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Strage di piazza Fontana, 50 anni dopo

7 opere sulla strage di Piazza Fontana: libri, poesie, teatro, canzoni per non dimenticare

Il 12 dicembre ricorrono i cinquant’anni dalla strage di piazza Fontana. Capire un pezzo così complesso del mosaico che compone la storia dell’Italia dell’ultimo secolo, non è cosa facile: ci abbiamo provato ricordando le opere letterarie e poetiche attraverso le quali è possibile rileggere quella storia in modo diverso. Da Pasolini a Dario Fo, passando per i fumetti della Bonelli e per le ricerche di Deaglio e Cucchiarelli, ecco 7 opere da leggere per capire piazza Fontana.
A cura di Federica D'Alfonso
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L'ordigno nella Banca Nazionale dell'Agricoltura, situata a piazza Fontana a Milano, esplode nel pomeriggio del 12 dicembre 1969.
L'ordigno nella Banca Nazionale dell'Agricoltura, situata a piazza Fontana a Milano, esplode nel pomeriggio del 12 dicembre 1969.
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Il 12 dicembre 1969, alle ore 16.37, una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano. Quel giorno, e a quell'ora, il nome di piazza Fontana si trasformerà in una delle ferite più grandi che l’Italia porterà con sé negli anni a venire, e fino ad oggi. 17 morti e 86 feriti che daranno il via ad anni bui, alla tensione che accompagna una strategia che ancora oggi risulta complessa da restituire. Per provare a farlo, a distanza di cinquant'anni esatti dalla strage di piazza Fontana, ecco sette opere letterarie e poetiche che raccontano cosa fu quel venerdì 12 dicembre di cinque decenni fa.

“Patmos”, l'orazione civile di Pier Paolo Pasolini

Sono sotto choc

è giunto fino a Patmos sentore

di ciò che annusano i cappellani

i morti erano tutti dai cinquanta ai settanta

la mia età fra pochi anni, rivelazione di Gesù Cristo

che Dio, per istruire i suoi servi

– sulle cose che devono ben presto accadere –

ha fatto conoscere per mezzo del suo Angelo

al proprio servo Giovanni. (…)

L’eco della bomba esplosa quel 12 dicembre sarà talmente forte da raggiungere immediatamente perfino la Grecia: è qui, infatti, che si trova Pier Paolo Pasolini quando piazza Fontana scoppia con tutta la sua devastante portata storica. Ed è proprio qui, a Patmos, che secondo la tradizione cristiana l’apostolo Giovanni trascorse l’esilio scrivendo la sua Apocalisse: l’isola greca diviene, nell'orazione civile di Pasolini, il luogo in cui la brutalità della cronaca contemporanea incontra la disarmante portata “profetica” della sua Poesia. Pasolini scrive il lunghissimo componimento il giorno dopo la bomba, e prima della notizia della morte dell’anarchico Pinelli: versi improvvisi, necessari, scritti di getto, che restituiscono tutto d’un fiato ciò che piazza Fontana rappresenterà e rappresenta ancora, a cinquant'anni di distanza. Perché l’estemporaneità dei versi, pubblicati tre anni dopo nella raccolta “Transumanar e organizzar”, non si trasformano in superficialità o banale impeto interiore: a sole ventiquattr'ore dalla strage, Pier Paolo Pasolini aveva già capito che l’Italia, che con quella bomba “se ne va per le strade nuove della storia”, stava in realtà andando incontro al principio dell’Apocalisse.

“Il segreto di piazza Fontana” di Paolo Cucchiarelli

Leggere oggi, a cinquant'anni di distanza dalla strage di piazza Fontana, un libro uscito quando di anni ne erano invece passati quaranta, fa riflettere: dà l’idea di quanto ancora sia lento, dibattuto e controverso il cammino dell’Italia verso l’assunzione di responsabilità su tutto ciò che è iniziato quel tragico 12 dicembre. Paolo Cucchiarelli, con il suo libro, riesce a mettere il lettore di fronte alla responsabilità storica di questo cammino con un lavoro di indagine durato dieci anni che porta, oltre ad un’attenta ricostruzione dei fatti tramite perizie, verbali e rapporti di polizia dell’epoca, anche al tentativo di riprendere in mano un filo che proprio nei meandri dell’ufficialità si è persa. “Il segreto di piazza Fontana”, divenuto famoso anche grazie al film del 2012 di Marco Tullio GiordanaRomanzo di una strage”, è uno dei libri da tenere presente, quando si parla di quel venerdì di cinquant’anni fa.

