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Bimbo venduto dalla madre a pedofili, autorità tedesche sapevano ma nessuno ha fatto nulla

Dopo gli arresti si è scoperto che erano numerosi i segnali di pericolo per il piccolo che però nessuno tra giudici, tribunali e servizi sociali ha preso in considerazione per proteggerlo.
A cura di Antonio Palma
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È polemica in Germania dopo la scoperta di un terribile caso di abusi sessuali su un bambino di 9 anni, per anni letteralmente venduto dalla madre su internet ad una rete internazionale di pedofili in cambio di soldi e sottoposto a violenze sessuali continue. La vicenda, venuta a galla nei giorni scorsi con l'arresto di 8 persone e il coinvolgimento di quattro Paesi tra cui Austria Svizzera e Francia, infatti, ha rivelato aspetti della vicenda ancora più inquietanti circa la corresponsabilità delle autorità tedesche. Molte autorità locali infatti  sapevano dei rischi altissimi in cui incorreva il bimbo ma per una serie di negligenze  come la scarsa comunicazione tra enti, istituzioni e polizia e mancati controlli, il bimbo è rimasto in balia dei suoi aguzzini per anni.

In tutti questi anni infatti nessuno tra giudici, tribunali e servizi sociali è intervenuto o si è preoccupato di verificare che il bambino non avesse già subito abusi anche se i segnali c'erano tutti. Il compagno della madre ad esempio è un pedofilo conclamato, già condannato per aver molestato una tredicenne e riconosciuto nel 2014 "a rischio recidiva", tanto da aver ricevuto il "divieto di avvicinarsi a persone di età inferiore ai 18 anni". Nonostante questo, però, viveva col piccolo in casa e nessuno per lungo si è preoccupato di andare a controllare.

Non solo, quando la polizia aveva finalmente avvisato i servizi sociali, un anno fa, che il bambino rischiava di entrare in un giro di pedofili a causa del partner della madre, questi lo avevano preso in custodia ma solo dopo il permesso della madre che, però, quattro mesi dopo ha cambiato idea,  ha tolto il suo consenso all'allontanamento da casa e lo ha rivoluto indietro. Solo a questo punto i servizi sociali hanno fatto ricorso ai tribunali e nel caso infine è entrato anche un giudice che però ha dato ragione  alla donna, concedendo il ricongiungimento col figlio a condizione che il partner non vivesse più con loro. Una clausola che, come accertato dalle indagini, in realtà non è stata affatto rispettata e nessuno si era preso la briga di andare a controllare.

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