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Dente: “Ho fatto della mia vita una performance, ma sono vero. L’indie? È morto quando è diventata un genere”

Dente ha pubblicato l’album Santa tenerezza, un lavoro che lo conferma come uno dei migliori cantautori italiani. In questa intervista a Fanpage il cantautore racconta l’amore, la scrittura, le frustrazioni e le gioie di questi ultimi anni.
A cura di Francesco Raiola
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Dente - Lorenzo Stefanini
Dente – Lorenzo Stefanini

Si chiama Santa tenerezza l'ultimo album di Dente, uno degli artisti che hanno scritto la Storia del cantautorato e dell'indie italiano, riuscendo a crearsi un pubblico quando non era scontato e soprattutto mantenendolo oggi che l'indie non esiste più come prima e la musica si è moltiplicata a livello esponenziale. Giuseppe Peveri – vero nome del cantautore – però continua ad andare dritto per la sua strada. Una strada che non è stata facile, che ha incontrato frustrazioni e dolore, parte di quel dolore – quello amoroso – è diventata benzina per la scrittura delle sue canzoni, mentre le frustrazioni sono servite per rendersi conto che non aveva senso correre appresso a un'idea effimera di successo e oggi, ci dice, ha fatto pace anche con quel momento, oltre che con una delle sue canzoni più amate, Buon appetito. Santa tenerezza è un album scritto di getto, con le canzoni nate grazie a un'onda strana che lo ha attraversato portandolo a cominciare a scrivere la mattina e poco dopo avere il brano quasi chiuso: e ancora una volta la spinta è stata la fine di un amore: "Riesco a trasformare questo dolore che provo in canzoni".

Nelle interviste e nel comunicato stampa ripeti di aver scritto Santa tenerezza di getto. Cosa vuol dire scrivere di getto una canzone?

Io scrivo tutto insieme, non ho mai scritto un testo senza musica: ho degli audio sul telefono imbarazzanti in cui alle 11 di sera comincio un giro di pianoforte e a mezzanotte c'è la canzone finita, col testo e tutto il resto. Questo vuol dire scrivere di getto per me, ovvero mettersi lì e nel giro di poco tempo scrivere una canzone. E nel periodo in cui ho scritto quasi tutte le canzoni di questo disco, mi uscivano tutte così. Sono stati proprio dei giorni stranissimi, in cui mi veniva in mente una cosa la mattina e la sera l'avevo finita. Me ne veniva in mente un'altra la sera, la mattina scendevo a registrare quella del giorno prima, e intanto lavoravo a quella dopo e la sera stessa l'avevo già finita. È stato veramente particolare, come se un'onda strana mi avesse attraversato.

E queste canzoni nascono anche con un mood comune?

No, a meno che non siano scritte tutte nello stesso periodo. Cioè, sei di queste dieci canzoni sono state scritte nel giro di dieci giorni. Quindi, ovviamente, sono legate, parlano tutte della stessa storia, ma con punti diversi, mentre le altre che ho scelto di inserire secondo me stavano bene. Erano canzoni che avevo già lì da qualche tempo, però trovavo che potessero starci bene insieme, facevano una bella cornice alle altre canzoni.

In un'intervista di qualche tempo fa a Rolling Stone dicevi che le canzoni ti uscivano solo quando stavi male. Vale anche questa volta?

Purtroppo sì, per adesso riesco solamente ad attingere alla mia vita per scrivere le canzoni. Credo che sia una cosa molto bella, da un certo punto di vista, perché vuol dire che le canzoni sono molto vere, sincere e questa è una cosa che mi piace molto. Dall'altro punto di vista, però, sto trasformando questa vita in una performance. Cioè non è che mi sforzo per far crollare delle storie d'amore, però mi succede e a volte mi sento anche fortunato che mi succeda, perché poi riesco a trasformare questo dolore che provo in canzoni, sono riuscito a trasformarlo in un lavoro, addirittura. Insomma, questa cosa è straordinaria ma è anche una condanna. Mi piacerebbe, come fanno molti miei colleghi, riuscire a scrivere diversamente.

È così difficile?

Guarda, l'ho fatto, anche perché non è che tutta la mia discografia è così ma quasi, diciamo che il 90% trae spunto dall'autobiografia. Poi in ogni cosa che si scrive ci si mette dentro qualcosa di sé, io resto convinto che quelle che escono così siano quelle più belle, quelle più forti, proprio nel senso emotivo del termine. Sono anche quelle che arrivano di più alla gente perché si sente che dentro c'è della verità, qualcosa di sincero e di sentito per davvero. E poi c'è chi, come De Gregori, riesce a scrivere La donna cannone leggendo il trafiletto del giornale, beato lui.

Le persone che si rivedono nelle tue canzoni ti mandano feedback?

Eh, sì, purtroppo sì, quasi sempre, anche perché nelle mie canzoni parlo sempre a qualcuno in particolare, e metto anche degli elementi che solo una determinata persona può capire fino in fondo, quindi sicuramente lo sa che quella canzone è diretta a lei.

