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Gianna Nannini: “Sono rinata senza genere, elimino così la conflittualità maschio-femmina”

Si chiama Sei nell’anima il nuovo album di Gianna Nannini che affronta il suo amore per la musica black mescolando rock, blues, gospel e soul.
A cura di Francesco Raiola
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Gianna Nannini (ph Luigi&Iango)
Gianna Nannini (ph Luigi&Iango)

Sei nell'anima non è più solo la canzone che dopo America, nel 1984, diede a Gianna Nannini la fama nazionale e internazionale. Questo titolo, infatti, oggi è stato preso in prestito dall'artista senese per dare un nome a un album in cui riscopre e approfondisce la propria blackness, i suoi miti blues e soul che in italiano si traduce proprio con "anima". È una Nannini che con la sua voce roca e l'aiuto di Raige affonda le mani nella tradizione nera, ispirandosi ai suoi miti, come Etta James, di cui fa una cover, e Otis Redding, senza mai perdere di vista la sua amatissima Janis Joplin. Ed è un album in cui racconta la sua rinascita, ma lei preferisce chiamarla semplicemente "nascita", che avvenne nel 1983, quando si rese conto che doveva crescere e capì che il suo destino era scrivere hit, come sarebbe puntualmente accaduto. Il nuovo progetto della cantautrice prevede anche un libro e un film che sarà disponibile su Netflix. Qui ne ha parlato con Fanpage.

Come mai l'idea di risemantizzare un titolo come Sei nell'anima, e allargarne il significato a quest'album?

Perché anima è una parola molto difficile da capire in altre lingue. Avevo voglia di riprendere un discorso lasciato in sospeso all'epoca di California, quando avevo approfondito tutta la musica afroamericana, Otis Redding, Janis Joplin, e la voce mi si è formata con questi grandi della musica soul: la mia prima idea era quella di usare canzoni già esistenti, farne delle cover in italiano, per far sentire come anche nella nostra lingua un pezzo soul avesse la stessa credibilità. Grazie, appunto, a una voce come la mia che è molto particolare, più nera che bianca, almeno così veniva definita dai miei produttori. All'epoca lasciai questo percorso, nel frattempo stavo facendo una musica più vicina alla mia identità musicale, dalla Toscana e gli stornelli, al ripassare tutta la tradizione popolare e farla diventare sinfonico rock, con una lunga ricerca. Mi mancava questa parte black, che era un sospeso, mi dissi che avrei dovuto trovare prima la mia identità e poi un giorno avrei trovato quella strada, perché alla fine è solo una, è soul: ci dovevo arrivare.

Da qui il nome…

Certo, come potevo chiamarlo? Soul? No, lo dovevo chiamare "Sei nell'anima", ma con canzoni nuove perché sarebbe stato il mio grande progetto. Sei nell'anima è già molto vicino a questo, quindi sono partita da quella, perché ho ritrovato la mia essenza. Questo progetto è molto diverso dagli altri dischi perché viene da dentro, dall'intimità, è più implosiva che esplosiva del mio genere, dovevo dare per forza questo titolo.

Ti sei messa a studiare di nuovo?

Guarda, ho fatto tutte session, ho solo collaborato con autori più adatti a questo tipo di musica, trovandoli sia in Inghilterra che in Italia: abbiamo messo insieme degli accordi in cui io improvvisavo, senza pensare, senza rifarmi a nulla, con l'ispirazione del momento.

E come mail il lavoro con Raige?

L'idea di lavorare con Raige, che viene dal rap, nasce perché lui è più vicino a questo tipo di musica, a questo modo di parlare delle donne della tradizione afroamericana, tipo "Big Mama" Thornton: era un linguaggio molto street, diretto, cercavo quella parola quasi improvvisata, non abbiamo mai fatto cose studiate a tavolino.

In 1983, canzone che dà il via all'album parli di questa nascita dell'83, me la racconti?

Ci vorrebbero parecchi libri: tutto deriva da questo libro che si chiama "Cazzi miei", in cui si racconta di questa cosa che mi è successa in quell'epoca, quando vivevo in Germania per fare il disco, e persi la coscienza di me. In quel momento è come se fossi stata scambiata con una nuova personalità dedita alla musica e a scrivere hit, ero votata a scrivere hit, e infatti le ho scritte. Ho scoperchiato questo cappello e tutti i problemi sono andati via, dopodiché ho fatto 10 anni di psicanalisi, da lì è stato tutto più immediato e ho cominciato a scrivere canzoni con maggiore ispirazione. Questa cosa ha significato nascere, perché prima vivevo come una bambina di pochi anni e pian piano sono tornata in me.

Interessante, anche perché nel '79 avevi già scritto America, quindi avevi già idea di cosa volesse dire scrivere una hit, no?

Quella era stata una hit europea, l'Italia non era ancora un rock più italiano, il tragitto è stato breve prima dell'83, ci voleva questo total tilt del cervello, per farmi scrivere.

In quest'album black, non manca il rock, oggi cosa significa, per te, questa parola?

