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Claudio Pinti, “l’untore” dell’Hiv di Ancona è ricoverato in gravi condizioni in ospedale

L’autotrasportatore marchigiano di trentasei anni era atteso in aula oggi per la sentenza del processo in cui è imputato di lesioni personali gravissime per aver contagiato di Hiv la sua ex fidanzata e di omicidio volontario per la morte della ex compagna. Non si è presentato perché ricoverato.
A cura di Antonio Palma
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Sarebbe ricoverato in ospedale in gravi condizioni di salute Claudio Pinti, l'autotrasportatore marchigiano di trentasei anni soprannominato l'untore dell'Hiv perché, pur consapevole di essere sieropositivo da almeno undici anni, avrebbe avuto rapporti non protetti con molteplici partner oltre alla sua compagna trasmettendo anche a loro la malattia. Lo si è appreso oggi in occasione dell'udienza del processo nel quale è imputato di lesioni personali gravissime per aver contagiato di Hiv la sua ex fidanzata e di omicidio volontario per la morte della ex compagna, deceduta nel 2017 per una patologia legata all'Hiv. L'uomo infatti era atteso al Tribunale di Ancona per partecipare all'udienza e assistere alla sentenza a suo carico ma non si è presentato.

Claudio Pinti, che già nei mesi scorsi era stato visto visibilmente dimagrito e sofferente, sarebbe ricoverato già da fine dicembre in un ospedale di Viterbo dove sarebbe stato portato dal carcere a seguito dell'aggravarsi delle sue condizioni. L'udienza, che si è svolta con rito abbreviato come chiesto dalla difesa, intanto è andata avanti. Il pm che rappresenta l'accusa ha chiesto per l'uomo una condanna a 18 anni di carcere considerando anche il beneficio della riduzione di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato. Dopo le richieste di parti civile e difesa, il giudice per le udienze preliminari Paola Moscarol si ritirerà in camera di consiglio per emettere il verdetto che è atteso nel pomeriggio.

Il caso di Pinti venne alla luce nel maggio scorso quando  la donna che frequentava da alcuni mesi, a seguito di malesseri fisici e relativi controlli,  scoprì di essere stata contagiata e lo denunciò. A quel punto vene a galla che l'uomo sapeva di essere affetto da Hiv da oltre un decennio ma che nel frattempo aveva tenuto nascosto a tutti la malattia avendo rapporti sessuali non protetti con oltre un centinaio di donne, come ammesso da lui inizialmente. Nonostante i risultati delle analisi, infatti, lui rifiutava di considerarsi malato. “Ero sieropositivo, ma poi ho rifatto gli esami e non è risultato più niente”, avrebbe sostenuto davanti alla compagna quando lei gli aveva chiesto spiegazioni.

Richiesta di risarcimento danni

La polizia sta ancora cercando coloro che abbiano eventualmente avuto incontri sessuali con lui ma al momento  le contestazioni mosse dai pm riguardano solo i due casi specifici. "Le contestazioni non riguardano 30, 50 o 200 casi, solo due specifici: stando a quello che c'è finora agli atti, non c'è nessun predatore, nessuno che vuole vendicarsi. Parliamo di una situazione più complessa, articolata, di come una persona ha affrontato una cosa che ha avuto,l'ha risolta male. Poi lo valuterà il giudice" ha spiegato il suo avvocato. Contro l'uomo sono state ammesse a processo otto parti civili per una richiesta complessiva di risarcimento di oltre 7,5 milioni di euro. Oltre all'ex fidanzata, ci sono i genitori e il figlio di lei; ma anche padre, madre, sorella della compagna morta e la figlioletta nata dalla relazione.

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