Cosa ci insegna il supplizio di Beatrice Cenci, condannata a morte per parricidio nella Roma del 1500

Roma è da sempre molto più che uno sfondo. È una città che vive, respira, osserva, giudica, partecipa. È una fonte inesauribile di storie che diventano racconti corali e si trasformano in leggenda. Il Roma Storia Festival ci invita a guardarla così: non come un museo all’aperto, ma come un organismo vivo che da secoli si nutre di vicende, passioni, memorie. Roma è stata sognata, dipinta, raccontata, e proprio attraverso queste voci si è costruita un’immagine che continua a parlarci. Nel 1599, la storia di Beatrice Cenci – che uccise un padre violento che abusava di lei – irrompe nella vita di Roma con la forza di una tragedia antica. Un episodio familiare, che in altri contesti sarebbe scivolato nell’oblio delle cronache criminali, qui si accende di una luce diversa. Diventa un evento corale. La città se ne fa interprete, lo amplifica, lo tramanda.
Per comprendere questa storia bisogna guardare alla Roma dell’epoca, la Roma di Sisto V e Clemente VIII nel pieno del suo fasto: grandi cupole che ridisegnano il cielo, obelischi rialzati nelle piazze, nuove vie che collegano le basiliche. Ma la Roma che vive Beatrice Cenci è anche un’altra: compressa nell’ansa del Tevere, sporca, sovraffollata, violenta. Le cronache ci raccontano di strade strette e maleodoranti, di catapecchie addossate a palazzi nobiliari, di mercati improvvisati e rifiuti abbandonati. Roma è un crocevia di pellegrini, mercanti, soldati, mendicanti, prostitute. La notte appartiene alle bande di giovani rampolli nobili che seminano paura tra i vicoli. Sisto V cerca di imporre ordine, di reprimere il brigantaggio e domare la nobiltà riottosa. Ma la violenza rimane parte integrante della vita quotidiana: nelle strade, nelle piazze, case, e spesso le donne ne sono vittime.
È questa Roma, splendente e degradata, che dobbiamo immaginare per comprendere la vicenda dei Cenci. Perché a Roma, come in ogni città di antico regime, la giustizia non si consuma in silenzio. È un palcoscenico pubblico, un rito collettivo. Nella logica dell’epoca la pena ha senso solo se è visibile, se il popolo la osserva, se l’ordine infranto si ricompone davanti agli occhi di tutti. E la città non resta spettatrice muta: partecipa, si commuove, prende posizione.
La città diventa un coro antico, che accompagna i protagonisti, li giudica, li consola. In questo coro si mescolano le voci della curiosità e quelle della pietà, il desiderio di assistere all’evento e la compassione per la giovane donna al centro della vicenda. È la stessa dinamica che riconosciamo ancora oggi, quando grandi drammi collettivi spingono folle immense a riversarsi nelle strade, a deporre fiori e candele, a trasformare il lutto in memoria pubblica.

La forza della storia di Beatrice non sta solo nei fatti – un padre dispotico, una famiglia lacerata, un delitto che scuote le coscienze – ma nella capacità della città di trasformarli in racconto. Roma custodisce le cronache segrete, alimenta le voci, raccoglie i pianti e le grida del popolo, e soprattutto li tramanda, trasfigurandoli nei secoli. Il volto attribuito a Guido Reni, oggi a Palazzo Barberini, ne è il simbolo: che sia o meno davvero quello di Beatrice, ha conquistato viaggiatori e poeti del Grand Tour, da Goethe a Stendhal, a Shelley e tanti altri. Quella fisionomia pallida e sofferente, con lo sguardo rivolto al cielo, ha reso immortale una giovane che altrimenti sarebbe rimasta un nome disperso tra le carte dei tribunali.
La storia di Beatrice Cenci ci parla perché mette in luce qualcosa che riconosciamo ancora oggi. E non è solo il fascino per le storie criminali e per le tragedie familiari, fascino antico quanto la cultura occidentale e ancora attuale. Allora come oggi, il pubblico non è mai soltanto spettatore: è parte viva della vicenda, ne diventa co-autore, contribuisce a farla durare oltre il momento del fatto. Nelle trasfigurazioni letterarie, artistiche e poetiche Beatrice diventa subito simbolo tragico e universale: non solo parricida, ma figura di innocenza violata e ribellione estrema.
Raccontare Beatrice Cenci, dunque, significa, in fondo, raccontare Roma: la sua violenza e la sua pietà, la sua sete di spettacolo e la sua capacità di trasformare il dramma in leggenda che ancora oggi ci interroga. Entreremo nei dettagli di questa storia, percorreremo insieme le strade della Roma del tardo Cinquecento, ascolteremo le voci del processo, seguiremo il percorso del corteo che attraversa la città. Ciò che accade non è soltanto un processo né un supplizio. È un evento che coinvolge la città intera, trasformandola in un’immensa scena pubblica.
L’11 settembre 1599 Roma si trasforma in un immenso teatro. Già dalla sera precedente le strade sono piene, la folla si accalca lungo il percorso che dal carcere porta i condannati a ponte Sant’Angelo. E quando il corteo arriva nella piazza di Ponte dove è stato allestito il patibolo, di fronte a Castel Sant’Angelo, quella piazza ribolle di corpi. Le cronache parlano di barche stipate sul Tevere, di persone che cadono in acqua, di morti schiacciati dalla calca. Tutti vogliono vedere, tutti vogliono poter dire di essere stati presenti. Sul patibolo la giustizia si compie. Ma qualcosa si rovescia: invece di condanna, il pubblico esprime compassione.
Una cronaca annota: "Beatrice pareva salda et ardita. Lungo la strada il popolo piangeva et diceva: poveri, poverini, disgraziati!". La sera, il corpo di Beatrice è portato a San Pietro in Montorio. Migliaia di persone la accompagnano, accendono candele, vegliano la sua tomba fino a notte fonda. Roma dunque non assiste soltanto: Roma partecipa, soffre, ricorda. È lei, ieri come oggi, la vera protagonista collettiva del nostro racconto.
(Articolo di Lisa Roscioni, storica e saggista, insegna Storia moderna alla Sapienza Università di Roma sarà protagonista del Roma Storia Festival 2025 – evento promosso e organizzato dalla Camera di Commercio di Roma, ideato e progettato dagli Editori Laterza con il patrocinio della Commissione europea e di Roma Capitale Assessorato alla Cultura – che si terrà dal 18 al 21 settembre 2025: il suo intervento è previsto per 19 settembre alle 19.00 presso piazza di Pietra. Autrice e conduttrice di programmi culturali per RadioTre – Rai, ha pubblicato tra l’altro La badessa di Castro. Storia di uno scandalo, Bologna, il Mulino, 2017, Il governo della follia. Ospedali, medici e pazzi in età moderna, Milano, Bruno Mondadori, 2011, Lo smemorato di Collegno. Storia italiana di un’identità contesa, Torino, Einaudi, 2009).