Quello che è dirompente, ancora oggi, è che puoi farlo a qualsiasi età, basta cambiare connotati: i suoni cambiano, gli strumenti cambiano, le persone dicono altre cose, ma il rock inteso come espressione di fisicità è sempre più attuale, mentre inteso come linguaggio retrò non mi piace più: le chitarre lesse che fanno riff già sentiti mi danno un po' fastidio. Questo brano, 1983, che dà il via all'album, è come un'apertura, come dire "Torno live". È un brano "One, two, three, four" e si parte, poi l'album va su altri lidi e prende una strada musicale completamente diversa.

In questo pezzo canti anche "Sono nata senza genere" che è una delle cose più attuali che potessi cantare, no?

Nascere senza genere vuol dire uscire dai conflitti e dalle divisioni sociali di bianco, nero, bianco, femmina, della colpevolezza e tutto il resto. Nascere senza genere per me è eliminare questa conflittualità maschio femmina, che è sempre più preponderante in questo momento.

Tu vieni considerata una precorritrice per quanto riguarda il femminismo e il cantautorato femminile.

Sì, all'epoca c'erano poche donne, per anni la donna era stata interprete. Io quando ero piccola scrivevo già le canzoni, era una cosa naturale, mi veniva da scrivere, benché non ascolti tanto le altre canzoni, le scrivo su quello che sento dentro. Non ho mai avuto miti, a parte Janis Joplin che mi serviva come riferimento vocale, invece di avere un coach avevo lei. Conta che di Joplin so tutto, perché volevo vendicare la sua storia, volevo dire che non si può morire per il rock ‘n' roll, è stato come avere un'amica del cuore che muore e volevo vendicarla.

Cantavi "Ti avevo chiesto solo di toccarmi" e all'inizio eri inclusa nella categoria del femminismo come se fosse una gabbia: oggi che rapporto hai con questa parola e questo movimento?

Io ero una di quelle che faceva concerti all'interno delle Feste dell'Unità, organizzati per il femminismo, e sono stata anche contestata un paio di volte. Ricordo che al Teatro Uomo – che paradosso, eh! – di Milano, una si alzò dicendomi che non erano canzoni femministe e io le dissi che aveva ragione, e partì il dibattito, anche perché all'epoca non è che cantavi e poi partivano gli applausi, dopo o ti mandavano a fanculo o c'era un dibattito, però non mi sono fermata per questo: cantavo cose molto intime, mie, dell'adolescenza, non pensavo di inquadrarle politicamente.

E oggi il tuo rapporto com'è?

Per me la musica deve essere lontana dalla politica, perché questa la fai nel tuo modo di muoverti e vivere, sei rock o non lo sei, è già una scelta politica, come lo è nascere senza genere. Trovo che il mondo femminile, femminista o libertario, come nel mio caso, si sia evoluto in tempi diversi, e in base ai Paesi. In alcuni posti c'è un modo di pensare ancora coercitivo nei confronti di una donna, quindi la lotta degli atri è bene che la facciano loro, tu puoi partecipare a delle battaglie sul luogo, ma credo che ogni Paese abbia il suo femminismo, così come ogni Paese ha il suo blues e il suo soul e la prima battaglia la fai in casa, in famiglia, oltre che con te stessa.

Com'è cambiata l'attesa verso l'uscita dell'album, con le classifiche, con i numeri?

Oggi il vantaggio del telefono è che hai il disco immediatamente a portata di mano, mentre prima dovevi avere un oggetto molto grosso. Io mi sono formata sui dischi in vinile, sentivo quelli, ora non sento quasi più niente perché mi manca la frequenza, sento un brano e mi viene subito a noia, serve per imparare a memoria la canzone, ma non per entrarci emotivamente, spesso non riesco a sentire una canzone più di una volta su Spotify, perché amo la musica dal vivo. È importante, in questo momento, non far mancare la parte fisica del disco perché tutti quelli che lavorano nella musica se no non fanno più niente: digitalizzare la musica è prêt-à-porter, va bene, deve esserci anche questa possibilità, però neanche interrompere il fare un bel disco, come cerco di fare anche io.

Poi c'è il tour…

Il tour è la cartina di tornasole del disco che hai fatto, come viene recepito dai fan, dal pubblico, la partecipazione emotiva, se quello che ho provato io lo provano gli altri, è uno scambio di momenti che è bello condividere.

Hai fatto successi in un arco temporale enorme, credi che oggi sia ancora possibile oppure la dittatura dei numeri e dello streaming rende impossibile avere una carriera così duratura?

No, oggi puoi avere una carriera corta, magari va bene l'intensità, ma non ci sono gli strumenti e soprattutto i produttori che ti fanno crescere coi tempi giusti, c'è una compressione incredibile, uno spremere continuo, usa e getta. Non basta avere successo, per me la musica è ricerca continua, ma chi te la fa fare? L'indipendenza, perché io vendo il disco e mi finanzio da me: bisogna dare importanza alla musica, per questo ci ho sempre investito, pochi riescono ad avere questa possibilità di crescere, forse nessuno, anche se non vorrei essere negativa, ma la tendenza è quella di spremere e ciao. La parte artistica dura tutta la vita, è una crescita, un viaggio nell'ignoto.

Non si dà la possibilità di fallire…

No, se sbagli sei fuori. A me era successo questo, poi nell'83 sono risalita.

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