E questa cosa, il rischio anche di ferire qualcuno, non ti crea alcun problema quando scrivi?

In generale mi è successo, ma non in questo caso, quando ho scritto queste canzoni. In altre occasioni mi sono fermato e non ho scritto delle cose oppure ho scritto cose diverse per paura di ferire o perché non me la sentivo. In questo caso invece ci sono riuscito, più che altro mi è venuto molto naturale.

Penso a Buenos Aires, per esempio.

Esatto. Dico quello che volevo dire, fregandomene di quello che avrebbe pensato, non mi succedeva da tanto tempo, così come non mi succedeva da tanto tempo di scrivere così tante canzoni tutte di getto. Ho ritrovato una modalità che non mi succedeva da un po' e per questo ero dannatamente felice, ma anche incredibilmente triste perché vivevo un contrasto dentro di me: ero tristissimo, mi struggevo, stavo sveglio la notte, non riuscivo a dormire, scrivevo queste canzoni ma quando le finivo ero felice perché l'avevo scritta. Non sapevo come comportarmi con me stesso, se essere felice o essere triste, infatti anche in una canzone dico "Mi viene quasi da ridere ma piango".

C'è un motivo particolare per cui nelle tue canzoni appare spesso la Luna?

Non lo so, ci ho fatto caso anch'io a questa cosa. La guardo spesso la luna e spesso mi trovo a vederla anche quando non voglio, alzo la testa ed è sempre là, mi piace molto guardarla. Ho anche un telescopio con cui la guardo ogni tanto, quando passa nel piccolo fazzoletto di cielo che ho a casa mia a Milano e così mi rendo ancora più conto che è vera, la vedi in 3D, è un oggetto incredibile.

Una cosa che mi piace molto sono questi fiati tipo in Andiamo via… come l'hai costruito musicalmente quest'album?

L'ho fatto insieme a Federico Nardelli, ho fatto prima dei provini, come ti dicevo, a casa scrivevo le canzoni la mattina, le registravo, gli davo qualche arrangiamento, un mood, poi sono andato in studio con Federico che l'ha prodotto, l'ha quasi interamente suonato lui. Abbiamo provato delle strade, poi le abbiamo cancellate, su due o tre pezzi siamo ripartiti daccapo, su Ehy, ad esempio, ci sono state tre versioni di quel pezzo, perché subito l'avevamo fatta in modo più sanremese, con un'orchestrazione che però non mi convinceva, c'era qualcosa che non mi tornava, e davo la colpa all'arrangiamento d'orchestra, quindi mi hanno fatto fare un secondo arrangiamento di orchestra, abbiamo provato e non mi convinceva comunque. Al che ho detto: "Cancelliamo l'orchestra, mettiamoci un clarinetto, facciamo una cosa più indie americana", l'ho sentita e ho detto "Ok, è lei". Perché a volte le canzoni si possono vestire in mille modi, però mi è capitato più di una volta di vestirle in un modo e dire che quel vestito non andava bene. Per un mese e mezzo ci abbiamo lavorato io e lui e basta, poi abbiamo chiamato musicisti a suonare quello che non sapevamo suonare noi, quindi fiati, archi ma anche le tastiere, e sono usciti territori musicali che non avevo mai esplorato: c'è anche un po' di Italia di primi anni 80, penso a Favola, era sempre roba che mi piaceva, avevo sempre ascoltato, ma non l'avevo mai poi messa dentro le mie cose.

In un’intervista di qualche anno fa mi dicesti che eri tornato ad ascoltare musica contemporanea, vale ancora? Cosa ti piace in questo periodo?

È vero, continuo a farlo e non trovo tantissime cose che mi aggradano.

Però devi sapere cosa succede…

Sì, mi piace sapere cosa succede. Ad esempio, appunto, quando ho rivisto l'arrangiamento di Ehy pensando di farlo più indie-americano, era appena uscito il disco di Clairo, che è bellissimo. E ho detto "Proviamo a fare una cosa più come la farebbe lei, rispetto a come la farebbe Beppe Vessicchio".

E comunque Sanremo torna sempre nei tuoi discorsi in qualche modo…

Ormai manco solo io, diteglielo (ride, ndr).

Però ho letto che hai proposto qualcosa, no?

Quest'anno no, con questo disco no, però negli anni precedenti sì, avevo proposto qualche cosa, ma non è mai andata in porto.

In un'intervista a Rolling a un certo punto dici parli di gente che riempi i palazzetti "a differenza mia". È una cosa che ti manca? 

No, no, non mi manca, quello era un discorso più ampio in cui mi chiedevano tutte quelle cose sull'essere il padre dell'indie etc e io rispondevo che c'è un sacco di gente che oggi fa i palazzetti che mi dice: "Se non ti avessi ascoltato non avrei cominciato a suonare". E questo mi fa molto piacere, però come puoi ben capire può anche farmi rodere un po' perché poi, alla fine, loro riempiono i palazzetti e io sono qua. Però essere qua non deve essere una cosa brutta, perché comunque faccio ‘sto lavoro da 20 anni, faccio le mie cose, le faccio come le voglio fare, continuo a fare i miei concerti, alla fine non so neanche se la mia musica al palazzetto ci starebbe così bene, devo dire la verità.

