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22simba: “Devo il nome a Cranio Randagio, quando è morto sono stato molto male. Il feat di Marracash sempre con me”

22simba, nome d’arte di Andrea Meazza, è uno dei protagonisti della nuova scena rap italiana. Ha ricevuto l’approvazione anche di Marracash nel suo ultimo Ep La Cura, collaborando con lui in Fanculo. Qui l’intervista.
A cura di Vincenzo Nasto
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22simba, via Comunicato Stampa
22simba, via Comunicato Stampa

22simba, nome d'arte del rapper di Saronno Andrea Meazza, è uno dei nomi più caldi della scena rap italiana. I fari si sono accesi su di lui negli ultimi anni, anche grazie a progetti come Falene del 2021 e Isolamento di gruppo nel 2024. Il racconto della provincia, il disprezzo per la metropoli e il legame con i ragazzi "abbandonati", oltre a un "urlo di liberazione" diventato ormai uno dei tratti distintivi della sua musica, ne fanno uno dei personaggi più interessanti della nuova generazione. In questo caso cresciuta anche sulle spalle di Massimo Pericolo e Cranio Randagio, come rivela nell'intervista: "È il motivo per cui ho aggiunto 22 davanti a Simba, perché è morto nell'anno in cui avrebbe dovuto compiere 22 anni. In quell'anno sono ance stato male".

A suggellare un 2025 con il suo primo album ufficiale V x Ventidue, arriva anche l'EP La Cura al cui interno è possibile trovare Marracash in Fanculo. Un segno di approvazione più unico che raro, sublimatosi in una cena: "Abbiamo parlato quattro ore in un locale e non di musica. Non posso rivelarti il contenuto vero e proprio (ride ndr), ma ciò che mi ha sorpreso di più è stata una conversazione sull'amore e le relazioni". Qui l'intervista a 22simba.

Qual è il primo elemento che caratterizza 22simba?

Se dovessi sceglierne uno, sicuramente sarebbero le radici. Sono molto legato al posto in cui sono nato.

Cosa significa voler rimanere in provincia, a Saronno?

È buffo, ma tra qualche minuto dovrò andare a vedere una casa in zona, proprio lì. Ho vissuto a Milano negli ultimi tempi perché non avevo ancora l'auto e quindi per raggiungere gli studi, per lavorare ai progetti, mi ero dovuto trasferire.

Un rifiuto della metropoli?

Io vivo bene quando riesco a essere in contatto con la mia famiglia, con tutti i miei amici. Poi non sono un animale da festa: anche se faccio qualche serata con gli amici, preferisco restare in contatto con loro nel posto in cui siamo cresciuti. Insomma, odio le metropoli.

C'è qualcosa che ti respinge?

Si bada troppo alle apparenze. In provincia, chi è un "cattivo", lo è senza fingere di esserlo.

C'è un elemento del tuo racconto, sin dagli inizi: il senso di aggregazione con il tuo gruppo di amici. È stato anche un punto di partenza per la tua musica?

A unirci, prima di quello, ci sono state determinate condizioni familiari.

In che senso?

La vita ci ha unito, anche perché abbiamo cominciato a frequentarci a 15 anni ed eravamo un gruppo di ragazzi "abbandonati" da un genitore. Ci capitava di passare anche due o tre settimane a casa di un nostro amico e viceversa.

Credi ti sia mancato qualcosa in quel periodo?

No, ma l'amicizia con loro a un certo punto è diventata anche un'esigenza.

E nella musica come vi ha unito?

Non era scontato il loro supporto: prima dei numeri, prima degli streaming, avere un gruppo che ti parla in maniera sincera di ciò che stiamo affrontando è stata la risorsa più importante.

Hai avuto tu la scintilla della musica?

Sì, ero palesemente ossessionato da questa musica e ho obbligato tutti a seguirmi: vuoi o non vuoi, ci sono involontariamente dentro fino al collo. E sono diventati anche il principale spirito critico dei primi anni della mia carriera.

Hanno condiviso tutto il tuo percorso?

Non solo, alcune volte hanno anche scelto per me brani che avevo in cartelle dimenticate. Poi all'inizio mi spingevano, anche quando nessun altro lo faceva. Da quando siamo piccoli, siamo stati abituati a essere sinceri, anche brutali verso noi stessi.