“La bomba” di Enrico Deaglio

E se Cucchiarelli nel 2009 parlava ancora della necessità di chiarire i fatti, Enrico Deaglio quegli stessi fatti li ha ben presenti. E, nel suo libro appena pubblicato da Feltrinelli, non esita a ribadire il valore profondamente attuale del ricordo di piazza Fontana: perché questo stesso ricordo per Deaglio non è fine a se stesso in una commemorazione scevra da ogni significato politico per la contemporaneità. In un’intervista rilasciata a Fanpage.it, infatti, lo scrittore ricorda come in un Paese in cui pochi mesi fa il nome di Matteo Salvini compariva accanto alla qualifica di Ministro dell’Interno, è necessario se non doveroso tornare a parlare anche di piazza Fontana.

“Piazza Fontana”, il fumetto di Barilli e Fenoglio

Per parlare di una storia come quella di piazza Fontana, così come di tutte le Storie in effetti, non è necessario ricorrere ad interminabili volumi di cronaca giudiziaria, per restituirne tutta la complessità che essa ha comportato: lo hanno dimostrato, nel 2009, Matteo Fenoglio e Francesco Barilli con la graphic novel “Piazza Fontana”, pubblicata da Becco Giallo. Quasi come a voler chiudere un cerchio che probabilmente non si chiuderà davvero mai, gli autori hanno in mente come riferimento principale proprio “Patmos” di Pasolini: affidando al racconto in immagini, non romanzato bensì affiancato da documenti ed interviste ai familiari delle vittime e ai protagonisti della vicenda giudiziaria, il tentativo di ritrovare ciò che è mancato in cinquant'anni. Ovvero la verità, perché, nelle parole di una delle protagoniste, “uno Stato che non ha il coraggio di riconoscere la verità è uno stato che ha perduto…uno stato che non esiste”.

“Milano, 12 dicembre”: piazza Fontana per Bonelli 

Così come fra Cucchiarelli e Deaglio passano dieci anni di ricostruzioni storiche su piazza Fontana, anche fra la graphic novel di Fenoglio e Barilli e “Milano, 12 dicembre”, l’opera pubblicata nel 2019 da Sergio Bonelli Editore. Anche in questo caso gli autori sono due, ovvero Gianfranco Manfredi e Roberto Rinaldi, e anche in questo caso i dieci anni intercorsi fra una graphic novel e l’altra mostrano tutta la loro inquietante immobilità. In questo caso, forse, i toni sono semmai più cupi sia nelle immagini sia nel modo in cui si sceglie di affrontare una storia del genere: ma ciò che non cambia, ancora una volta, è l’estrema necessità di tornare a parlarne.

La musica di Giorgio Gaber e di De Gregori

Accogliendo l’idea che un certo cantautorato italiano possa essere a tutti gli effetti definito “letteratura”, non possono mancare due delle canzoni più emblematiche in questo senso di tutta la storia della musica italiana: “Qualcuno era comunista” di Gaber, e “Viva l’Italia” di Francesco De Gregori. Nessuno dei due si sofferma per più di un soffio a citare piazza Fontana, ma entrambi hanno ben presente la portata della storia che quella giornata ha rappresentato per il Paese quando, cantandone, la ricordano.

L'Italia del 12 dicembre/L'Italia con le bandiere/L'Italia nuda come sempre/L'Italia con gli occhi aperti nella notte triste/Viva l'Italia/L'Italia che resiste.

"Morte accidentale di un anarchico", di Dario Fo        

Ultima, ma non per importanza, è quest’opera teatrale di Dario Fo datata 1970. L’allestimento dello spettacolo costò al Premio Nobel per la letteratura oltre quaranta processi, e questo a causa di una caratteristica fondamentale del testo, presente in maniera più o meno palese dall’inizio alla fine del dramma: l’ironia, in senso puro, con cui Fo sceglie di parlare della morte, ironicamente definita “accidentale”, dell’anarchico Giuseppe Pinelli. La stanza della questura in cui si dipana l’azione suona tristemente grottesca così come i personaggi che si susseguono sulla scena, e il testo assume ad oggi, nonostante il tempo trascorso, un’attualità disarmante quando Fo riesce, attraverso una storia assurda ed equivoca, a parlare di un passato (che all’epoca era più presente che mai) troppo reale e niente affatto equivoco:

Come diceva Bertolt Brecht: «Nei tempi bui cantiamo dei tempi bui, poi verrà anche per noi il tempo delle rose». Ma non illudiamoci, vedremo tornare ancora l’arroganza e la ferocia del potere. Un potere rivestito con costumi nuovi, volti mascherati con sotto le stesse facce. E vedremo anche nostri compagni passati sotto le file loro per pochi o tanti quattrini. L’importante per noi è avere la forza di tornare da capo, con la stessa rabbia e la stessa determinazione di mostrare di nuovo al pubblico il deretano nudo e orrendo dell’ipocrisia.

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