esterna. O li fanno i grandissimi, Giorgia, Ramazzotti, Vasco Rossi, Baglioni e Pausini. La fascia centrale non ha un tour. Ho pensato alcune volte che potrei andare domani da un mio amico autore per chiedergli di scrivere un pezzo bomba, capace di far cantare e ballare. Ma racconterei una storia che non mi rappresenta. L’onestà verso il pubblico che paga il biglietto è fondamentale: non si può raccontare una bugia.

C'è stato un momento di buio?

Negli anni ho fatto un percorso a intermittenza con una psicologa: so quanto sia importante. Ho imparato che ogni progetto richiede un approccio diverso. Ora sto lavorando anche sull'accettarsi e vivere il palco con leggerezza, vivere con gratitudine. Tre anni fa ho perso mio padre un incidente stradale, ho perso una mia amica e anche il mio ex manager e amico, questo mi ha fatto capire quanto la vita sia un soffio. Ho iniziato a dare valore a ogni singolo concerto e a ogni persona presente. Siamo noi a dover avere in mente il cambiamento, non aspettare che arrivi da fuori. Sto imparando a dirmi brava.

E invece i ricordi più felici?

Ho conosciuto Pino Daniele, sono stato a casa di Burt Bacharach. Quando abbiamo lavorato al disco che aveva scritto per me, negli Stati Uniti ho cantato in 3 studi, di cui uno era il riferimento principale di Frank Sinatra. In un altro, visto che registravamo in maniera analogica, la mia voce era passato negli stessi fili utilizzati da John Lennon. Avevo 22/23 anni e pensavo semplicemente a crescere senza godermi il momento.

C'è ancora qualcosa che non riesci a comprendere appieno?

Quando ricordo i musicisti, il dream team di registrazione, del mio disco negli Stati Uniti. Bacharach lo descriveva così perché erano i 4 che avevano lavorato a Thriller di Michael Jackson, tutto il disco. A un certo punto, in una pausa del tecnico, incomincio a cantare Human Nature, e tutti i musicisti mi hanno seguito. Per me queste sono cose inspiegabili ancora, da pelle d'oca. Vaglielo a raccontare a quelli che fanno trap a Sanremo.

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