E invece tu quando hai avuto la percezione di voler fare musica?

Credo osservando e ascoltando alcuni artisti, soprattutto nelle mie zone: io sono legato tantissimo a Massimo Pericolo, ma anche a Cranio Randagio.

Due universi molto distanti.

Mi ricordo di aver visto un concerto di Massimo Pericolo e a chiudere la scaletta c'era "7 miliardi". La canzone finisce con l'urlo di liberazione "Voglio solo una vita decente". Oltre a catturarmi, si notava che quel passaggio aveva un'energia assoluta. Ho cercato di fare lo stesso con l'urlo liberatorio presente in molte mie canzoni.

E invece Cranio Randagio?

Rispetto a Massimo Pericolo gli ascolti di Cranio erano molto più solitari. Ricordo ancora le prime volte che ascoltavo i suoi pezzi: mi ha fatto appassionare al genere, ma soprattutto mi ha fatto credere che ce la potessi fare. Ricordo ancora la strofa di Estate e sto qua: "E non lo so se ce la farò. Ma i pischelli del quartiere mo ci credono: Ti prego, vinci tu, Vittò che ‘sti sogni forse è vero che s'avverano". Un artista fenomenale.

Quanto ha influito sulla tua carriera?

È il motivo per cui ho aggiunto 22 davanti a Simba, perché è morto nell'anno in cui avrebbe dovuto compiere 22 anni. In quell'anno sono anche stato male. Per me è ancora incredibile come il mondo mainstream, la gente, non si fosse accorta del suo talento: ero convinto che avrebbe fatto cose incredibili nella sua carriera.

Arriviamo al 2025, in cui esce il tuo primo disco ufficiale VxVentidue, ma anche l'Ep La Cura. Come differiscono i due progetti?

Per il mio primo disco, anche avendo lanciato alcuni singoli, volevo che ci fosse una linea di riferimento nel racconto, ma che rappresentasse anche un esercizio di stile. La cura invece è stato un dono. Nel mio primo album volevo avere la conferma che la mia voce, in questo momento, avesse un valore anche per gli altri.

Perché un dono?

La maggior parte dei brani che sono arrivati per l'EP sono stati scritti dopo aver festeggiato l'uscita dell'album: ero in un altro stato emotivo. Poi sono arrivati i disegni di Nina Zejjari che hanno tracciato quasi una linea del progetto. È stato qualcosa di unico.

22simba e Marracash
22simba e Marracash

Come Fanculo con Marracash: come nasce?

Di quel brano non avevo il ritornello, avevo solo la mia strofa, mancava proprio la struttura. Non avrei potuto immaginare che ci sarebbe stata una strofa di Marracash.

Un feat suggellato anche da una foto, al ritorno da una cena in un famoso locale di Milano: qual è la cosa che ti ha sorpreso di più nel conoscerlo?

Abbiamo parlato quattro ore in quel locale e non di musica. Non posso rivelarti il contenuto vero e proprio (ride ndr), ma ciò che mi ha sorpreso di più è stata una conversazione sull'amore e le relazioni. Abbiamo parlato molto di amore e di una situazione mia: mi ha dato tanto da riflettere raccontandomi le sue esperienze.

Cosa significa avere Marracash in un tuo progetto?

Per me è folle, è incredibile aver parlato e collaborato con una persona di cui ho ascoltato così tanto. È una cosa che mi porterò sempre dentro.

Prima del feat con Marracash, cosa credi abbia cambiato il percorso della tua carriera?

Secondo me c'è stato un momento di svolta prima del mio primo disco. Parlavo con Mr.Monkey (il producer Matteo Novi) che è stato anche uno dei producer che ha preso in mano la direzione del progetto. Stavamo discutendo della legge dell'attrazione e dell'idealizzare dove si voleva già essere.

Un esercizio di visualizzazione creativa?

Sì, anche se effettivamente, in alcuni casi sembrano quei discorsi sulla mentalità e la motivazione, ormai virali su Instagram. Però mi ricordo funzionò molto all'epoca, incominciai a stabilizzarmi molto, anche perché non ho proprio una vita stabile. Se volevo fare uno step nella musica, dovevo farlo anche nella vita.

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