È vero che con la stima non si mangia, però, come dici, alla fine fai questo lavoro da 20 anni e stiamo qui a parlarne, fai concerti etc…

Certo, infatti va benissimo, anche perché fare musica per me è sempre stata una cosa molto personale, una valvola di sfogo. Non devo pensare che il mio scopo sia fare il Palazzetto, perché se no ho sbagliato tutto, il mio scopo deve essere continuare a fare la musica che voglio fare o comunque in generale fare quello che voglio fare anche al di là della musica. Voglio che il mio scopo nella vita sia quello di svegliarmi felice e fare quello che faccio, punto. Poi che sia lo stadio, il Palazzetto, il piccolo club, che sia non fare più musica, ma aprire un bottega in Grecia, quello deve essere il mio scopo nella vita. Ho avuto un periodo in cui mi dava più noia questa cosa, ma adesso no, adesso ci ho fatto pace.

È stato il periodo in cui l'indie è diventato mainstream?

Sì, ovviamente sì (ride, ndr).

Quello che una volta chiamavamo indie, lo sto ritrovando tantissimo adesso in tutta la serie di cantautrici, musiciste, produttrici: noti qualcosa di quello che una volta l'indie, la sua possibilità di sperimentare al di fuori del mainstream, oggi?

Secondo me, è un po' morto quel mondo lì, nel senso che anche chi lo fa oggi, lo fa comunque puntando al mainstream, questa è una cosa un po' strana che è successa negli ultimi anni, ed è quella cosa in cui ho inciampato anch'io, cioè che non ti basta fare quello che fai, ma devi comunque scavallare, devi fare quello che fanno gli altri.

Forse perché vedi una possibilità che non c'era prima.

Forse sì, però negli anni 90, quando io ho cominciato a suonare, il fatto che Nek facesse il palazzetto non me ne fregava niente. C'erano artisti che facevano il palazzetto, altri che suonavano nei localini, però ognuno di questi aveva il suo pubblico, c'era la gente che andava al localino a vedere gli sconosciuti, quella che andava nel posto da 100 persone a vedere chi conosceva e quelli che andavano al palazzetto a vedere Nek, ed era un mondo che stava in piedi, no? Io ho fatto tantissimi concerti durante le finali di Sanremo, perché il mio pubblico non lo guardava. Oggi quando c'è Sanremo si blocca il paese, siamo entrati nell'era del campionato unico. L'idea anche degli artisti meno mainstream è quella di fare gente, fare posti grandi, fare l'evento, per questo credo che si è entrati proprio nel campionato unico in cui, non so per quale motivo, non c'è più il pubblico che va a vedere i concerti da 50 persone, perché il pubblico oggi va a vedere i grandi eventi.

Quali sono le altre ricadute di quello che definisci campionato unico?

Che le discografie trattano tutti gli artisti nello stesso modo, devono fargli fare gli stessi step e così c'è chi crolla per primo, chi per secondo, chi crolla per terzo e chi arriva all'ultimo, però li trattano tutti nello stesso modo. Come se la musica non avesse più alcun valore, in questo modo si sta appiattendo anche la proposta musicale. Poi ci sono questi alieni, come Emma Nolde, che ogni tanto escono fuori e riescono ad avere successo. Il grande cambiamento che è successo nel 2015-16 è che la musica cosiddetta indie si è trasformata dall'essere una condizione, cioè essere indipendenti, all'essere un genere. Se pensi a me, gli Zen Circus, i Perturbazione, i Ministri, eravamo tutte cose diverse. Se pensi alla musica indie oggi pensi a un genere, pensi a Calcutta e chi imita Calcutta.

Che rapporto hai Buon appetito?

Con chi?

Con Buon appetito.

La mia canzone?

Eh!

Scusa, non me l'aspettavo, oggi ho un buon rapporto, anche se c'è stato un momento in cui non riuscivo più a cantarla. Appena pubblicata ero felice di cantarla perché era un momento in cui avevo voglia di dire quella cosa, poi c'è stato qualche anno in cui non l'ho più messa in scaletta perché facevo più fatica. Adesso ci ho fatto pace e continuo a cantarla tranquillamente. È come se avesse perso il significato chele davo. Mi è successo con qualche altra canzone che ho scritto tempo tempo fa, mentre la cantavo la ascoltavo come se fossi un ascoltatore, come se l'ascoltassi per la prima volta e la collegavo alle cose che stavo vivendo in quel momento e mi emozionavano per quello che stavo vivendo in quel momento benché l'avessi scritta per un'altra cosa. Quindi ho capito che forse alcune delle canzoni che ho scritto avevano veramente una forza.

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